Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 20 Sabato calendario

IL PRESTANOME-DISCARICA DELLE SOCIETÀ IN CRISI LEGATE ALLA RENZI FAMILY


Alle 17 di ieri la procura di Genova era un fortino silenzioso. A quell’ora il procuratore aggiunto Nicola Piacente e il pm Marco Airoldi, bretelle american style, hanno chiuso l’ennesima riunione sull’inchiesta del momento, quella per bancarotta fraudolenta avviata sei mesi fa contro Tiziano Renzi, il papà del premier, e i piemontesi Mariano Massone, quarantatreenne imprenditore dalle scarse fortune e Antonello Gabelli, 51 anni. «State attenti alle omonimie», avvertono dal palazzo di Giustizia. E in effetti ieri le agenzie hanno indicato con il nome sbagliato uno dei tre indagati. Non si tratta del settantacinquenne Gian Franco Massone, ma del figlio Mariano. Il genitore, in tutta questa storia sarebbe solo vittima di un raggiro (vedere l’intervista qui sotto). Nel dicembre del 2010 infatti, secondo l’accusa, Renzi senior avrebbe ceduto con la complicità di Mariano Massone e Gabelli un ramo secco della sua Chil post, imbottito di debiti, al vecchio Gian Franco, all’oscuro di tutto.
In questa specie di “pacco” il curatore fallimentare ha individuato 19 creditori, di cui il più importante è il Credito cooperativo di Pontassieve, che ha lasciato trasferire sulle spalle di Massone un credito da 497mila euro. Un mutuo chirografario praticamente impossibile da esigere. Un’operazione che difficilmente una banca avalla, se non per ordini superiori. E su questo punto si stanno concentrando gli investigatori. Il prestito, erogato a inizio 2010, è finito dopo pochissimi mesi dopo sul binario morto della Chil di Massone. Nell’ottobre 2010, infatti, la parte sana dell’azienda, era stata ceduta a Laura Bovoli, moglie di Renzi, per la modica cifra di 3.800 euro. A che cosa e a chi è servito il mezzo milione ingoiato dal fallimento della Chil post? La domanda è per ora senza risposta. All’epoca dei fatti nel consiglio di amministrazione della banca sedeva Matteo Spanò, fedelissimo di Matteo Renzi, e il presidente era Giorgio Clementi, già protagonista di una tavola rotonda alla festa della Margherita con Renzi segretario provinciale del partito.
Le indagini, condotte dalla Guardia di finanza, si stanno concentrando sul ruolo di Mariano Massone, factotum di papà Renzi a partire dal 2002-2003. Massone ha infatti alle spalle almeno tre fallimenti, di cui uno da diverse decine di milioni di cui si starebbe occupando la procura di Alessandria. Ma la vicenda Chil post apre scenari più ampi e inquietanti. Infatti il povero Gian Franco Massone non è intestatario solo dell’azienda di distribuzione di giornali ufficialmente fallita il 7 dicembre 2013. È anche vicepresidente della cooperativa di distribuzione Delivery service Italia domiciliata a Firenze presso la sede di Confcooperative in piazza San Lorenzo 1. Nel 2009 la fonda Pier Giovanni Spiteri, classe 1950, già amministratore della Arturo srl di Tiziano Renzi e rignanese doc come lui. Spiteri è il presidente, mentre il vicepresidente diventa Roberto Bargilli, 59 anni, l’autista del camper di Matteo Renzi alle primarie. Appena un anno dopo Spiteri e Bargilli cedono le proprie quote a Gian Franco Massone e ad altri due soci, entrambi con un fallimento alle spalle. Si tratta del consigliere Carlo Fontanelli, cinquantunenne giornalista-editore di Vinci (Firenze) e del nuovo presidente della coop, il teramano Pasqualino Furii, 53 anni, ex socio di Mariano Massone.
Quando Libero ha bussato in piazza San Lorenzo 1 per contattare un responsabile della Delivery c’è stato un imbarazzato scaricabarile e nonostante le promesse non siamo stati ricontattati. I magistrati genovesi conoscono perfettamente la vicenda, assai simile all’operazione Chil post, e insieme con gli investigatori stanno procedendo con i necessari approfondimenti, sebbene per ora senza nuovi indagati. In questo quadro la figura di Massone senior emerge come una specie di prestanome inconsapevole buono per tutto il clan Renzi. Una discarica umana in cui rottamare aziende senza futuro. Si tratta di capire quale fosse il livello di consapevolezza di chi, attraverso Mariano, ha riversato su Gian Franco le proprie disavventure imprenditoriali. Oggi la Delivery, come la già fallita Chil post, è una società che naviga in cattive acque. Nel 2011 il Tirreno diede notizia che sulla Delivery (che usava la Chil post come intermediario per la distribuzione) pendevano tre inchieste, una penale e due della Direzione provinciale del lavoro di Pisa. Dopo un’ispezione dei carabinieri l’azienda fu costretta a sospendere temporaneamente l’attività e a pagare più di 30 mila euro di sanzioni. L’ex vicepresidente della Delivery, Bargilli, su Facebook, riferendosi a Tiziano, l’altro ieri notte ha scritto: «Tanto per essere chiari! Nulla da nascondere, anzi!».