Valerio Cappelli, Corriere della Sera 23/9/2014, 23 settembre 2014
ACCUSE TRA ORCHESTRALI ALL’OPERA IL TEATRO SI SPACCA SUL DOPO MUTI
ROMA — All’Opera di Roma Prova d’orchestra è un film che si gira ogni giorno. Dopo l’addio di Riccardo Muti, l’atmosfera è irreale, sospesa. Fuori del teatro c’è un cartello: «Muti non dirigerà». I dipendenti sono tutti sindacalizzati, tatuati dall’iscrizione a una sigla, la loro carta d’identità. Volano accuse reciproche, «avete cacciato Muti», «no, siete stati voi, servi del sovrintendente». Si fa già il toto direttore e qualcuno su Facebook scrive «che squallore», altri fanno nomi a caso. C’è un’ipotesi concreta di chiusura del teatro, letta come un’opportunità, come accadde a Parigi, Londra e New York, che rifiorirono dopo il baratro.
Muti è andato via per le continue minacce di sciopero selvaggio, per gli spettacoli azzoppati senza orchestra, per lo sgarbo degli orchestrali che non lo hanno seguito nella tournée in Giappone. Sta per cominciare la «caccia» al direttore per l’Aida che il 27 novembre apre la stagione. Una corsa contro il tempo, bisogna trovare il sostituto di Muti, e, come dice il Commendatore a Don Giovanni, «più tempo non ho». È girata la voce, infondata, che Micha van Hoecke, direttore del ballo e collaboratore di Muti, si sarebbe dimesso: il contratto gli scadrà a novembre, arriverà Eleonora Abbagnato.
L’Opera vuole nominare un direttore musicale con cui costruire un percorso quotidiano, come Chailly alla Scala e Pappano a Santa Cecilia, uscendo dai limiti del direttore onorario a vita, qualifica che non ha vincoli né responsabilità, e che Muti potrà continuare a mantenere, pur se non dirigerà a Roma. Si possono solo ipotizzare nomi di direttori che hanno avuto un buon rapporto col teatro, Conlon, Steinberg, Dutoit, Roberto Abbado; oppure uno dei tanti italiani under 40.
L’arrivo di Muti si è rivelato una ciliegina senza torta, una bella toppa su una giacca piena di buchi, buchi (economici) che a lui erano stati nascosti. Dopo la sua rinuncia, l’orchestra si è spaccata; si danno la colpa gli uni con gli altri, si sfogano sui social network. Davide Simoncini (tromba): «Sarà dura per tutti noi, di qualunque pensiero siamo, il progetto di demolizione artistica del nostro teatro sta procedendo a gonfie vele». Paolo Ciminelli (violoncello): «Certo che due righe di pubblici saluti e ringraziamenti per noi (Muti, ndr ) li poteva pure fare».
La vera urgenza, si dice, è il cambio radicale dei rapporti con i sindacati: «Deve cessare la protesta come ricatto perenne». La larga maggioranza dei dipendenti (Cisl e Uil) ha detto «sì» all’approvazione del piano di risanamento, ma le proteste delle due sigle minoritarie, Cgil e Fials, continuano, dicono che il referendum non è valido. «In democrazia conta il parere della maggioranza», ribadisce il sindaco Marino. A Roma non è così. Infatti la minoranza dei dipendenti, aderenti a Cgil e Fials (hanno in mano l’orchestra) stanno paralizzando da un anno il teatro: rivendicazioni e privilegi, il conservatorismo che avanza. Su 460 assunti a tempo indeterminato, la Cgil ne ha 76 (ma sono confluiti una quarantina dal Libersind) e la Fials 71. Il piano di risanamento è la condizione per avere i 20 milioni dal ministero (5 sono già arrivati), con cui si ripianerebbe il buco di 28 milioni di debito della passata gestione. «Ma i conti del 2014 sono in equilibrio», dice Fuortes. Chi protesta parla di comportamenti antisindacali, chiede «un’operazione verità», vuole riportare la pianta organica a 631 unità, «per non diventare un teatro di provincia». Ma nel 2013 (quando il passivo fu di oltre 12 milioni), in un budget di 56 milioni (ora è di 55), 39 milioni 967 vennero assorbiti dal costo del personale. «Nel 2014 questa voce scenderà di 6 milioni», dice Fuortes. Nel contratto integrativo ha chiesto «maggiore produttività ed elasticità, solo pensionamenti volontari o prepensionamenti, e livelli economici inalterati: non un euro in meno». Però Fuortes ha tolto il giocattolo delle indennità, i cosiddetti «concerti a perdere» eseguiti nelle chiese con cui gli orchestrali raddoppiavano la giornata di lavoro. Se non si vuole indebitare di nuovo, bisogna accettare una pianta organica al passo coi tempi, che sarà discussa a partire da gennaio. Simona Marchini auspica la pace e ricorda che il cda, di cui fa parte, si è insediato «poco prima di Natale, ci hanno presentato i conti reali e non quelli fasulli e dovevamo ratificare subito decisioni importanti, non c’era un euro in cassa. Cosa vuole la Cgil non l’ho capito, e lo dico con rammarico visto che non ho mai nascosto le mie idee».
Il Comune di Roma dà (unico in Italia) dà 16 milioni e 500 mila euro l’anno. Se si divide questa cifra per il numero delle recite d’opera (71) e di balletto (43), viene un contributo di oltre 144 mila euro per ogni serata (esclusa l’estate a Caracalla). Perlomeno, il Titanic chiamato Opera di Roma ha perso il comandante «onorario a vita», ma non imbarca più acqua.