Antonio Polito, Corriere della Sera - La Lettura 21/9/2014, 21 settembre 2014
VIZI PRIVATI E PUBBLICI DEFAULT
La cosa curiosa è che ora François Hollande è accusato di «impotenza». Non in quel senso, ovviamente, perché anzi l’uomo sembra al culmine della sua parabola di maschio alfa: quattro figli con una donna, lasciata per una donna più giovane, a sua volta lasciata per un’altra più giovane, e ogni volta con l’inganno di cui solo i traditori seriali sono capaci. Ma «impotenza» è l’opposto di «onnipotenza», e in tutta l’Europa occidentale non c’è leader politico più prossimo all’onnipotenza istituzionale del presidente della Repubblica francese, dai costituzionalisti definito un «monarca repubblicano».
Eppure l’ossimoro del leader onnipotente che si fa impotente (segnalato da Christian Salmon, l’intellettuale francese autore di Storytelling) calza perfettamente all’omino pingue che, inguainato in un blu presidenziale, tenta di darsi un tono in conferenze stampa convocate per parlare delle sorti della Francia, ma in realtà rilevanti solo per ciò che diranno su Julie Gayet e su Valérie Trierweiler, su cornetti e sonniferi, e soprattutto sui sans-dents, come nell’intimità il compagno socialista pare chiamasse i poveri. Hollande appare ora davvero impotente. Non può fare niente per fermare il kiss and tell, le rivelazioni piccanti di una donna ferita e i media che trasformano la sua immagine in oggetto di derisione. Di conseguenza non può più separare la funzione pubblica dal privato, la Francia dal suo letto. E che resta, in tal caso, di un presidente?
La domanda si pose nell’estate del 2011 anche per Silvio Berlusconi e la risposta è nota: del premier non restò niente. Ma a lui non fu concessa, dalla cultura perbenista e vetero-femminista, l’attenuante dell’impotenza, neanche quando la moglie Veronica gli riservò il trattamento-Trierweiler. Anzi. L’harem di Berlusconi fu piuttosto considerato l’arrogante esibizione di un potere senza limiti, da ancien régime, intrinsecamente machista e violento, che usa il sesso come divertimento di corte: «La sessualità come protesi del potere e il potere come protesi della sessualità», scrisse Ida Dominijanni. Dell’«erotizzazione del potere» disquisì il filosofo ÿižek. La frase di Ghedini sull’«utilizzatore finale» fece il resto. Dunque: si finisce nella polvere per impotenza o per delirio di onnipotenza? E non si creda che questa sofisticata antinomia sia solo l’ennesima riproposizione dell’antico dilemma se sia meglio il comandare o il fottere. La risposta è invece densa di conseguenze, perfino economiche. Perché se il sesso del leader dà impotenza politica, allora è la nazione a soffrirne. E questa è la vera grande lezione dei nostri giorni.
Da che esiste il mondo, il privato dei potenti ha sempre fatto storia. Antonio non poteva avere insieme Roma e Cleopatra. Enrico VIII voleva avere insieme la Chiesa e la Bolena. Lo stesso Risorgimento italiano venne, diciamo così, facilitato dal fascino che la contessa di Castiglione, abilmente manovrata dal cugino conte di Cavour, esercitò su Napoleone III (i soliti francesi). Si parva licet, perfino il dopo De Gasperi in Italia sarebbe stato diverso se il figlio del ministro degli Esteri Piccioni non fosse finito nel processo per la morte di Wilma Montesi, la ragazza trovata senza vita e senza un reggicalze in riva al mare a Torvaianica dopo una notte presumibilmente orgiastica (tra parentesi, fu allora che fece il suo esordio, in un editoriale sull’«Unità» di Pietro Ingrao, la «questione morale»; e per converso anche la «doppia morale», che la stampa di destra rinfacciò all’avvocato comunista nel processo, poi beccato mentre accompagnava la moglie in un bordello per un ménage a trois con un minorenne, come racconta Filippo Maria Battaglia in Lei non sa chi ero io).
Ma in tutte queste vicende mancava ancora l’ingrediente esplosivo che rende oggi il privato immediatamente politico: la dittatura dell’opinione pubblica. I potenti peccavano come e più di oggi, ma 1) pochi sapevano, 2) nessuno giudicava. Soltanto con l’avvento della democrazia del pubblico, che vota ogni giorno attraverso i sondaggi, il comportamento sessuale di chi ci governa è diventato, oltre che articolo di consumo popolare, anche criterio di valutazione, misura della sua serietà, onestà e sincerità. Il sesso sembra insomma contenere oggi «una capacità di rivelazione e di illuminazione sul tipo di comando del politico», ha scritto Ciro Tarantino in E la carne si fece verbo. E non è solo colpa del grande fratello mediatico e dei social network.
