varie, 20 settembre 2014
BLOB ALIBABA PER IL FOGLIO 22 SETTEMBRE 2014
Venerdì 19 settembre è una di quelle giornate che resterà nella storia. È la giornata in cui la Cina comunista è sbarcata in grande stile a Wall Street, ha trovato la fiducia dei capitalisti americani e ha chiuso la più grande emissione in borsa che si ricordi negli annali: riceverà 22 miliardi di dollari [1].
A battere ogni record è la quotazione al New York Stock Exchange di Alibaba, sito di commercio online, uno dei più grandi mercati mondiali del web. Vende libri, giocattoli, abbigliamento, elettrodomestici, auto, e ogni altro tipo di prodotto [2].
All’avvio degli scambi, il primo prezzo raggiunge i 92,70 dollari cioè, +36% sul valore fissato al collocamento (68 dollari per azione), durante la giornata sale fino a +46%, per poi chiudere a 93,38 dollari (+37,3%) [3].
Rampini: «Con questi valori supera agevolmente ogni altro collocamento della storia (il numero due in questa classifica è ancora un cinese, l’Agricultural Bank of China). La sigla Baba, l’abbrevia-zione che ora indica il nuovo titolo quotato a Wall Street, entra subito nel gergo degli investitori. Con un valore di 230 miliardi per la totalità del suo capitale (il collocamento iniziale ha messo in vendita meno di un decimo), Alibaba si piazza al secondo posto tra le società digitali dietro Google, sorpassa Amazon e Facebook. Per dare un’idea dei rapporti di forza con la Old Economy, Alibaba vale quanto la più grande banca americana, la JP Morgan Chase» [4].
Il fondatore Jack Ma alle sei del mattino era già arrivato a Wall Street, dove l’aspettavano un centinaio di giornalisti e telecamere, vestito in giacca e camicia blu, senza cravatta. Poi è andato nello studio della Cnbc e ha detto: «Il mio eroe è Forrest Gump. Mi piace quel tipo, avrò visto il film una decina di volte. Ogni volta che sono frustrato, lo guardo. L’ho guardato anche prima di venire qui». Sulla sua ricchezza si è limitato a definirla «un mal di testa. Cerco di spendere i miei soldi per fare ricchi gli altri, ma non è facile» [5].
Jack Ma (il suo vero nome cinese è Ma Yun), come singolo maggiore azionista con il 9% del capitale ha un patrimonio stimato di 21 miliardi di dollari, sufficienti per essere l’uomo più ricco della Cina e, come il suo modello Bill Gates, ha annunciato che devolverà la maggioranza dei suoi averi in beneficenza [4].
49 anni, mingherlino, basso e con la faccia spigolosa, è nato da una coppia di attori teatrali nella città di Hangzhou, nella provincia orientale di Zhejiang a sud di Shanghai. Da ragazzo la sua passione per l’America lo ha portato a frequentare gli hotel per stranieri, per imparare l’inglese chiacchierando coi turisti. È diventato interprete, con una sua agenzia di traduzioni inglese-mandarino. Poi è stato professore per alcuni anni prima di entrare nel ministero per il Commercio ed essere inviato per un viaggio di affari proprio nella città dove ha sede Microsoft, Seattle. Lì si rende conto del potenziale che internet offriva al mondo. Tornato in patria prova a pubblicare con poco successo una sua versione online delle pagine gialle. L’avventura di Alibaba comincia nel 1999, con 17 amici riuniti in casa sua: un monolocale [6].
Nella gestione dell’azienda lo stile di Jack Ma è simile a quello di Steve Jobs: dittatoriale. Ha incrociato altri gruppi americani, ha saputo strumentalizzare il corteggiamento a opera di EBay per attirare Yahoo! come socio; poi lo ha costretto a rivendere una parte delle sue azioni. Pompetti: «Ma oltre a essere un negoziatore accorto, è anche dotato di un entusiasmo contagioso e irresistibile. L’anno scorso ha dato una festa in uno stadio con ventimila persone, tra cui i coniugi Clinton e Arnold Schwarzenegger, alla quale si è presentato con una parrucca bionda vestito da rockstar cantando Can you feel the love tonight di Elton John» [6].
