Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 21 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - SCONTRO A SINISTRA SUL JOBS ACT


REPUBBLICA.IT
ROMA - Uno scontro totale. Mai così duro all’interno del Pd. Che parte dal lavoro ma si allarga a tutta la linea politica del partito. Il primo affondo, a metà giornata, arriva da Matteo Renzi. "Vado avanti e mantengo le promesse", dice il premier al Tg2, prima di partire per un viaggio negli Stati Uniti (andrà nella Silicon Valley e interverrà all’Onu). E scaglia il suo attacco alla minoranza dem: "Nel mio partito c’è chi pensa che dopo il 40,8% alle europee si possa continuare con un ’facite ammuina’ per cui non cambia niente e Renzi fa la foglia di fico: sono cascati male, ho preso questi voti per cambiare l’Italia davvero".

Parole infuocate, che arrivano dopo l’affondo di ieri. E la replica della minoranza è veemente. Il colpo più duro arriva in serata con un’intervista al Tg1 dell’ex segretario, Pier Luigi Bersani: "Con la mia storia conservatore no, non posso essere accusato di esserlo. Vecchia guardia posso accettarlo ma più vecchia guardia di Berlusconi e Verdini chi c’è? Vedo che loro sono trattati con educazione e rispetto, spero che prima o poi capiti anche a me". Insomma, un attacco durissimo non solo alla riforma del lavoro ma al patto del Nazareno voluto da Matteo Renzi. E quindi a tutta la linea delle riforme.

Qualche ora prima, era intervenuto l’ex sfidante di Renzi alle primarie, Gianni Cuperlo:
"Non possiamo accettare una discussione strumentalizzata per dividere il Pd tra innovatori e conservatori o minacciare decreti. Basta con le provocazioni e gli ultimatum". E ancora: "La delega sul lavoro è troppo vaga. Chi fa il segretario e premier ha il dovere di indicare il percorso".

Sul fronte delle parti sociali, il premier incassa l’apertura della Uil sulla modifica dell’articolo 18 per i neoassunti e l’endorsement di Squinzi e Confindustria sulla riforma. Ma il fronte più caldo - ormai è chiaro - sembra destinato a essere quello interno al Pd. Le scadenze sono incalzanti: martedì un’assemblea dei senatori dem alla quale parteciperà il ministro Poletti; mercoledì il provvedimento in aula al Senato, ma i giorni successivi saranno di dibattito e non è facile che si risolva subito qualcosa. L’appuntamento importante è quello della segreteria del Pd il 29 settembre. Ma i conti il premier dovrà farli soprattutto con le sue truppe alle Camere: e qui si parla di 110 parlamentari dem pronti a votare contro il Jobs act.

(21 settembre 2014)