Biagio Simonetta, Il Sole 24 Ore 21/9/2014, 21 settembre 2014
COSA SANNO DI NOI I NOSTRI MEDIA SOCIALI?
Quando Ellen DeGeneres, la conduttrice della notte degli oscar, scatta un selfie immortalando star hollywoodiane del calibro di Brad Pitt, Julia Roberts e Jennifer Lawrence, forse neanche immagina che quella foto è destinata a diventare l’istantanea più condivisa di sempre. Storie del macrocosmo social. Un mondo complesso, infinito. Un mondo dal quale stare alla larga, se sei un fanatico della privacy. Perché sui social network la privacy abbraccia i meandri più complessi del relativismo. Prendere o lasciare.
Quello che per le big di internet conta sono i dati. Un discorso assai delicato che troppo spesso gli utenti ignorano. Mikko Hypponen, fra i massimi esperti di sicurezza informatica a livello mondiale, per sottolineare l’importanza dei dati in possesso dai social network ha fatto l’esempio di Facebook lanciando una provocazione: «Potrebbe sapere addirittura prima di voi che la vostra storia d’amore sta finendo, comparando la mole di messaggi che si scambiano due persone».
Ma che fine fanno i nostri dati? Cosa ne fanno i social network?
Facebook. Quello di Mark Zuckerberg è il social network più diffuso al mondo, con numeri che fanno impallidire anche i più cinici: 1,3 miliardi di utenti attivi mensilmente. Un quinto della popolazione mondiale (escludendo vecchi e bambini il rapporto sarebbe più pesante). Aprendo un account su Facebook ci viene chiesto di inserire molti dati che configurano la nostra persona. In pochissimi si chiedono che fine facciano questi dati. Facebook ci dice che l’utente è il proprietario di tutti i contenuti e delle informazioni pubblicate e che lo stesso utente può controllare in che modo possono essere condivise mediante le impostazioni sulla privacy. Ma ci dice anche che per alcuni dati (come foto e video) «l’utente concede a Facebook una licenza non esclusiva, trasferibile, che può essere concessa come sottolicenza, libera da royalty e valida in tutto il mondo, per l’utilizzo di qualsiasi Contenuto Ip pubblicato su Facebook o in connessione con Facebook («Licenza Ip»). La Licenza Ip termina nel momento in cui l’utente elimina il suo account o i Contenuti Ip presenti sul suo account, a meno che tali contenuti non siano stati condivisi con terzi e che questi non li abbiano eliminati». Burocratese puro che in parole comuni significa: i dati sono tuoi, ma Facebook può usarli e ricavarne danaro. E se un piccolo aiuto può arrivare dalle impostazioni sulla privacy, vale la pena ricordare che di default la creazione di un account prevede un profilo apertissimo e dai contenuti pubblici.
Twitter. Le differenze fra Twitter e Facebook sono sostanziali. Ma il costrutto non cambia granché, quando si parla di dati. Anche il social dell’uccellino raccoglie foto e pensieri degli utenti. E cosa ne fa? A leggere i termini d’uso il concetto sembra abbastanza chiaro: noi ti offriamo i servizi, tu ci dai i tuoi dati. «Con la fruizione dei Servizi, l’utente fornisce il proprio consenso alla raccolta e all’utilizzo di tali dati (come stabilito nell’Informativa sulla Privacy), ivi incluso il loro trasferimento negli Stati Uniti e/o in altri Paesi, ai fini della loro memorizzazione, elaborazione e utilizzo da parte di Twitter». La società di San Francisco non fa mistero di utilizzare i Log Data, ciò significa che i server di Twitter registrano automaticamente i dati generati dal tuo uso del servizio (indirizzo Ip, tipo di browser, sistema operativo, pagina web di riferimento, pagine visitate, localizzazione, il tuo operatore telefonico, Id applicazioni e dispositivo, termini di ricerca e informazioni sui cookie). Dati che servono a «fornire, personalizzare e migliorare i nostri Servizi». Ergo: profilazione dell’utente altissima.
Instagram. Il social network del fotoritocco per eccellenza è un’altra miniera d’oro di dati. Basti pensare che ogni secondo vengono caricate su Instagram 3.600 foto. Ed è inquietante leggere nei termini d’uso (strettamente in inglese) che «Instagram non rivendica la proprietà di qualsiasi contenuto che pubblichi» ma allo stesso tempo creando un account e pubblicando una foto «concedi a Instagram una licenza d’uso non esclusiva, senza royalty, trasferibile e sublicenziabile sui contenuti che pubblichi sul servizio o attraverso lo stesso». In teoria, dunque, Instagram può fare delle tue foto ciò che crede.
Google Plus. È un social network che stenta a decollare. I numeri relativi agli iscritti sono buoni, ma solo perché Google di fatto impone agli utenti Gmail o YouTube di aprire un account Google Plus. In questo caso il capitolo relativo ai dati è in mano a Google. Big G è probabilmente la società da sempre più esposta quando si parla di profilazione degli utenti. Non salterete di certo sulla sedia, dunque, se dovessero dirvi che Google può riutilizzare, archiviare, riprodurre e modificare tutto quello che pubblicate su YouTube, Google+ e Google Play a scopo promozionale. E che questa licenza permane «anche se l’utente smette di utilizzare i nostri Servizi». È scritto in modo evidente nei termini di servizio. Già, quelle norme che non legge mai nessuno. Perché fra un tweet, una foto e un messaggio... non c’è mai tempo.
Biagio Simonetta, Il Sole 24 Ore 21/9/2014