Tino Oldani, ItaliaOggi 23/9/2014, 23 settembre 2014
FU KEYNES A IDEARE IL FMI PER DARE PRESTITI AI PAESI IN CRISI, MA OGGI LA LAGARDE AIUTA SOPRATTUTTO LA FINANZA SPECULATIVA
L’economia italiana non riparte? Con l’arroganza che da tempo lo distingue, il Fondo monetario internazionale (Fmi), diretto dalla francese Christine Lagarde, ha suggerito un rimedio che con la ripresa c’entra come i cavoli a merenda: tagliare in modo più deciso le pensioni e la sanità. Finora né il premier Matteo Renzi, né il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, hanno risposto. Nei loro panni, poiché una diminutio della sovranità nazionale è inaccettabile sempre e da chiunque provenga, l’avremmo rispedita al mittente con un tweet, di quelli che piacciono al premier: «Cara Christine, ricordati di Keynes e smettila di tradire la missione del Fmi». Se Renzi volesse farlo suo, ecco due righe di spiegazione.
Il Fmi, istituito dopo la seconda guerra mondiale, non sarebbe mai nato se l’economista inglese John Maynard Keynes, molto influente in quella fase storica, non l’avesse ideato e patrocinato. Le sue teorie, favorevoli all’intervento pubblico in economia, ebbero un ruolo decisivo nella ricostruzione post-bellica e nel rilancio dei Paesi occidentali. Del Fondo monetario, poi, è considerato il padrino intellettuale: la missione originaria del Fmi era di esercitare una pressione internazionale sui Paesi in difficoltà, con elevata disoccupazione, affinché adottassero politiche espansive della spesa pubblica, soprattutto quando era evidente che lo stesso obiettivo sarebbe stato impossibile facendo leva unicamente sui mercati. Per rilanciare l’economia, sosteneva Keynes, il Fmi doveva fornire ai governi la liquidità necessaria, con prestiti a tassi molto bassi, sostenendo, in questo modo, «la domanda aggregata globale». I risultati della ricostruzione postbellica gli diedero ragione, e continuarono a dargliela per decenni, almeno fino a quando il Fmi ha seguito le sue teorie economiche.
Da anni, purtroppo, non è più così. «Se oggi vedesse che ne è stato della sua creatura, Keynes si rivolterebbe nella tomba» ha scritto Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, in un saggio di alcuni anni fa, ma attualissimo («La globalizzazione e i suoi oppositori»; Einaudi). «Negli anni, il Fmi è cambiato profondamente. Nato sul presupposto che, a volte, i mercati funzionino male, ora è diventato con furore ideologico il paladino della supremazia del mercato sui governi. Costruito sul convincimento che occorra esercitare una pressione internazionale sugli Stati affinché adottino politiche più espansive per superare le crisi, oggi il Fmi tende invece a fornire i prestiti solo ai Paesi che con le loro politiche di austerità conducono a una contrazione dell’economia». La cura tremenda a cui è stata sottoposta la Grecia, con un aumento vertiginoso della disoccupazione e della povertà, è solo l’ultimo esempio di una casistica molto ampia di errori compiuti dal Fmi, errori che Stiglitz passa in rassegna Paese per Paese, bocciando il Fondo senza appello.
Ufficialmente, il Fmi non ha mai modificato il proprio mandato, che è tuttora quello indicato in origine da Keynes. Ma, nei fatti, ha cambiato in modo radicale la propria agenda. Scrive Stiglitz: «Si è passati dal servire gli interessi economici globali al servire gli interessi della finanza globale. La liberalizzazione dei mercati dei capitali non avrà forse contribuito alla stabilità economica mondiale, ma ha sicuramente aperto nuovi, vasti mercati per Wall Street». Un’accusa pesante, quella del Nobel Stiglitz, che indica «in un’ideologia neoliberista semplicistica» la maschera dietro la quale il Fmi ha cambiato la propria missione per «poter svolgere i veri affari». Ora il Fmi agisce «affrontando i problemi dal punto di vista e secondo l’ideologia della comunità finanziaria internazionale, intimamente allineata ai suoi interessi». Tanto è vero che «molti funzionari chiave» del Fmi (di alcuni, Stiglitz fa anche i nomi), lavoravano prima nella comunità finanziaria, dove - dopo qualche anno di lavoro al Fmi - sono spesso tornati per ricoprire posizioni direttive di primo piano, con stipendi da favola. Un andazzo sgradevole, che continua tuttora.
Torniamo all’Italia. La riforma delle pensioni di Elsa Fornero (governo Monti) è la più severa e sostenibile in Europa, e produrrà 80 miliardi di risparmi in otto anni. La spesa sanitaria italiana, pari al 7% del pil, è inferiore a quella di tutti i maggiori Paesi europei. Da tagliare, su queste due voci, c’è ben poco. Ma pensioni e sanità costituiscono il nocciolo vero del welfare italiano e valgono centinaia di miliardi l’anno. È su questi miliardi che la comunità finanziaria internazionale ha messo da tempo gli occhi, con l’obiettivo di metterci sopra anche le mani, passando da un sistema di welfare pubblico a uno privato. Un boccone ghiotto per la grande finanza, che per la signora Lagarde dovrebbe rientrare quanto prima tra quelli che Stiglitz definisce «i veri affari», a cui il Fmi fa da spalla. Solo così si può spiegare la sollecitazione del Fmi a Renzi e a Padoan, perché diano inizio alla mattanza del welfare italiano: una richiesta indebita, che un Paese democratico, orgoglioso della propria sovranità, dovrebbe respingere al mittente con assoluta fermezza.
Tino Oldani, ItaliaOggi 23/9/2014