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 2014  settembre 21 Domenica calendario

PER CAMMARIERE È «NO»

[Intervista a Sergio Cammariere] –

Oltre i confine del possibile, oltre il jazz, oltre il blues, oltre lo swing. Sergio Cammariere porta la sua musica raffinata ed elegante a incrociarsi con ritmi esotici e mediterranei in un nuovo viaggio con le sette note. Un nuovo itinerario che va a comporre Mano nella mano (Sony), l’album di inediti di questo pianista che stupì al Festival di Sanremo 2003 e si è ripetuto all’Ariston cinque anni dopo con quel mezzo capolavoro che era L’amore non si spiega. Il disco, in uscita martedì 23, contiene dieci brani più un pezzo strumentale (Pangea) ed è il passepartout per entrare in confidenza con questo straordinario musicista di Crotone che è qualcosa di più di un semplice cantautore.
Cammariere, dove vuole recarsi in questo viaggio musicale?
«Premessa: questo è un disco da ascoltare tre-quattro volte prima di dare giudizi, non perché sia difficile, ma semplicemente perché è diverso dai miei soliti».
Si spieghi meglio...
«Nella tracklist e in brani come Ed ora oppure Siedimi accanto affronto ritmiche insolite. Ho esplorato la musica araba, quella marocchina, quella andalusa e persino la melodia sudamericana».
La canzone più bella dell’album è Le incertezze di marzo. D’accordo?
«Da quattro-cinque anni questo brano, oggettivamente riuscito, frullava nei tasti del mio pianoforte e sarebbe stato perfetto per un ritorno a Sanremo».
Lei è un artista intelligente e preparato come pochi: come si relaziona con la musica di oggi?
«Bene e male. Bene perché ho amici, da Fabrizio Bosso al paroliere Roberto Kunstler, con i quali formo un club esclusivo. Male perché si sentono in giro certe robe...».
Un esempio?
«Senza troppi giri di parole, la musica di oggi è omologata ed è vittima di un sistema che vede i talent unica chiave di volta per emergere. Ma frequentando un talent i ragazzi hanno una visione errata del nostro mestiere: cantano soltanto su basi musicali e non con un’orchestra. Così puntano soltanto a sfondare, ad avere successo e soltanto in un secondo momento questi ragazzi studiano. Curioso, no? Dovrebbero fare l’inverso».
La musica è diventata un karaoke e basta?
«Questa è l’impressione, oggi i talent hanno reso la musica una continua esibizione. Mi dà malinconia. Anche se quando ritrovo l’intimità con il pianoforte, che ho praticamente sposato, ritrovo il gusto del divertimento, vivo questo contatto come missione».
Lei ha avuto un grande maestro, Bruno Lauzi. Un artista dimenticato negli ultimi anni della sua vita...
«Le dirò di più: ho avuto la fortuna di conoscerlo e di suonare molte volte con lui. Era un genio, un talento immenso che è stato emarginato da quando decise di iscriversi al Partito Liberale. Erano gli anni ‘70. La sinistra cantautoriale non glielo ha mai perdonato e le case discografiche lo hanno
boicottato».
In effetti non aveva tanti amici nel mondo della musica, a parte Gino Paoli che era suo fratello di vita...
«Lauzi era compagno di scuola di Luigi Tenco. Era generoso. Negli anni bui venne a trovarlo Pippo Baudo e lo riportò nello show-business. Incideva canzoni per bambini».
Come viveva questa situazione, Lauzi?
«Con ironia. Una volta Repubblica mi dedicò un articolo corredato da una foto nella quale c’eravamo io e Bruno sul palco, solitamente suonavamo insieme quando lui veniva a Roma. Vista la foto, mi telefonò: “Sergio, vorrei tanto ringraziarti”. E io: “Perché Bruno?”. “Sono su Repubblica, erano 25 anni che la mia faccia non compariva su un giornale di sinistra!"».
Oggi la televisione e Sanremo si fanno senza Baudo: giusto pensionarlo?
«Affatto! Sarebbe un eccellente direttore artistico di Sanremo, migliorerebbe la qualità delle canzoni in gara. Quando presentava lui il Festival, faceva dei veri e propri provini a noi artisti e ci dava suggerimenti sul brano. E quasi sempre erano giusti. Lui ama la musica, non il karaoke».