Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 23/9/2014, 23 settembre 2014
LA MUSICA È FINITA
Non c’è niente di più melodrammatico del melodramma, come suggerisce la parola stessa: scorrono lacrime e s’alzano cupi lamenti per l’addio di Riccardo Muti all’Opera di Roma. Sospinto da minacce di scioperi, assemblee selvagge e aggressioni verbali, il più celebre tra i direttori d’orchestra italiani ha interrotto la sua collaborazione, portando allo scoperto un più generale stato di scollamento e fragilità delle nostre case d’opera. Investiti da una crisi economica che mette in luce contraddizioni strutturali e assurdi garantismi (qualcuno ha mai contato il numero d’indennità di cui godono musicisti, coristi e ballerini in Italia?), i teatri lirici appaiono affogati dai debiti, massacrati nei budget e soffocati da spese per gli organici non più sostenibili. A Roma la frattura nasce dal piano di ridimensionamento proposto dal sovrintendente Carlo Fuortes. L’adesione alla legge Bray, con lo stanziamento di un fondo per i risanamenti a patto che rientrino in parametri quali la ridiscussione del contratto integrativo e la riduzione dell’organico, ha inasprito i rapporti con i lavoratori. E a Muti (seguito ieri nelle sue dimissioni dal direttore del ballo Micha Van Hoecke) è stato chiesto (invano) di fungere da cuscinetto nella trattativa con Fuortes.
Ma l’implacabile rissosità non riguarda solo la capitale. L’intera mappa dei teatri brucia, con climi arroventati anche ai vertici. Al Regio di Torino è alto il livello di tensione tra il direttore musicale Gianandrea Noseda e il sovrintendente Walter Vergnano. Il primo, molto amato dall’orchestra, accusa il secondo d’immobilismo e vorrebbe fare più tournée; il secondo, forte dei suoi buoni risultati gestionali, teme i costi dei viaggi. Manca una direzione artistica, e il sindaco Fassino tenta di mediare. Noseda scalpita, e si mormora di suoi contatti con teatri non solo italiani (c’è un prestigioso posto di direttore musicale vacante a Ginevra). Vergnano sogna (ma è solo un “si dice”) di sostituirlo con Daniele Gatti, direttore d’orchestra di cui si parla anche a Firenze.
Sul Maggio Musicale Fiorentino, pur con il suo nuovo, appetibile teatro, Gatti, adorato dai renziani (viva i giovani dinamici e basta con le figure onorarie ma saltuarie come Zubin Mehta), non ha sufficienti garanzie di risorse e nicchia di fronte all’invito. Qualcuno ha pure avanzato l’ipotesi che Riccardo Muti, legato al Maggio da un antico affetto (fu il primo incarico in Italia), e in visita al nuovo palcoscenico quest’estate, stia riflettendo su Firenze. Anche se altri teatri sarebbero disposti ad aprire le porte al maestro.
Quanto alla Scala, ha superato da poco il trauma Pereira, sovrintendente in arrivo da Salisburgo. Impavido nell’incoronarsi compratore di se stesso, ha fatto acquisire al teatro milanese produzioni del festival austriaco. Lo scandalo è rientrato, ma non è stata una bella mossa di partenza. Pereira giura che farà confluire nelle casse della Scala un cospicuo patrimonio di sponsor, e ha l’aria d’infischiarsene dei finanziamenti pubblici. Atteggiamento sospetto per i sindacati, che lo considerano un passo verso la privatizzazione.
Il Carlo Felice di Genova è reduce da una rottura clamorosa tra il sindaco Marco Doria e il sovrintendente Giovanni Pacor per un buco in bilancio di 5, 8 milioni. Sfiduciato Pacor, è stato appena nominato Maurizio Roi, ma il teatro langue nell’assenza di direttore musicale e di molto altro. Un’isola felice è Venezia, dove Cristiano Chiarot, sovrintendente della Fenice, festeggia 121 recite all’anno e tre bilanci in pareggio, con raddoppio dei ricavi dalla biglietteria. La ricetta? «Controllo assoluto dei costi e produttività elevata delle masse. Per ogni titolo si fa una proiezione economica che prevede un piano di ammortizzamento attraverso le riprese. Stiamo per debuttare con la centesima replica della nostra bellissima “Traviata”».
Non altrettanto amena è la situazione al San Carlo, le cui problematiche affondano nel vecchio passaggio d’identità dei teatri d’opera, che da enti lirici, negli anni Novanta, divennero fondazioni di diritto privato. A Napoli la patrimonializzazione non è mai stata compiuta, e a dispetto di sei bilanci in pareggio si amplia la voragine del debito. Accanto alla sovrintendente Rosanna Purchia e al direttore artistico Vincenzo De Vivo, oggi lavora un commissario. Il direttore musicale Nicola Luisotti, impegnato con lo stesso ruolo a San Francisco, è poco presente, e non è improbabile che si stia cercando un’alternativa più efficace. La tentazione di fantasticare sul napoletano Riccardo Muti non è realistica, considerando anche che da tempo il maestro non ha più voluto dirigere al San Carlo.
Al Petruzzelli di Bari, commissariato e poi rilanciato da Carlo Fuortes, il neo-eletto Massimo Biscardi ha tagliato titoli della precedente gestione, dato che nel 2013 il Comune di Bari ha versato due milioni di euro in meno al teatro. Strategia di risparmio non gradita al direttore musicale Daniele Rustioni, che si è visto cancellare la Lucia di Lammermoor e il Trittico di Puccini. Se il teatro non viene ricapitalizzato, si andrà a un nuovo commissariamento.
Anche il Massimo di Palermo è stato a lungo commissariato, e si è appena avviata la sovrintendenza di Francesco Giambrone, che sostiene aver trovato un teatro allo sbando: «Non c’è direttore artistico e manca un direttore musicale da dieci anni. Ne ho designato uno, che annuncerò tra pochi giorni. Ma intanto abbiamo perso la metà degli abbonati». Il melodramma continua.
Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 23/9/2014