Sandro Cappelletto, La Stampa 23/9/2014, 23 settembre 2014
OPERA DI ROMA, IL GIORNO DELLA PAURA
«Per vivere l’esperienza con Muti, ho lasciato il posto all’Orchestra Nazionale di Francia, dove guadagnavo 1300 euro in più al mese. Adesso sembra tutto finito. Come vuole che mi senta? Che delusione e non so nemmeno con chi prendermela! - Calogero Palermo, primo clarinetto dell’orchestra del Teatro dell’Opera, allarga le braccia - . Di più non mi chieda, noi orchestrali non possiamo parlare».
Il giorno successivo alle dimissioni di Riccardo Muti, il teatro della capitale è un pianeta in silenzio nel mezzo di un universo che esplode. Tacciono gli orchestrali. «Ho appena ricevuto un provvedimento disciplinare da parte della direzione delle risorse umane per aver osato esprimere il mio punto di vista - dice Carlo Macalli, primo flauto - . Credo sia una decisione anticostituzionale, ma mi adeguo». «La mia grande paura è che adesso, senza Muti, se vogliono spegnere il motore, lo possono fare», riflette Andrea Bergamelli, violoncellista. Tacciono i macchinisti, che storicamente all’Opera di Roma hanno un potere contrattuale spropositato. Tacciono, quasi, perfino i sindacalisti, trincerandosi dietro un «speriamo che ci ripensi». Mentre alcune sigle autonome non nascondono una certa soddisfazione sorniona: «Il maestro ha ritenuto che non ci fossero le condizioni per lavorare…».
Il maestro, a sua volta, risponde da Chicago, dove è impegnato a dirigere la Nona Sinfonia di Beethoven, con un cortese sms: «Non ritengo, per ora, di dover aggiungere nulla a quanto comunicato domenica al sovrintendente e al sindaco». E tace Carlo Fuortes, appunto il sovrintendente, ma non è difficile immaginare la sua delusione. Dopo aver condotto a buon esito una durissima trattativa sindacale e dopo l’approvazione, con referendum, da parte dei 534 dipendenti del piano di risanamento che dovrebbe consentire al teatro di accedere ai fondi speciali previsti dalla legge Bray, ora si trova a perdere l’artista perno del piano di rilancio. Tace il direttore artistico, Alessio Vlad, che da Muti era stato suggerito. Mentre si è già dimesso Micha van Hoecke, direttore del corpo di ballo del Teatro, da tempo legato a Muti: «Ero orgoglioso di far parte una squadra, di essere all’interno di un progetto forte, che ora non esiste più».
Carlo Fontana, oggi presidente dell’Agis, e già protagonista, quando era sovrintendente alla Scala, di una aspra contesa con Muti, dichiara la propria «piena e convinta solidarietà al maestro. Per Roma è una perdita grave, ma che Muti non abbia un incarico in Italia determina un forte impoverimento del quadro nazionale. Il ministro Franceschini dovrebbe fare di tutto per impedire che il maestro lasci».
Ma Muti non lascia l’Italia, come dice chiaramente nelle ultime righe della sua lettera, quando annuncia di voler dedicare rinnovate energie all’Orchestra Giovanile Cherubini, da lui fondata, e che ha sede a Ravenna. «E’ un grande dolore vedere dei giovani bravissimi rimanere, dopo i tre anni di formazione con la Cherubini, senza lavoro, andarlo a cercare all’estero, o addirittura dover rinunciare alla musica». Sembra lo specchio di una più generale situazione del Paese, bloccato tra privilegi e ingiustizie, possibilità concesse, o negate. La vicenda di Roma sta suscitando contrasti anche tra i musicisti. «Ho lavorato per anni nelle orchestre dei teatri d’opera», racconta Massimo Mercelli, tra i nostri migliori flautisti. «Sono entrato pieno di entusiasmo, ma dopo sei mesi ero diventato uno zombie: si parlava solo di indennità, di rivendicazioni, di appartenenza a questa o quella sigla sindacale. Basta, via i mercanti dal tempio!». E non è questione di stipendi gonfiati: dopo venti anni di lavoro un musicista di fila guadagna 2200-2500 euro al mese per 14 mensilità, mentre una prima parte arriva a 4000. Sono salari buoni, anche molto buoni, non eccezionali. Piuttosto è un problema di vincoli e sotterfugi contrattuali che, legalmente, consentono di lavorare poche ore, limitare la produttività, avere molto tempo a disposizione per altri impegni.
«Ha notizie? Chi verrà a sostituire il maestro per Aida e Nozze di Figaro? Noseda, Pappano?», chiedono al cronista, ormai verso sera, orchestrali e coristi, sperando che un nome forte possa essere la boa alla quale aggrapparsi nella nebbia. Donato Renzetti ha accettato di dirigere l’opera di Verdi, mentre ancora manca il nome del sostituto di Muti per Mozart. In città si è intanto scatenata una battaglia politica dai toni accesissimi, perfino irresponsabili, tra maggioranza e opposizione, con inviti a scendere in piazza. Come se le allegre gestioni e gli storici mali del teatro fossero di destra o di centro o di sinistra: purtroppo, sono di destra e di centro e di sinistra. Come se in tanti non ci avessero già sbattuto la testa, o non se ne fossero approfittati ad libitum.
Sandro Cappelletto, La Stampa 23/9/2014