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 2014  settembre 22 Lunedì calendario

CON ARCO E FRECCE IN DIFESA DI PANDORA


IL CASO
Fucile in spalla, una maglietta annodata a nascondere il viso, bastoni nelle mani. È una vera e propria milizia quella messa in campo dagli indigeni brasiliani Ka’apor per difendere la foresta Amazzonica dai predatori di legname, nella zona dell’Alto Turiaçu, nel nord-est del Paese. Stanchi di attendere l’intervento del Governo, dopo anni di “invasioni” del loro territorio, i Ka’apor si sono organizzati in una sorta di guardia forestale autogestita, dichiarando guerra ai tagliaboschi abusivi. Individuati i campi illegali, hanno cacciato gli occupanti, incendiato le loro tende e i camion per il trasporto dei tronchi, sequestrato motoseghe e ogni arnese utile. Un modo per toglierli ai “nemici”, ma anche, forse, per prepararsi al possibile – e probabile – contrattacco. Intanto, nelle aree minacciate, hanno organizzati dei presidi e istituito ronde, nel tentativo di difendere la foresta per i figli. La caccia è aperta: chi viene catturato, viene spogliato, legato, allontanato e, se oppone resistenza, bastonato. Perché impari la lezione e non torni. O, più semplicemente, perché abbia paura.
IL FINE
La lotta dei Ka’apor è l’ultimo atto della lunga battaglia degli indigeni per tutelare le risorse della Foresta, da salvare per le future generazioni, contro chi cerca di monetizzarne i tesori, distruggendone intere aree. Un po’ come facevano i Na’vi per difendere Pandora, ovvero il loro mondo primordiale ricoperto dalla foresta pluviale, dalle mire di una società mineraria del Kansas nel film Avatar di James Cameron.
Nello stato del Parà, i Munduruku combattono da anni contro maxi-progetti infrastrutturali del Governo nella foresta pluviale e per contrastare la contaminazione delle fonti d’acqua con il mercurio provocata da minatori senza autorizzazioni. Anche qui, gli appelli e le manifestazioni di protesta degli indigeni sono rimasti inascoltati per anni, così la tribù ora “dialoga” con gli abusivi, usando arco e frecce. Soltanto in questo modo riescono a cacciarli, seppure per poco. Dopo qualche giorno, i minatori tornano all’opera. E il gruppo torna a difendere territorio e villaggi. «Tutti sanno che siamo contrari ai grandi progetti di morte del Governo per l’Amazzonia», hanno dichiarato i portavoce dell’etnia, in una lettera aperta alla società brasiliana. I Tupinambà combattono contro un progetto di dighe. E contro la polizia federale. Da anni, denunciano arresti arbitrari, abusi, torture, saccheggi, incendi e stupri. Di gruppo in gruppo, i racconti di chi la abita parlano della giungla depredata e non compresa nella sua funzione di polmone del Pianeta, nonché delle invasioni – e distruzioni – degli insediamenti.
La storia dei Kayapò è indicativa: circa 4000 nel 1900, nel Settanta erano divenuti appena 1300 a seguito dell’invasione di taglialegna, minatori, raccoglitori di gomma, allevatori, con conseguente introduzione di nuove malattie. La difesa del territorio li ha portati perfino a uccidere alcuni intrusi. E sono riusciti a far sospendere la costruzione di dighe per lo sfruttamento idroelettrico della zona. La lotta però continua: i Kayapò hanno acquistato un piccolo aereo per monitorare dall’alto eventuali minacce.
GLI ECO RICCHI
A queste battaglie si uniscono alcuni eco-ricchi, che acquistano atolli incontaminati per trasformarli in aree protette. Il miliardario australiano Ian Gowrie-Smith ha acquistato un atollo nel Mar dei Coralli e ora sta combattendo per salvaguardarne fauna – le tartarughe – e ambiente. Non una questione di cuore, non solo almeno, ma di tutela del patrimonio, anche per possibili investimenti turistici, e forse addirittura per “moda”. Un miliardario francese, che ha mantenuto l’anonimato, ha comprato un’isola nell’arcipelago di Vanuatu, nell’Oceano Pacifico, in cui ha realizzato un resort eco-friendly, investendo parte delle entrate nella costruzione di ospedali e scuole per le isole vicine. L’esempio più eclatante è stato quello di Brendon Grimshaw che, alle Seychelles, ha acquistato l’isola Moyenne e per oltre vent’anni si è impegnato non solo per la tutela dell’ambiente, ma pure per il suo “recupero”: ha piantato sedicimila alberi, tra mango, papaia e palme, ed è riuscito a far tornare alcune specie di uccelli. Oggi, a vivere a Moyenne sono oltre 120 tartarughe giganti. Nel 2008, l’isola è stata dichiarata parco nazionale. Grimshaw è morto nel 2012, a 87 anni, lasciando dietro di sé l’eredità del Parco e, soprattutto, del suo messaggio: l’impegno dei singoli salverà il pianeta.