Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 22/9/2014, 22 settembre 2014
“OGNI SIGARO È UN PEZZO UNICO, CREARLI È COME FARE LA STILISTA”
Lorenza Pardi ha la voce squillante di una ragazzina, dimostra meno della metà dei 62 anni che le attribuisce la carta d’identità. Lavora in fabbrica, a Lucca, da quando ne aveva 27. Il sigaro toscano è un orgoglio italiano, gli stabilimenti che lo producono (quelli della famiglia Maccaferri) a Lucca sono un’istituzione. Lorenza ha passato buona parte della sua vita – “i migliori anni”, sorride lei, “come canta Renato Zero” – a preparare sigari toscani. E non rimpiange un solo secondo: “È difficile da spiegare la gioia che si prova quando puoi stringere tra le dita il frutto del tuo lavoro. Quello che fai, è tuo. E con i sigari, sei come una stilista”. Non è un’esagerazione. Ogni singolo sigaro toscano è fatto a mano. Ognuno, in maniera magari quasi impercettibile, è diverso dall’altro, un pezzo unico. La preparazione segue un rituale meticoloso, ma alla fine il risultato è il frutto dell’abilità e in qualche misura dell’estro della sigaraia.
Già, sigaraia: rigorosamente al femminile. Le operaie del toscano sono una figura storica. Le sigaraie furono le prime donne a entrare nel mondo del lavoro con diritti (quasi) equiparabili quelli degli uomini. Diritti che furono il frutto anche di lotte dure. Come in We Want Sex, il film di Nigel Cole sulle battaglie sindacali delle operaie della Ford in una fabbrica dell’Essex, anche Lucca ha avuto il suo manipolo di combattive lavoratrici. A metà dell’800 erano appena una ventina. Nel corso dei decenni sono cresciute in modo esponenziale: a inizio ‘900 le impiegate nelle manifatture del tabacco erano già 12 mila. Un lavoro durissimo, dalle 7 alle 14 ore al giorno, tra i soprusi e i sospetti dei colleghi uomini, i controlli continui e i ritmi infernali. Le sigaraie hanno lottato con uno spirito impressionante per la figura femminile dell’epoca, ancora lontana dalle battaglie per l’emancipazione. A Lucca si ricorda ancora la ribellione degli anni 1912/13.
Oggi quei rapporti di lavoro e quelle forme di oppressione non esistono più. Le operaie del tabacco hanno vinto la loro lotta. Sono loro la spina dorsale dell’azienda. A Lucca gli operai uomini sono una sparutissima eccezione: appena un paio negli ultimi trent’anni. Come ricorda Lorenza, “già quando ero bambina, la fabbrica era osservata con orgoglio, era un luogo di prestigio: un buon lavoro con una buona paga”. Lei la guardava dall’esterno, quando era bambina. A 11 anni accompagnava al lavoro la zia. Venivano da un paesino, Santa Maria a Colle. Lucca e la sua manifattura sembravano enormi. Lorenza osservava la fabbrica e si chiedeva se ci sarebbe entrata mai. L’ha fatto nel 1979. “Era tanto diversa da come è oggi. Ai tempi praticamente nemmeno si poteva parlare. Ci guardavamo di sottecchi e parlavamo a bassa voce, quasi sussurrando. Oggi siamo una grande famiglia”. Il lavoro richiede due anni di apprendistato. È sempre lo stesso, praticamente, da 200 anni, tramandato spesso di madre in figlia. “Una brava sigaraia – dice Lorenza – si distingue dalla sensibilità manuale e dalla capacità di scegliere il giusto quantitativo di tabacco – i filamenti, che teniamo in piccoli sacchi – da avvolgere nella foglia, che poi va stesa, tirata e intagliata con delicatezza”. Lei non ha mai fumato nemmeno un sigaro, ma giura che non cambierebbe il suo lavoro con nulla al mondo.
Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 22/9/2014