Federica Sasso, D, la Repubblica 20/9/2014, 20 settembre 2014
SINAGOGA RAP
La giacca zebrata è appesa in camerino, dal palco arriva la musica di una canzone in yiddish e Lipa sta meditando nella stanza a fianco. Mancano pochi giorni alla festa ebraica di Purim e nel teatro del Queens College di New York è tutto pronto per il concerto, bisogna solo scegliere il copricapo da indossare sopra la kippah: quello in pelo nero con la punta ricoperta di zirconi o uno azzurro con le corna gialle? Lipa Schmeltzer è la pop star del mondo ebraico ultraortodosso. L’unico cantante che alterna ballate ispirate alla Torah a brani che osano un misto di rap e musica elettronica per parlare di dieta e telefonini. Ma soprattutto l’unico che con le sue giacche rosso fuoco, i cappelli esagerati e una collezione di occhiali stravaganti ha rivoluzionato un universo regolato dalla modestia del bianco e nero. «I take hassidic and I pump it up», “prendo la tradizione hassidica e alzo il volume”, dice ridendo mentre prova il cappello con le corna. «Mi descrivono come una Lady Gagà in versione maschile e ortodossa, ma io rispondo sempre che è lei a essere una Lipa non ebrea».
Lazar Lipa Schmeltzer arriva da New Square, roccaforte dell’hassidismo ultraortodosso fondata da russi, polacchi e ungheresi sopravvissuti all’Olocausto. In questo piccolo centro a un’ora di macchina da New York si parla solo yiddish e le scuole sono esclusivamente religiose. Lipa è il penultimo di dodici figli e ha seguito il percorso riservato a tutti i ragazzi ortodossi. Niente inglese, quasi nessun contatto con il mondo esterno, l’unica musica ammessa è quella in cui i testi sono preghiere: «Non avevo idea di cosa fosse la cultura pop, sapevo solo che volevo cantare», racconta. Ma adesso, a 36 anni, ha fatto una cosa mai vista: si è laureato. «Dove c’è una volontà c’è una via», ha twittato per far sapere ai suoi 13 mila followers (Barack Obama incluso) di aver concluso il corso in arte e spettacolo alla State University of NewYork. «Volevo migliorarmi, studiare canto e recitazione», spiega, «all’inizio è stata dura, le scuole religiose non sono riconosciute dallo stato e non avevo neanche un diploma valido».
Lipa racconta che a 4 anni le sue potenzialità di performer erano già intuibili. «Ho sempre cantato, e questo mi ha salvato dalla rigidità delle regole». Non è stato semplice crescere in una comunità di stranieri in cui la religione ha fatto da collante e si è radicalizzata. «Se guardi le fotografie scattate prima della guerra, tra gli ortodossi europei c’era spazio per la diversità, qui invece tutto è stato portato all’estremo e sembra che questo sia l’unico hassidismo possibile». Per trovare il suo modo di esser religioso Lipa se n’è andato. Dopo aver tentato di farsi accettare come artista, lui, la moglie e i quattro figli si sono trasferiti a Monsey, un’altra enclave ortodossa della zona in cui i costumi però sono più rilassati. Lì ha fondato una sinagoga dalle pareti blu in cui prega assieme ad altri fuoriusciti di New Square e continua a comporre la sua musica spirituale. «La mia non è una musica religiosa, perché chiamarla così fa pensare a obblighi e rituali a cui dobbiamo sottoporci; è una musica spirituale, che ascoltiamo perché ci piace e ci aiuta a elevare l’anima». Nei suoi 14 album sono raccolte preghiere solenni e ritmi klezmer, ma rappando in un misto di yiddish, ebraico e inglese o cantando su un brano elettronico Lipa lancia anche provocazioni su temi come l’ossessione per il denaro o il fatto che dovremmo stare un po’ meno al telefono. I toni sono semplici e spesso anche comici. Nel video di Hang up the phone, completamente ricoperto di vernice argento, recita la parte di un automa chiuso in un negozio di elettrodomestici e balla assieme a un gruppo di attori (tutti gli automi indossano rigorosamente la kippah).
Le sue canzoni segnano una specie di anno zero per la musica hassidica. «Quando ho cominciato a cantare professionalmente sono stato attaccato perché il mio stile è troppo moderno per New Square. Ero confuso e la decisione di vestirmi in modo così colorato è stata la reazione al fatto che mi sentivo respinto», ricorda. «Certi cantanti usano la loro immagine per comunicare con i fan, e io ho deciso di essere un’alternativa kosher adatta al pubblico ortodosso, ma per alcuni rabbini questo non va bene». Nel 2008 il grande concerto che Lipa avrebbe dovuto tenere al Madison Square Garden è stato cancellato a causa di un annuncio pubblicato su un giornale ortodosso, Hamodia: 33 rabbini mettevano all’indice i balli e le canzoni capaci di provocare “volgarità e stordimento” pericolosi per i giovani. Molti di loro poi hanno detto di non esser contrari alla musica di Lipa, ma il danno era fatto. I membri delle comunità ultraortodosse sparse per il mondo comunque continuano a cliccare i suoi video su YouTube e a comprare i suoi dischi, entusiasti di questo performer generoso e autentico. «Lipa Schmeltzer è la cosa migliore che sia capitata alla musica popolare ebraica in tanto tempo», ha scritto Ester Werdiger su The Awl, un blog culturale molto seguito a New York. Werdiger è un’artista australiana nata in una famiglia moderatamente ortodossa in cui si ascolta di tutto. Dal suo punto di vista a cavallo tra due mondi spiega che «nessun altro come Lipa riesce a sfidare le convenzioni pur restando tradizionale. Il suo pubblico è composto da persone molto lontane dalla cultura secolare, e anche se i balletti non sono perfetti e spesso lui è buffo, si capisce subito che è una persona intelligente che vuole offrire qualcosa di diverso». Lipa ascolta ancora molta musica ebraica, ma si è aperto in modo onnivoro a tutto quello che si produce intorno a lui. E diventa quasi concitato quando racconta di voler «cantare brani che parlano di cambiamento, provocare, perché non dobbiamo escludere chi la pensa diversamente». Il suo ultimo album si intitola La scintilla nascosta, quella che «tutti hanno. Chi non la intravvede in se stesso o negli altri ha solo le finestre interiori un po’ impolverate dal dolore e della paura. Ma tu puoi pulirle per lui».