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 2014  settembre 24 Mercoledì calendario

IL VESCOVO ARRESTATO IN VATICANO «AZIONE DEL PAPA CONTRO LA PEDOFILIA»


CITTÀ DEL VATICANO Lo hanno arrestato ieri nel primo pomeriggio, come accadde al «corvo» Paolo Gabriele. Un provvedimento «conseguente alla espressa volontà del Papa». Solo che qui si tratta di un (ex) arcivescovo e stavolta, vista la gravità delle accuse, rischia di passare lunghi anni in galera come pedofilo. Spretato dall’ex Sant’Uffizio e in attesa del processo penale, «alla luce della situazione sanitaria dell’imputato» gli hanno concesso gli arresti domiciliari. Non era mai successo, in Vaticano, ed è l’effetto più clamoroso del «giro di vite» voluto da Benedetto XVI e proseguito da Francesco contro la pedofilia nel clero, fino ad arrivare al primo processo in Vaticano per abusi su minori. Jozef Wesolowski, 66 anni, un polacco che iniziò la carriera diplomatica ai tempi di Giovanni Paolo II — fu Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, a ordinarlo sacerdote nel 1972 — era nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana quando scoppiò lo scandalo, un anno fa, grazie all’inchiesta di una giornalista di una tv privata: aveva adescato dei ragazzini sulla spiaggia di Santo Domingo, offrendo denaro per prestazioni sessuali; saltò fuori che era un frequentatore assiduo dei luoghi di prostituzione minorile.
La Repubblica Dominicana voleva processarlo, altrettanto la Polonia. Ci furono polemiche planetarie, quando la Santa Sede lo richiamò subito a Roma. Ma chi sospettava coperture non aveva capito quello che stava succedendo. Per Wesolowski, come sacerdote e come cittadino vaticano, in quanto nunzio, si è annunciato subito un doppio processo: canonico e penale. La Congregazione per la dottrina della fede lo ha condannato alla fine di giugno alla pena più dura per un prete, la «dimissione dallo stato clericale»; il processo di appello non è ancora iniziato. Intanto sta per cominciare anche il processo penale, quello per cui rischia la galera. Si pensava che avrebbero aspettato la conclusione dell’appello all’ex Sant’Uffizio. Ma ieri il promotore di giustizia del Tribunale vaticano, e cioè il «pm» della Santa Sede che aveva avviato il procedimento penale «per gravi fatti di abuso a danni di minori», ha convocato il nunzio e «gli ha notificato i capi di imputazione», come si legge nella nota secca che padre Federico Lombardi ha diffuso ieri sera: «La gravità degli addebiti ha indotto l’Ufficio inquirente a disporre un provvedimento restrittivo che, alla luce della situazione sanitaria dell’imputato, comprovata dalla documentazione medica, consiste negli arresti domiciliari, con le correlate limitazioni, in locali all’interno dello Stato della Città del Vaticano». Il che significa che Wesolowski non sta in cella, ma neppure a casa sua, visto che non ha case in Vaticano: i gendarmi vaticani lo hanno lasciato nelle stanze del Collegio dei Penitenzieri, interno al palazzo del tribunale, sorvegliato per evitare che fugga oltre le Mura. Un provvedimento necessario «vista la gravità degli addebiti», appunto.
In Vaticano hanno spiegato che già con la condanna canonica Wesolowski ha perso l’immunità diplomatica e potrebbe «essere soggetto a procedimenti giudiziari anche da parte di altre magistrature». Intanto ci penserà quella della Santa Sede. La svolta e avvenuta grazie al «motu proprio» con il quale Francesco, l’11 luglio dell’anno scorso, ha inasprito le pene contro la pedofilia e reso processabili anche i diplomatici della Santa Sede.
La frase conclusiva di padre Lombardi la dice lunga: «L’iniziativa assunta dagli organi giudiziari dello Stato è conseguente alla volontà espressa del Papa, affinché un caso così grave e delicato venga affrontato senza ritardi, con il giusto e necessario rigore, con assunzione piena di responsabilità da parte delle istituzioni che fanno capo alla Santa Sede».