Il fatto è che i politici hanno fatto di tutto perché questo avvenisse. Nell’ultimo numero di «Rivista di Politica», Mauro Calise ripropone a proposito di Matteo Renzi la sua analisi su «Il partito personale e i due corpi del leader», definendo quello che viviamo come il «secolo monocratico». Ilvo Diamanti parla addirittura di «governo personale». Entrambi segnalano l’estrema personalizzazione del comando che i nuovi leader hanno scelto come mezzo di comunicazione con il pubblico, ammaestrandolo così all’intimismo. È un processo che in Europa avviarono Tony Blair e Silvio Berlusconi, ma che ormai è irreversibile (per Calise «il renzismo è il proseguimento del berlusconismo con altro leader»). Il capo politico chiede di essere riconosciuto e giudicato per come è, non per il partito che guida o per il programma che propone. Offre uno scambio fiduciario. È dunque inevitabile che un fallimento della personalità diventi fallimento politico, e che all’opposizione non resti che il character assassination. Un leader che mente all’amante («Ti giuro, non c’è un’altra», diceva Hollande a Valérie) può mentire anche al Paese. Un leader che si fa manipolare dai procacciatori di sesso per animarsi le serate, può essere manipolabile quando maneggia l’interesse nazionale.
Aggiungeteci che questo nuovo giudice, l’opinione pubblica, esso sì onnipotente, è ormai globale e interdipendente. E capirete perché i contribuenti tedeschi hanno ritenuto rilevante per la sorte dei loro risparmi scoprire come passava le serate il primo ministro italiano mentre la Banca centrale europea pompava miliardi di euro nel nostro debito pubblico. Berlusconi non è caduto per Ruby Rubacuori, ma forse senza Ruby Rubacuori si sarebbe evitato la risatina assassina Sarkozy-Merkel. Allo stesso modo la Francia di Hollande trova oggi più difficoltà a farsi perdonare dall’Europa il suo deficit eccessivo, ora che il suo presidente è azzoppato dallo scandalo, al 13 per cento dei consensi. Se i rapporti tra nazioni che condividono frontiere, moneta e mercato, sono necessariamente basati sulla fiducia reciproca, la credibilità diventa un fattore decisivo. E la credibilità di un sistema-Paese dipende ormai molto dalla reputazione personale del suo leader.
Al riparo dell’antica sovranità nazionale le scappatelle sessuali erano più protette (Mitterrand aveva una seconda famiglia e una figlia fuori dal matrimonio, senza conseguenze). In una Europa a sovranità limitata, invece, gli standard di etica pubblica anglosassoni hanno inevitabilmente prevalso, insieme con la lingua inglese e le teorie neoliberali in economia. Anche a letto la Francia non gode più dell’eccezione culturale. Del resto è recidiva: Hollande è all’Eliseo solo perché Sarkozy aveva stancato i francesi con le sue storie di donne e Dominique Strauss-Kahn li
aveva nauseati con il suo modo di prendersi le donne. Si potrebbe perfino provare a disegnare un modello matematico, una specie di curva di Laffer del sesso, per misurare le conseguenze macro-economiche degli scandali. Si vedrebbe che l’ansia di recuperare la credibilità perduta spinge di solito i leader a uno slittamento a destra, verso il rigore di bilancio e le politiche dell’offerta. Hollande, per esempio, ha annunciato due svolte di politica economica in coincidenza con l’emergere delle sue vicende private. La prima fu il cosiddetto «patto di solidarietà», che si riprometteva di tagliare la spesa pubblica per ridurre le tasse alle imprese. Per il socialista che voleva riportare Keynes in Europa, la conversione mercatista fece scandalo, ma comunque meno delle rivelazioni di «Closer» sulla sua relazione con Julie Gayet. La seconda volta è avvenuto con il licenziamento del ministro Montebourg e dall’ala sinistra del governo, perfettamente sovrapposto all’uscita del libro killer di Valérie Trierweiler. D’altro canto anche gli scandali sessuali di Berlusconi accelerarono la svolta rigorista del governo Monti, e dunque, tutto sommato, gli italiani pagarono con l’Imu anche la casa delle «olgettine». Quasi come se al peccato dovesse inesorabilmente seguire l’espiazione.
Resta da chiedersi: perché lo fanno? Insomma: se uno al culmine del potere e del successo si gioca tutto per il piacere, più o meno effimero, si vorrebbe capire perché. E la risposta più vera, probabilmente, è la noia. Gli uomini di potere si annoiano mortalmente. L’attività politica è stata giustamente definita un ozio senza riposo: la stessa espressione che si usa anche per il servizio militare e per la vita in carcere. La ricerca di spazi ricreazionali, in questi casi, diventa spasmodica, ossessiva. La dipendenza dal sesso è una malattia professionale del politico. Forse per questo stavolta ci siamo affidati a un boy scout.