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 2014  settembre 23 Martedì calendario

“QUANDO IL RITOCCO DIVENTA MALATTIA”

[Intervista a Chiara Volpato] –
«Lasciami tutte le rughe, non cancellarmene nemmeno una, ci ho messo una vita a farmele». Parole diventate celebri, pronunciate da Anna Magnani al suo truccatore. Ma oggi i dati dell’Associazione italiana di Chirurgia plastica ed estetica (Aicpe) raccontano che è in continua ascesa il numero di chi ricorre a trattamenti di bellezza poco invasivi, come filler e botulino: 750mila interventi nel 2013. «E io non ho nessuna intenzione di demonizzare la pratica, che oggi di sta diffondendo non solo tra le donne, ma anche tra gli uomini. Tutt’altro. Ma credo che prima di agire bisognerebbe riflettere bene sugli eventuali pericoli e sui limiti che la chirurgia e la medicina estetica possono avere», avverte Chiara Volpato, professore di Psicologia sociale dell’Università di Milano-Bicocca.
Che cosa scatta nella testa di chi decide di operarsi?
«Credo sia un problema di insicurezza e di fragilità, certamente accentuata dall’importanza che media e pubblicità danno al corpo e alla prestanza fisica della donna. Può essere scontato, quasi banale, ripeterlo, ma è così. È sotto gli occhi di tutti».
E allora è giusto o sbagliato il «ritocco»?
«Impossibile dirlo. È chiaro che non esiste una regola da seguire. È pur sempre una scelta individuale, strettamente legata al vissuto della persona, alle sue esperienze, alla relazione con gli altri. Alcune donne non si tingono nemmeno i capelli. Altre vanno dal chirurgo. E, in qualche caso può essere comprensibile».
A quali situazioni si riferisce?
«Penso a quelle che hanno subito interventi chirurgici a seguito di malattie anche molto serie come un cancro o con inestetismi evidenti che fanno sentire molto a disagio».
E, invece, le donne che non accettano i segni dell’età?
«Sono le più insicure. Badano solo all’aspetto esteriore e non alla competenza, alla preparazione, alle capacità. Ma, se il valore di una persona di basa sul fisico, è ovvio che nel confronto con una ventenne si esce perdenti. E così si rischia di imboccare una strada lungo la quale, poi, è difficile fermarsi».
Si diventa dipendenti dalla chirurgia estetica?
«Molto spesso: un intervento non basta per stare meglio. Ogni volta vedi difetti nuovi e corri ai ripari. Chiaramente sono tutti problemi solo percepiti, non reali».
E le conseguenze a volte sono pesanti: è così?
«Sì. L’insicurezza iniziale rimane e a questa si possono aggiungere ansia, depressione, rabbia nei confronti del corpo che non rispetta standard quasi impossibili da raggiungere per i comuni mortali. Ed ecco che scatta il pericolo di disturbi dell’alimentazione, come anoressia e bulimia».
Che fare, dunque?
«Rifletterci. Guardare dentro se stessi e provare a capire se l’intervento può servire davvero. Se si tratta di un modo per stare meglio o è un’illusione».
La questione è legata esclusivamente all’età che avanza?
«No. E l’aumento delle giovanissime che ricorrono al chirurgo estetico conferma quanto l’idea della donna-oggetto sia ancora oggi dominante. Se parla il ministro uomo, nessuno fa caso a come sia vestito, ma, se parlano le donne, sono tutti attenti. Sono piccoli segni, ma importanti».
Lorenza Castagneri, La Stampa 23/9/2014