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 2014  settembre 20 Sabato calendario

QUELLA LEZIONE SBAGLIATA

Il Financial Times recentemente ha pubblicato un articolo piuttosto ben fatto sulla dottrina emergente della Draghieconomia, che assomiglia molto alla Blanchardeconomia, che assomiglia molto alla Krugmaneconomia (ma del resto abbiamo tutti studiato macroeconomia al Mit a metà degli anni 70).
C’è un passaggio, però, che mi ha colpito: «Un altro alto funzionario dell’Eurozona che ha partecipato al forum italiano che mette insieme policymakers, imprenditori e studiosi ha detto: le riforme strutturali sono fondamentali. I Paesi che hanno fatto questi sforzi - Irlanda, Spagna e Portogallo - stanno andando meglio. L’Italia e la Francia farebbero bene a ragionare su questo aspetto».
Eh già, la Spagna è proprio un bell’esempio per la Francia: basta confrontare i dati sulla disoccupazione.
Per quelli tra noi che non sono seguaci del culto della riforma strutturale, la storia della Spagna è la seguente: lo scoppio della bolla immobiliare ha precipitato il Paese in una depressione su vasta scala. Questa depressione ha condotto a una graduale e dolorosa "svalutazione interna" che ha fatto scendere il costo del lavoro, rendendo la Spagna più competitiva rispetto al resto d’Europa. Come risultato, finalmente, nel Paese iberico si è messa in moto una leggera ripresa, con un tasso di crescita negli ultimi trimestri (ma solo negli ultimi trimestri) lievemente superiore a quello della Francia.
Vedere tutto questo come un trionfo delle riforme strutturali significa partire da preconcetti talmente forti che non si capisce nemmeno perché uno si debba preoccupare di guardare i dati.
Il revival degli anni 30
Nel 2008, quando esplose la crisi economica, chiunque sapesse un minimo di storia sicuramente dormì sonni agitati al pensiero di una replica degli anni 30: non solo la gravità della depressione economica, ma anche l’avvitamento inesorabile verso la dittatura e la guerra.
Questa volta però è andata diversamente: la crisi bancaria è stata contenuta, il tracollo della produzione e dell’occupazione è stato fermato e la cultura politica democratica dell’Europa moderna si è dimostrata più solida che negli anni fra le due guerre. Cessato pericolo!
O forse no. Economicamente parlando, una risposta efficace alla crisi è stata seguita da una svolta malaccorta verso politiche di rigore e (in Europa) una combinazione di politiche monetarie sbagliate e un sistema valutario che per certi aspetti si sta rivelando peggiore del vecchio gold standard. Il risultato è i primi anni di questa crisi sono andati molto meglio degli anni 30, ma oggi la performance dell’economia europea è peggiore di quella del 1935.
E la scena politica si sta sfilacciando. Una nazione europea, l’Ungheria, è già arrivata al punto di avere un leader che dichiara apertamente la sua intenzione di farla finita con la democrazia liberale grazie all’austerity, i partiti estremisti stanno guadagnando terreno alle elezioni (l’ultimo shock è venuto dalla Svezia, che ha sperperato i suoi successi precedenti) e naturalmente i movimenti separatisti stanno mettendo paura a chiunque.
Politicamente siamo ancora lontanissimi dagli anni 30. Ma c’è da cominciare a chiedersi se tutto questo autocongratularsi per la gestione politica della Depressione 2.0 fra un po’ di tempo non apparirà sconsiderato come ci appare oggi l’ottimismo economico di qualche anno fa.
(Traduzione di Fabio Galimberti)