Nei prossimi mesi si potrà discutere se questa valutazione sia gonfiata o meno da una bolla speculativa o dalla grande liquidità presente sui mercati, ma dietro Alibaba c’è comunque un gigante anche nell’economia reale. Rampini: «Spesso descritta come una combinazione di Amazon, eBay e Paypal, Alibaba è più grande di tutte e tre. Vanta 279 milioni di utenti attivi che ogni anno piazzano ordini per 300 miliardi di dollari e rappresentano l’80% delle vendite online in Cina. I suoi tre siti Internet più grossi – Taobao, Tmall e Alibaba.com – gestiscono gli acquisti quotidiani di centinaia di milioni di consumatori e le transazioni di milioni di imprese. Il 60% dei pacchi consegnati a domicilio in Cina transitano attraverso questi siti. Diversamente da Amazon, Alibaba fa grandi profitti – 2,3 miliardi di dollari la prima metà di quest’anno, e per gli analisti di Wall Street ne dovrebbe raggiungere quasi 7 miliardi il prossimo anno» [4].
Ciò che ha consentito ad Alibaba la conquista dell’e-commerce cinese è stato soprattutto il sistema di pagamento Alipay, che trattiene il denaro degli acquirenti a garanzia finché non confermano la consegna della merce ordinata. Ciò stimola gli scambi che altrimenti sarebbero paralizzati dai tribunali e dalle leggi cinesi. Alibaba prevede anche i rimborsi, rari nel commercio al dettaglio cinese, e quando la fiducia del pubblico nella società ha vacillato – come quando nel 2011 gli inquirenti hanno scoperto che alcuni membri dello staff avevano aiutato circa 2.300 venditori a truffare i clienti – i vertici hanno risposto con insolita trasparenza e severità, licenziando alcuni alti dirigenti [7].
Mentre l’eurozona si conferma come un buco nero nelle mappe dello sviluppo economico planetario, quattro colossi su dieci della rete sono asiatici. Così anche nel settore digitale i capitali americani guardano verso Oriente. Cina e America a braccetto, il trionfo del G2: New York garante del mercato finanziario, Pechino di quello commerciale. L’equazione si inverte. La Cina che ha dato biliardi di dollari al Tesoro Usa di modo che gli americani potessero continuare a comprare i suoi prodotti, oggi riceve soldi dagli Usa per poter ampliare la sua base commerciale dove si venderanno anche prodotti americani [8].
Platero: «Insomma, qui non si parla solo di Alibaba e del suo fondatore Jack Ma o del suo controllo del commercio elettronico in Cina, o del potenziale di crescita di questa azienda che ha 302 milioni di consumatori iscritti quando in Cina ci sono già 602 milioni di utenti. Né si parla solo del controllo del mercato cinese: vero, le vendite di Alibaba, 11,6 miliardi di ordini all’anno e 296 miliardi di fatturato superano di gran lunga quelle combinate di Ebay 17 miliardi e di Amazon 82 miliardi di dollari. Tutto giusto per questo Alibaba è balzato dai 68 dollari in apertura a quello di punta di 99. Ma in una giornata così dobbiamo anche riflettere su come siamo arrivati a questo. E su quanto sono cambiati i rapporti macrofinanziari e macropolitici» [1].
Ancora Platero: «Da una parte il nuovo G-2. Dall’altra noi italiani in mano alle Camusso di questo mondo o ai parlamentari piccini che non parlano inglese. Da una parte un modello cinese nominalmente comunista che ha seguito passo passo il modello capitalista americano, per crescere, per fare business, per creare adattabilità, per dare spazio. Dall’altra la fiera delle occasioni perdute per colpa di chi ci costringe a guardare indietro. Non consente che l’innovazione tecnologica trovi spazio in azienda per creare nuovo lavoro. Non che si dica nulla di nuovo, lo sappiamo quanto sia grande il prezzo che paghiamo per il nostro futuro. Con un paradosso: chi cerca di proteggere lo status quo in nome di diritti acquisiti sta in realtà impoverendo i lavoratori. E questo vale per l’Europa intera: qualcuno si è mai chiesto come mai in Europa domina l’americana Amazon.com mentre in Cina ci sono i cinesi di Alibaba?» [1].
(a cura di Francesco Billi)
Note: [1] Mario Platero, Il Sole 24 Ore 20/9; [2] Daniela Polizzi, Corriere della Sera 20/9; [3] Ansa 19/9; [4] Federico Rampini, la Repubblica 20/9; [5] Paolo Mastrolilli, La Stampa 20/9; [6] Flavio Pompetti, Il Messaggero 20/9; [7] MilanoFinanza 20/9; [8] Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 20/9.