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 2014  settembre 23 Martedì calendario

IL PALLONE MA ANCHE LA7: CAIRO, DAL TOCCO DI GENIO ALL’OCCASIONE SPRECATA

Domenica sera, per Torino-Verona, lo stadio Olimpico ha finalmente avuto il wi-fi. Gli ospiti de La7 però non hanno ancora l’acqua: quella la comprano i conduttori con l’ambizione di dissetare i volontari dei talk. Cairolandia è una terra così, la si direbbe di grande diseguaglianza sociale: i calciatori del Toro in ritiro indossavano le divise di un paio d’anni fa, per finirle, come diceva Paperone della sua tuba; agli autisti della tv tocca qualche volta di aspettare mesi prima del saldo dello stipendio, e però tira la cinghia qui e tirala là, alla fine l’ottimo Urbano trova i soldi per pagarsi una volta Alessio Cerci e l’altra Giovanni Floris.
Le piccinerie sarebbero al servizio della grandeur che il presidente granata deve avere assaggiato quest’estate in tremenda vendetta: «Cairo ha il braccino», disse Adriano Galliani qualche anno fa a margine di una trattativa su un ferrovecchio rossonero; e però adesso che il Milan non ha avuto i denari per prendersi Cerci, tutto si è capovolto. Cairo, col miglior sorriso da simpatica canaglia, ha pronunciato la sentenza - effimera - che aveva in canna da sempre: «Galliani ha il braccino».
Come non volergli bene? Prese il Toro mezzo stronco e l’ha portato in Europa, coi conti da far vedere ad Angela Merkel, e sembrava persino che avesse imparato la lezione e dunque capito come funziona. Cioè: finiti i tempi dei Pippo Pancaro e degli Alvaro Recoba, dei campioni cadenti, dei bidoni in prestito per fare numero. Noi non sapevamo nemmeno chi fossero Sanchez Mino o Bruno Peres o Josef Martinez e dicevamo: ottima campagna acquisti, il metodo è giusto, il celeberrimo metodo-Udinese, vendere il più forte e comprare tanti ragazzi sperando che due o tre ce la facciano. Il problema è che Cerci è stato venduto all’ultimo giorno utile, e al suo posto è arrivato un altro campione cadente, Amauri, come il sintomo della cairite che torna in fase acuta. Perché se è vero, come dice Cairo, che a quel punto era impossibile prendere più di Amauri, è anche peggio, è il ritorno all’improvvisazione a cui il presidente cede quando si persuade di avere il tocco del genio.
A La7 è successa la stessa cosa. Non c’è un direttore di rete, perché il direttore di rete lo vuole fare Cairo, e non ne è capace. Non c’è pianificazione perché la pianificazione la vuole fare Cairo, e non ne è capace. Parla un giorno con Enrico Mentana, l’altro con Michele Santoro, poi con un terzo, e infine si sente di separare il bene dal male. Proclama che l’oro è la politica, chiede chi è il fuoriclasse del ramo, gli dicono che è Floris, prende Floris, lo piazza nel primo pertugio di palinsesto, e poi le cose vanno male perché in fondo è l’operazione-Simone Barone, quando acquistò il volenteroso mediano solo perché era campione del mondo, e allora da lui si aspettava venti gol. Come ha detto Mentana, «a La7 si naviga a vista», e non soltanto lì.
Peccato, è uno degli uomini più garbati e deliziosi dell’ambiente, uno che col Toro in coppa continentale, con La7 nuovo telesogno, con il 3.68 per cento in Rcs pareva l’uomo nuovo nell’Italia della crisi. Pochi mesi dopo tutto va storto, tutto è rimasto a metà del guado in una fanghiglia di faciloneria e di eccesso di prudenza, tutto sembra già un’occasione sprecata come speriamo non la sia la cittadella dello sport, il Comunale, più l’area Combi, più il Filadelfia, un tesoro da smuovere gli arabi più danarosi: terreni in centro città per campi, negozi e altre granaterie in quantità che le più celebri squadre europee si sognano.
Le difficoltà non sono da niente, sul Comunale gravano ipoteche per trentotto milioni, ma trovare una soluzione equivarrebbe a trovare un direttore che dia un futuro a La7, un centravanti per consegnare al Toro qualche chance di notorietà europea, una medicina che guarisca una volta per tutte Cairo dalla cairite.
Mattia Feltri, La Stampa 23/9/2014