Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 22 Lunedì calendario

ENI, DESCALZI ROMPE CON L’ERA SCARONI E RIDISEGNA IL GRUPPO

Matteo Renzi lo ha difeso con parole non rituali. E lui stesso, oltre ad assicurare la correttezza del suo gruppo, ha deciso di dichiararsi pubblicamente estraneo a quella vicenda di corruzione internazionale legata all’acquisto di un giacimento nigeriano per la quale è indagato dalla Procura di Milano.
Per Claudio Descalzi, da cinque mesi alla guida dell’Eni e da due settimane nell’occhio di una tempesta mediatico-giudiziaria legata proprio alla Nigeria, la scommessa adesso non è solo quella di mantenere la guida del maggior gruppo petrolifero italiano - del resto glielo ha chiesto espressamente lo stesso Renzi, quando nei giorni immediatamente successivi all’avviso di garanzia il manager ha pensato di dimettersi - ma anche quella di puntare la bussola del gruppo in una nuova direzione.
Il nuovo amministratore delegato vuole spostare l’asse dell’attività di Eni dalla direttrice Est-Ovest a quella Nord-Sud, cioè ridurre drasticamente rapporti - e dipendenza energetica - con la Russia, per stringere sempre più rapporti con i Paesi africani e nell’area del Mediterraneo. E ancora, intende concentrarsi rapidamente su quello che Descalzi, ingegnere di formazione, considera il vero core business del gruppo, ossia l’attività di esplorazione e produzione. Ciò che in gergo petrolifero di chiama l’«upstream», destinato a portare le fonti energetiche dai giacimenti alla disponibilità del produttore.
La ritirata dalla Russia appare come una scelta in profonda rottura con il credo di Paolo Scaroni - amministratore delegato dell’Eni per nove anni, del quale Descalzi è stato il braccio destro - che fino alla fine del suo mandato ha sostenuto la centralità di Mosca nel grande puzzle dei fornitori energetici dell’Italia. Ma è una ritirata che viene facilitata, se non addirittura spinta, anche dal clima di nuova Guerra Fredda che si respira tra Mosca e le capitali europee. La prima mossa è avvenuta in realtà a gennaio, nelle ultime settimane di Scaroni, con la vendita del 60% di Artict Russia a società locali per circa 3 miliardi di dollari. Ma adesso, dopo che Descalzi ha rinegoziato gli onerosi contrati «take or pay» con Gazprom, anche il gasdotto Southstream, del quale l’Eni possiede il 20% della parte offshore, potrebbe non essere più una priorità assoluta per il gruppo italiano. Dichiarazioni ufficiali in tal senso non ci sono, ma tra i ragionamenti che si fanno nel gruppo c’è appunto quello di spostare le fonti di approvvigionamento sempre più verso l’Africa, contando anche sulla rete di rigassificatori spagnoli, staccandosi in tempi non lunghissimi dalla Russia. Una decisione in questo senso di sicuro non spiacerebbe a Washington, da sempre contraria al gasdotto che promette di unire Russia ed Unione Europea. Non si sa, invece, quale sarà il destino degli accordi esplorativi dell’Eni con il colosso Rosneft, ancora allo stato preliminare, nel Mar Nero e nel Mare di Barents.
Per quel che riguarda invece la strategia di concentrarsi sull’attività di esplorazione e produzione, Descalzi sta facendo anche manovre impopolari fuori e dentro l’azienda. Dopo un mese dal suo arrivo ha varato una riorganizzazione assai netta, che ha trasformato le divisioni dell’Eni in semplici unità di business, spingendo quindi per una centralizzazione decisa. Alcune conseguenze del nuovo piano industriale sono già visibili. Ad esempio la decisione rapidissima presa dal nuovo management di uscire dalla petrolchimica a Gela, con conseguente trattativa e decisione di spingere invece l’impianto siciliano verso i biocarburanti. Altre conseguenze potrebbero vedersi presto. Un business non centrale come quello delle condutture, gestito dalla Saipem e comunque molto redditizio, va verso la vendita, anche se questa estate l’ad ha detto di non avere fretta. E in prospettiva in casa Eni si ragiona anche sull’opportunità di restare nel mercato retail dell’energia. Ha senso che il cane a sei zampe - è la domanda - si occupi di contratti domestici e bollette da riscuotere?
Corollario non di secondo piano alla riorganizzazione è anche un deciso taglio alla grande macchina di comunicazione e pubbliche relazioni del gruppo: il precedente budget di 270 milioni, in pratica oltre un milione destinato ai rapporto con l’opinione pubblica per ogni giorno lavorativo dell’anno, è stato dimezzato.
Ma riuscirà Descalzi a portare avanti la sua strategia o il manager sotto indagine è ormai azzoppato? A questo punto pare destinato a proseguire per la sua strada, con tanto di benedizione dell’azionista pubblico di maggioranza. Ma resterà deluso chi si aspetta che dal cda dell’Eni possa venire la proposta all’assemblea di un’azione di responsabilità nei confronti dei passati vertici e in particolare di Scaroni, che pure è indagato per l’affare nigeriano assieme al faccendiere Luigi Bisignani. Anche nelle sue dichiarazioni rilasciate ieri a Repubblica, Descalzi chiarisce che per lui il comportamento del gruppo - che ha trattato direttamente con il governo nigeriano per acquistare assieme alla Shell un giacimento - è stato corretto. Un ragionamento che, almeno allo stato delle cose, non lascia spazio a rivalse sul suo predecessore.
Francesco Manacorda, La Stampa 22/9/2014