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 2014  settembre 23 Martedì calendario

È UN’EPIDEMIA, VERSO L’ADDIO ANCHE LUISOTTI E RUSTIONI

È un’epidemia. Oppure è il sintomo che l’opera in Italia sta definitivamente collassando (però niente paura: gli alti burocrati responsabili della catastrofe resteranno tranquillamente abbioccati sulle loro poltrone dorate). Sta di fatto che Riccardo Muti non è il solo a essersi stufato di fare la foglia di fico che copre le decennali vergogne dell’Opera di Roma. Sono pericolanti almeno tre podii di peso che gli attuali inquilini stanno seriamente meditando di lasciare.
Inutile riassumere la rissa al Regio di Torino fra il direttore musicale Gianandrea Noseda e il sovrintendente Walter Vergnano: più va avanti e meno ci si capisce. Allo stato, prosegue l’estenuante mediazione del sindaco Piero Fassino e un’intesa pare oggi più probabile grazie all’inserimento fra i due contendenti di un terzo responsabile (nel caso, godrebbe Cristina Rocca, attuale direttrice artistica dell’Orchestre nationale de France) e magari, nel ruolo di vicepresidente della Fondazione, di Filippo Fonsatti, prossima new entry nel Consiglio d’indirizzo, che ha le necessarie doti di equilibrista. Le questioni sollevate da Noseda su ruolo, compiti, funzionamento e finanziamento del Regio restano per ora senza risposta, almeno davanti alla pubblica opinione. Il 30 inizia la nuova stagione con la Messa da Requiem di Verdi, titolo azzeccatissimo per l’attuale momento del Regio. Magari per l’epoca sarà stata presa una decisione.
Intanto anche la più giovane delle fondazioni liriche, quella del Petruzzelli di Bari, potrebbe perdere il suo giovanissimo direttore musicale, Daniele Rustioni, 31 anni, talentuoso pupillo proprio di Noseda. Rustioni ha saputo praticamente dai giornali che il nuovo sovrintendente e direttore artistico, Massimo Biscardi, gli aveva cancellato il Trittico di Puccini con la regia di Damiano Michieletto, in pratica l’unico spettacolo che valesse un viaggio a Bari. Motivo, una «necessaria rimodulazione di bilancio» (sic). Oggi nessuno scommette che Rustioni resterà a Bari.
Poi c’è il caso del San Carlo di Napoli, il più bel teatro del mondo e il più antico ancora in attività, gestito ovviamente malissimo e infatti commissariato. Qui il direttore musicale è Nicola Luisotti, con doppio incarico a San Francisco e al San Carlo. Ma si dice che Luisotti si sia rotto i santissimi, almeno quelli partenopei, e mediti l’addio. Il suo agente rifiuta di confermare. Ma è un fatto che Luisotti sia in cartellone a Napoli con due sempreVerdi, Il trovatore in dicembre e Luisa Miller in maggio. Però la Luisa di Luisotti sembra improbabile perché negli stessi giorni il direttore è in cartellone anche a Valencia per Nabucco. E fra le molte doti del maestro Luisotti non risulta ci anche quella dell’ubiquità. In ogni caso al San Carlo il commissariamento dovrebbe finire fra un paio di mesi, quindi ci sarà un rimescolamento generale.
Al paesaggio con rovine dell’opera nel Paese che l’ha inventata vanno aggiunte le macerie del Carlo Felice di Genova, dove siamo al vaudeville con il vecchio sovrintendente cui il sindaco impedisce manu militari di entrare al CdA. Di musica, naturalmente, nemmeno il caso di parlarne e infatti nessuno ne parla. E dire che il genovese Fabio Luisi (ma anche altri artisti autoctoni, come il tenore Francesco Meli) hanno provato a dare una mano al vecchio glorioso Massimo genovese.
Infine, Firenze, dove il Maggio ha appena traslocato nel nuovo teatro, il più inaugurato (già due grandi aperture con pennacchi e fanfare) e meno finito del mondo. Qui continua a girare il nome di Daniele Gatti, che sarebbe probabilmente felice di avere un posto in Italia da cui fare concorrenza alla Scala che gli ha preferito Riccardo Chailly: insomma un replay degli anni del derby Milano-Abbado vs Firenze-Muti. A proposito di Muti: a Firenze molti, e in primis il sindaco, Dario Nardella, lo vedrebbero bene di nuovo al Maggio dopo 28 anni di Zubin Mehta, che peraltro non ha nessuna voglia di schiodarsi. Ma le carriere non sono come il Monopoli («Ripassa dal via») e il gran ritorno di Muti dov’è diventato Muti appare improbabile.
Alberto Mattioli, La Stampa 23/9/2014