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 2014  settembre 20 Sabato calendario

RE CECCONI, QUELLO SCHERZO DEL SAGGIO CHE FINI’ MALE

Una furia bionda con la maglia biancoceleste. Luciano Re Cecconi, il numero 8 sulla schiena, simbolo, con Giorgio Chinaglia, Pino Wilson, Gigi Martini, Felice Pulici, Vincenzino D’Amico, della Lazio anni 70, quella del leggendario scudetto del 1974. La Lazio di Tommaso Maestrelli, il papà buono che guidava quei ragazzi dalla panchina, capace di indirizzarne gli estri, il furore, la fantasia. Di quella straordinaria formazione, Re Cecconi costituiva il polmone inesauribile e, con quella zazzera dal colore dell’oro, inconfondibile .
Re Cecconi era un giocatore in anticipo sui tempi. L’Olanda avrebbe fatto scoprire il calcio totale al Mondiale del ’74, ma quella Lazio era già proiettata nella modernità, e il suo numero 8, un incrocio tra Vidal e Marchisio, capace di giocare sulla fascia e di tagliare verso il centro, ma anche di coprire le incursioni degli esterni, ne rappresentava l’emblema.
A valorizzare quel ragazzo di Nerviano, un paesino a pochi chilometri da Milano, era stato Maestrelli, che ne aveva apprezzato le qualità allenandolo nel Foggia: nel 1972 lo volle con sé alla Lazio e da lì prese il via il periodo più bello della carriera di Re Cecconi: dapprima il campionato 1972-73, concluso con il terzo posto alle spalle di Juventus e Milan. Poi, l’anno successivo, la galoppata tricolore, nella quale Luciano perse qualche partita per un infortunio, ma risultò comunque protagonista determinante. Sembrava il punto di partenza di un cammino lungo e luminoso, purtroppo fu l’apice di una carriera e di un’esistenza troppo brevi. Nella stagione 1975-’76 la Lazio si trovò a lottare per non retrocedere, salvandosi proprio all’ultima giornata con un pareggio a Como. Sotto di due gol, la squadra biancoceleste fu sull’orlo del baratro, ma trascinata come sempre da Re Cecconi, riuscì ad agguantare il pareggio-salvezza.
Nel campionato successivo, alla terza giornata, gara interna con il Bologna, un grave infortunio al ginocchio sinistro al 20’ del primo tempo lo costrinse a un lungo stop. Nessuno in quel momento avrebbe potuto immaginare che sarebbe stata la sua ultima partita. Il 18 gennaio 1977, in mezzo agli anni di piombo, gli italiani che stavano assistendo al telegiornale della sera vennero sconvolti dalla notizia della morte di Re Cecconi, avvenuta in seguito a uno scherzo tragico quanto assurdo: entrato con il compagno di squadra Pietro Ghedin e di un altro amico nella gioielleria di Bruno Tabocchini, nel quartiere Fleming di Roma, Re Cecconi finse di minacciare una rapina e venne colpito da un colpo di pistola sparato dal titolare del negozio, che tempo prima aveva già avuto a che fare con veri malviventi e non l’aveva riconosciuto (sarebbe poi stato assolto, poiché secondo i giudici «agì in stato di legittima difesa putativa»). «Ghedo non te ne andare, aspetta...», furono le sue ultime parole. Centrato in pieno petto, morì mezz’ora dopo all’ospedale San Giacomo: aveva compiuto da poco 28 anni. Da quel giorno tanto tempo è passato e i suoi compagni di allora, dal «fratello» Martini, a Pulici, a D’Amico a Oddi, ancora non riescono a credere che «il saggio», com’era soprannominato Luciano, avesse potuto ideare una messinscena tanto pericolosa. Ma il destino, in quel freddo 18 gennaio, era in agguato.