Raffaele Carretta, IoDonna 20/9/2014, 20 settembre 2014
«INCONTRAI SUSANNA E FU AMORE VERO»
Nel ’65, a tredici anni, Giuseppe Ungaretti le baciò la mano. «Gli occhi già molto offuscati del poeta non potevano distinguermi dalle tante signore che affollavano la festa per Arnoldo Mondadori…». Nell’89, a 37 anni, Susanna Tamaro le molla un pugno: «La testa fra le nuvole era il suo primo romanzo, non lo avevo letto. A fine presentazione del libro glielo dissi. Lei rapidissima e senza una parola sferrò un colpo, qui, sulla spalla sinistra. Mi fece ridere: ma insomma, alzi le mani su chi neanche conosci?».
Ci si può chiedere se sia stato il precoce baciamano del poeta a legare Roberta Mazzoni al mondo dei libri. Ma nessun dubbio c’è sul pugno: la spinta verso una svolta, il gesto muto in una vita dedicata alle parole. Roberta ha una faccia tonda e gentile, un po’ bambina, con i capelli grigi tagliati corti corti, il naso piccolo, la voce che viaggia veloce. Ha appena pubblicato il quarto giallo, molto avvincente, della saga triestina sul commissario Benussi, Il tempo non cancella (Sperling & Kupfer). Anche questo come gli altri firmato con lo pseudonimo Roberta De Falco.
«Quando ho cominciato a scrivere, vivevo già con Susanna Tamaro, non volevo essere collegata al suo travolgente successo. E poi, Mazzoni non mi piace». Anche se è il cognome di un padre importante, Carlo, architetto della borghesia milanese che a soli 29 anni aveva disegnato la meravigliosa casa di pietra e legno poi diventata il buen retiro di Alberto Mondadori, a Camaiore. La madre era una Durini, la famiglia che nel Seicento ereditò il feudo dei Leyva y Marino dopo lo scandalo della rampolla Marianna, la monaca di Monza.
«Si viveva al 14 di via Bagutta, nel palazzo che ci appartiene dal 1820 e dove tutt’ora abita mio fratello e mio cugino Carlo Orsi. Una casa talmente bella che un po’ diventa una prigione: la prima e unica che se n’è allontanata in due secoli sono stata io. I miei erano una coppia che attirava tutti, amica degli artisti. Da Ilaria Occhini a Giorgio Strehler. Eduardo De Filippo, uomo dai silenzi gelidi, mi voleva molto bene: avevo la stessa età della figlia, persa a 10 anni. Fu lui una sera a dirmi: ricorda, devi fare della passione il tuo lavoro! Mia madre annuiva. Era convinta che fossi un genio, anche se non si capiva in cosa».
Scoprire il segreto, individuare qual è la passione, come se la vita fosse un’infinita rincorsa alla prova e perciò all’errore, come se da qualche parte fosse sepolta la sola canzone che può renderci felici, e bastasse intercettarla per suonarne la musica. In famiglia la regola è mantenersi da soli, ma la nascita facilita: per Roberta, alla fine, il puzzle trova sempre il suo incastro favorevole. Anche se rimane incompiuto.
Il lavoro da scenografa al Piccolo Teatro con Ezio Frigerio: «Però dopo otto ore a fare macchie di candeggina sui tessuti per Le nozze di Figaro mi chiesi: che ci faccio qui?». Il cinema a Roma: «Raffaele La Capria, amico dei miei, mi presentò a Cesare Zavattini: un bambinone vulcanico, casa stipata di libri, polverosa, con segretaria polverosa incatenata alla macchina da scrivere» L’esperienza alla Rai di New York: «A una festa incontrai Ruggero Orlando che mi scrisse una lettera di presentazione. Diventai assistente volontaria della montatrice. Isabella Rossellini mi ospitò nel suo monolocale: lei dormiva sul materasso, io sullo chassis del letto». E c’è poi l’esperienza accanto a Liliana Cavani che dirige La pelle: «Ma per essere regista bisogna possedere una fiducia ostinata in se stessi che io non avevo». Alla fine il pendolo si ferma: dieci anni a fare sceneggiature, cominciando con Enrico Meldolesi, uno dei collaboratori storici di Visconti.
Eppure, in tutto questo tempo, c’è molta inquietudine, ma poco dolore. Come un vuoto che tiene sospesi a metà, senza mai sfiorare l’abisso e perciò nemmeno la vetta. Un tono neutro, diluito che non conosce gli acuti della passione.
«In amore non sono stata fortunata. Mai riuscita a ingranare. Con gli uomini ho avuto un paio di esperienze, finite malamente. E anche nel mondo femminile non trovavo intensità. Poi, confesso: per il sesso non ho mai avuto molto trasporto, sono sempre stata lenta, inadatta. Come se quello non fosse il mio posto». Un posto notturno dove il corpo sbiadisce perché è troppo presente di giorno: «A 15 anni già pesavo 77 chili. Essere grassi è uno dei grandi tabù di oggi. Non mi è mai stato perdonato».
Quando arriva Susanna Tamaro con il suo pugno, Roberta vive da sola in un attico a Trastevere. «C’era un gran via vai di amici, ma sempre più spesso mi chiedevo: quest’energia che ho dentro, quest’amore da dare dove lo metto? Pensavo di ammalarmi: succede quando il cuore si stringe troppo». L’incontro con “Susanina” ha subito qualcosa che viene da altrove: l’urgenza irresistibile di una richiesta d’aiuto, come di fronte a un bambino o a un cucciolo perduto.
«Aveva 32 anni e pesava forse 30 chili. Viveva in povertà assoluta, aveva un materasso di gommapiuma sfondato, le davano da mangiare i vicini. Un essere stranissimo, un’aliena incapace di badare a sé. Era stata odiata da sua madre, suo padre l’aveva ignorata. Voleva scrivere ma non aveva soldi. Mi piaceva farle da mangiare, le curavo l’asma, correggevo le bozze dei racconti. Leggevo e respiravo dolore, quello di quando sei inerme. Un’infanzia ferita, così diversa dalla mia. Più di qualunque fidanzamento è questo che mi ha legato. Anche se allora non capivo che cosa volevamo, dove poteva andare la nostra relazione».
Due donne che vivono insieme nella campagna di Orvieto, tra cani, alberi da frutta, arnie di miele: dopo 25 anni ha capito che rapporto è? «È il primo amore vero, l’unico che abbia mai avuto. In un senso molto materno, anche se può sembrare una storia di coppia tout court. Susanna all’inizio era piena di fidanzati, ma a una certa età, come succede a tante, ha perso interesse per il sesso. Io poi non l’ho mai avuto».
È come se la mancata esposizione alle correnti d’aria del desiderio e ai suoi raffreddori, abbia conservato alla giusta temperatura tutto il resto: «L’affetto, la sintonia, i libri, i viaggi, lo spirito, insomma la vita insieme che si accumula: più importante dei cinque minuti di sesso, o della notte intera che la maggior parte delle persone sembra considerare decisiva». E nello stesso tempo è tutto troppo bizzarro, su una coppia del genere aleggia sempre un sospetto implicito: «È la diffidenza verso l’unica diversità imperdonabile: quella di chi non si definisce. Lo fai con gli uomini o con le donne? Sei così o cosà? Be’, se devo definirmi in quel senso non so che dire. Ogni tanto mi chiamano madre badessa, però non sono per niente ascetica: mi piace mangiare e si vede. Peraltro, solo Susanna, filiforme ma gran divoratrice di calorie, è riuscita a trovare le parole giuste per consolarmi: elefanti e gazzelle mangiano la stessa erba, eppure…».