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 2014  settembre 24 Mercoledì calendario

LE AZIENDE TEDESCHE SI COMPRANO GLI USA


Ma quanto traffico c’è sulle rotte del denaro che uniscono le due sponde dell’Atlantico. Troppo, per i gusti dell’amministrazione Obama che lunedì sera ha emesso un decreto per arrestare la fuga delle multinazionali dal fisco Usa, la cosiddetta “tax inversion”. Mica tanto per le multinazionali tedesche, a caccia di nuove occasioni nella finanza globale, dopo che, per cause diverse, risultano proibite o comunque poco attraenti le rotte della Russia o dell’Europa mediterranea, ormai in crisi endemica. Di qui una stagione a tutto shopping, resa possibile dal denaro che, dopo anni di quattrini a tasso zero, rigurgita dai forzieri del made in Deutschland. Per limitarci all’ultimo week end, spicca il caso di Siemens che con un assegno cash di 5,8 miliardi di euro ha acquistato la texana Dresser, colosso all’avanguardia nell’estrazione dello shale gas (quello che il governo Merkel proibisce in patria). Il giorno dopo la Merck di Darmstadt ha comprato per 17 miliardi di dollari l’americana Sigma-Aldrich, rafforzando la sua presenza nelle specialità chimiche da affiancare ai primati nel pharma. La settimana precedente era stata la volta di Sap, numero uno non Usa del software, a dar la scalata a Concur (8,3 miliardi). Poco prima era toccato ad Infineon, il produttore tedesco di chip, andare alla conquista di International Rectifier (3 miliardi). All’appello, per ora, manca solo Basf, forte di un attivo di cassa di 2 miliardi e mezzo. O i big dell’auto che in Usa per ora hanno raccolto solo delusioni, da Daimler (che pure vanta 9 miliardi netti da investire) alla stessa Volkswagen. Anche così, però, nel solo mese di settembre più di 30 miliardi di euro hanno preso la rotta degli States. A costo zero, visti i tassi praticati dalla Bce, che, più che favorire i finanziamenti delle piccole medie imprese, aiutano a piantare bandierine oltre Oceano. Ben accolte da Barack Obama, furente con le Corporations di casa. Lunedì sera un decreto del Tesoro Usa ha messo fine ad un fenomeno che, secondo il sottosegretario Jack Lew, è finora costato almeno 15 miliardi di dollari al fisco Usa. Finora, infatti, era sufficiente comprare un’azienda in un Paese dal fisco tenero, l’Irlanda ad esempio (aliquota sui profitti d’impresa del 12,5 contro il 35% Usa) fondere cacciatore e preda e così sfuggire alle tasse americane. Dal 2011 ad oggi sono state 14 le Big Corporations che hanno scelto questa formula. Altri, come Pfizer o le banane Chiquita ci hanno provato. Ma l’operazione che più ha fatto imbestialire Obama riguarda Burger King, il gigante dei fast food che metterà su casa in Canada assieme alle caffetterie di Tim Horton. Per giunta con l’appoggio di Warren Buffett, il miliardario vicino ai democratici. Per fermare la fuga, consapevoli di non disporre al Congresso di una maggioranza sufficiente per modificare le regole del fisco (con aliquote così alte, è il parere dei repubblicani ma anche di molti democratici, le multinazionali continueranno a scappare) l’amministrazione Obama ha studiato una serie di ostacoli: d’ora in poi una Corporation Usa non potrà prestare soldi alle sue affiliate estere salvo pagare un conto salato al fisco. Lo stesso accadrà in caso di “tax inversion”, comunque possibile d’ora in poi solo con aziende possedute da stranieri al 50%. Basterà? Probabilmente no. Anche perché le misure non potranno colpire gli affari già in corso. Ma è meglio di niente, si consola Obama: i “disertori fiscali” come lui li ha definiti, avevano bisogno di una lezione.