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 2014  settembre 22 Lunedì calendario

BLACKBERRY L’ULTIMA SFIDA DI CHEN, FARCENE INDOSSARE UNO


Prima ha iniziato con la «dieta»: spese dimezzate a suon di licenziamenti e operazioni di marketing ridotte all’osso. Ma, dopo aver ridotto i costi di BlackBerry, l’azienda canadese da anni in caduta libera, la sfida del nuovo ceo John Chen è quella di produrre utili. Per farlo l’amministratore delegato ha messo in piedi accordi con quelli che ormai non sono nemmeno più rivali (vista la sempre più risicata fetta di mercato) e ha pensato a nuovi strumenti per riconquistare le aziende, lo zoccolo duro dei clienti. Ma pare stia anche pensando di lanciarsi su un mercato ancora nuovo e non ancora colonizzato: quello dei wearables , i dispositivi indossabili che piacciono a tutti i big, ma che non hanno ancora sfondato nel grande pubblico.
Se la sua strategia funziona, il primo anno di Chen al timone dell’ex colosso potrebbe chiudersi se non con un successo almeno con le basi per provare a ripartire.
Storia
Fondata nel 1984 da due studenti di ingegneria canadesi, Mike Lazaridis e Douglas Fregin, Rim (Research in Motion Limited, il primo nome dell’azienda che diventerà BlackBerry solo nel 2013) segue una parabola crescente per circa vent’anni. Ma all’indomani dell’Ipo del 2006, ci pensa l’iPhone di Apple a mettere un freno alla crescita della società, che si appoggiava sullo smartphone BlackBerry. Il Melafonino, non a caso soprannominato anche «BlackBerry killer», è però solo il primo di una serie di rivali: tra il lancio di uno smartphone e l’altro la quota di mercato di Rim è in picchiata. Passa in pochi anni dal 20,1% (2009) al 6,3% (2012), e finisce all’attuale 0,5%. Anche i conti si mettono male, e la società inizia una politica di drastici tagli al personale. La prima tranche, di 2 mila licenziamenti, risale al 2011. Sembra tanto, ma rispetto ai 4.500 esuberi annunciati l’anno scorso è poca cosa.
Rimedi
Così, tra trimestrali flop e ricette anticrisi, si inizia pure a parlare di cessione. Intanto i vertici della società cercano la persona giusta per raddrizzare la barra: nel 2012 i ceo Lazaridis e Balsillie lasciano il posto a Thorsten Heins, che però si dimette nel novembre scorso cedendo la poltrona a John Chen. Originario di Hong Kong (ma con un percorso universitario tutto americano), il 58enne Chen è stato a lungo amministratore delegato dell’azienda di software Sybase. Appena nominato ceo della società canadese, Chen aveva suscitato un vespaio dichiarando che «se non possiamo fare soldi con i telefonini, non rimarrò nel mercato dei telefonini». Aveva subito corretto il tiro, sottolineando che voleva solo dire che «BlackBerry non è un’azienda che si fonda solo sui telefonini». E infatti, a un anno dalla sua nomina, Chen è tornato sull’argomento mostrando grande interesse per i wearables , i dispositivi indossabili. Al punto da dichiarare che la considera un’area di ricerca. Al momento, nel settore, di spazio ce n’è: tra i big solo Apple, Motorola e Samsung stanno portando sul mercato nuovi prodotti.
Altre vie
Tra le iniziative messe in piedi negli ultimi mesi c’è anche un accordo con Amazon che di fatto ha «aperto» le porte dello store di applicazioni di Seattle ai clienti di BlackBerry. Che, di suo, ne offre solamente 130 mila — considerando che quelle di Apple sono 240 mila, il totale sale a 370 mila. Certo, Apple e Android fanno ancora la parte del leone con oltre un milione di software a testa. Ma grazie alla nuova partnership BB ha triplicato la sua offerta, rendendo i suoi smartphone più appetibili per i clienti. A proposito di clienti, BlackBerry strizza l’occhio ai suoi compratori più fedeli, le aziende, rimettendo a nuovo i servizi tradizionali e soprattutto implementando i servizi di Bbm, la chat di casa.
Insomma per BlackBerry, che all’inizio dell’estate l’emittente Cnn aveva inserito fra i sei brand americani più a rischio, l’innovazione potrebbe essere il punto di svolta. Forse non per tornare ai fasti di una volta, ma almeno per arrivare a raggiungere l’obiettivo indicato da Chen all’indomani della sua nomina: portare l’azienda a crescere di nuovo entro il 2016.
La «cura» del nuovo ceo intanto qualche frutto l’ha già dato. Il primo trimestre del 2014 si è chiuso con un attivo di 23 milioni di dollari. Un utile piccolo, ma che spicca dopo una lunga serie di trimestrali tutte negative: l’ultima, quella conclusasi nel dicembre 2013, mostrava un rosso da 423 milioni. Il fatturato però è calato del 69% arrivando a quota 966 milioni di dollari, comunque meglio delle previsioni che lo stimavano a 963.