Massimo Tosti, ItaliaOggi 24/9/2014, 24 settembre 2014
FELLINI AVEVA GIÀ PREVISTO I PROBLEMI DI MUTI E RENZI
Federico Fellini (un autentico genio) aveva previsto tutto già nel 1979, quando diresse Prova d’orchestra, un apologo nel quale il direttore era costretto ad abbassare la bacchetta, contestato da uno sparuto gruppo di musicisti sindacalizzati e anarchici. Riccardo Muti (il più grande fra i direttori d’orchestra contemporanei) si è dimesso dall’Opera di Roma perché non sopportava più l’atmosfera da guerra civile creata da orchestrali sindacalizzati e anarchici. Ma 35 anni dopo l’intuizione di Fellini si applica anche a Matteo Renzi, che ha scelto una strategia geniale per chiamarsi fuori. Ha lanciato la palla (l’articolo 18) in mezzo al campo appena prima di partire per gli Stati Uniti. E adesso gli altri litigano, mentre lui si fa i selfie con lo sfondo del Golden Gate, a San Francisco. Lo scazzo, adesso, ha per protagonisti la Camusso (leader dei sindacalisti fedeli all’ancien regime), la Bindi, Bersani e Civati da una parte e i luogotenenti del premier dall’altra. Renzi, negli States (nonostante il suo inglese zoppicante), si consola con gli elogi degli americani per il suo coraggio e per il suo desiderio di far uscire l’Italia dall’era mesozoica. Lì incontra gli interlocutori che gli mancano in Italia: gli esperti in start up, e i giovani (anche italiani, emigranti) neo-capitalisti non oppressi da una burocrazia cieca, capace di stroncare la buona volontà di chi vorrebbe far «svoltare» l’Italia. Vorrebbe cantare, insieme a Mina, «Non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai». Al ritorno in Italia, sogna di ridurre alla ragione i ribelli, e convincerli a votare il Jobs act, e persino l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, un pezzo d’antiquariato che impedisce di introdurre la flessibilità nel nostro mercato del lavoro. Muti ha ceduto alle prepotenze, Matteo spera di vincere la sua battaglia, che è molto simile a quella annunciata da Fellini nel suo film. Anche se è difficile immaginare il giovane presidente del Consiglio in marsina, in piedi sul podio a dare il la alla Camusso che pizzica l’arpa. Se ci riuscisse, potremmo persino chiudere un occhio davanti all’ignobile gazzarra inscenata all’Opera di Roma contro un Maestro che tutto il mondo ci invidia.
Massimo Tosti, ItaliaOggi 24/9/2014