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 2014  settembre 24 Mercoledì calendario

IL PENTAGONO FA LE PROVE DEL CACCIA «FANTASMA» F22


Missili da crociera, caccia invisibili e bombe a guida laser e Gps. I primi raid aerei e missilistici contro lo Stato Islamico in territorio siriano hanno visto gli Stati Uniti e i loro alleati arabi del Gulf Cooperation Council (una sorta di «Nato del Golfo») mettere in campo aerei e armi già protagonisti di tutti i più recenti conflitti dall’Afghanistan nel 2001, all’Iraq nel 2003 alla Libia tre anni or sono. Come di consueto i primi obiettivi sono stati colpiti dai missili da crociera Tomahawk lanciati ieri dal cacciatorpediniere Arleigh Burke in navigazione nel Mar Rosso e dall’incrociatore Philippine Sea che affianca la portaerei George H. Bush nel Golfo Persico. Missili in grado di volare radenti seguendo i contorni del terreno per 2.500 chilometri colpendo con estrema precisione il bersaglio costituito secondo il Pentagono da centri di comando, controllo e comunicazioni, depositi di armi e munizioni e forse qualche batteria antiaerea che i miliziani dello Stato Islamico hanno catturato alle forze di Damasco e soprattutto all’esercito iracheno i cui grandi depositi a Fallujah, Tikrit e Mosul sono stati saccheggiati dai miliziani del Califfato. Gran parte di questi ingenti quantitativi di mezzi, armamenti e munizioni sono stati trasferiti nei territori siriani amministrati dal Califfato. I Tomahawk hanno aperto la strada ai cacciabombardieri statunitensi e arabi diretti sui bersagli costituiti non solo dalle basi dello Stato Islamico ma anche dalle postazioni dei qaedisti del gruppo Khorasan (colpito solo da armi statunitensi) e del Fronte al-Nusra. In primo piano i jet della Marina e dei Marines: i cacciabombardieri F/A-18 Hornet e Super Hornet decollati dalla portaerei Bush e gli Harrier AV-8B della portaelicotteri Bataan, riforniti più volte in volo da aerocisterne statunitensi e da quelle messe in campo anche da sauditi ed emiratini. Dalla base di al-Udeid, in Qatar, sede del comando aereo statunitense per l’area medio orientale e centro asiatica (Central Command) che coordina le operazioni contro il Califfato, sono decollati i bombardieri dell’Air Force B-1 Lancer, protagonisti negli ultimi anni di numerose missioni contro i talebani in Afghanistan. I cacciabombardieri F-15E Strike Eagle ed F-16 Fighting Falcon sono invece basati negli Emirati Arabi Uniti, nell’aeroporto di al-Dhafra (che ospita anche i Rafale francesi impiegati finora in un unico raid contro lo Stato Islamico in Iraq) ma potrebbero essere stati rischierati in basi giordane, a due passi dal confine siriano, da dove sono decollati anche i caccia F-16 della reale forza aerea di Amman. Molto vicina al teatro bellico l’aeroporto curdo di Erbil, che nelle ultime settimane ha visto affluire dalla base turca di Incirlik molti militari e diversi velivoli statunitensi inclusi droni Predator e Reaper impiegati per gli attacchi e per la sorveglianza. Ankara non ha aderito alla Coalizione e non consente agli Stati Uniti di impiegare Incirlik per operazioni offensive ma Washington mantiene un basso profilo sulle forze schierate a Erbil perché costituisce la prima base americana in Iraq dal ritiro delle forze USA nel 2011. La carenza di obiettivi di valore strategico ha reso superfluo l’uso dei bombardieri «invisibili» B-2 Spirit ma l’aeronautica statunitense ha invece messo in campo i caccia F-22 Raptor che hanno la stessa capacità «stealth» di non essere rilevati dai radar. Jet utilizzati solitamente per la difesa aerea ma in grado di imbarcare bombe a guida satellitare con le quali ieri hanno colpito obiettivi dello Stato Islamico, come ha confermato il generale William Mayville durante un briefing al Pentagono. La loro presenza, come quella dei velivoli da guerra elettronica della Marina EA-6B Prowler, non sembra legata tanto al contrasto di eventuali minacce portate dai miliziani del Califfato (privo di forze aeree e di strumenti per la guerra elettronica) quanto al rischio di dover far fronte all’eventuale reazione di Damasco. La difesa aerea di Bashar Assad dispone di moderni apparati missilistici e di guerra elettronica forniti da Mosca alcuni dei quali, secondo fonti d’intelligence, gestiti direttamente da personale russo. A quanto sembra il regime siriano è stato informato da Washington dell’imminenza dei raid ma, come ha precisato il Dipartimento di Stato, non sono state chieste autorizzazioni a Damasco. Ai siriani è stato solo detto di «non ostacolare gli aerei statunitensi» ha detto un portavoce. Il dispositivo aereo statunitense è stato poi completato da aerei radar Awacs E-3B Sentry, E-2C Hawekeye e da aerei spia RC -135 Rivet Joint. Pochi i dettagli sulla partecipazione dei velivoli di cinque Paesi arabi. I sauditi pare abbiano messo in campo alcuni f-15S di costruzione statunitense come gli F-16 schierati da Emirati Arabi Uniti, Giordania e forse anche dal Qatar.