varie 20/9/2014, 20 settembre 2014
APPUNTI SU ALIBABA DAI GIORNALI DI SABATO 20/9/2014
ALIBABA A WALL STREET VALE 240 MILIARDI - DANIELA POLIZZI, CORRIERE DELLA SERA -
Alibaba batte ogni record. Ieri, al debutto al New York Stock Exchange, il titolo del colosso cinese del commercio online non è riuscito subito a fare il prezzo, talmente forte è stato il rialzo con 100 milioni di azioni scambiate nei primi dieci minuti. È stato un rialzo mozzafiato: un picco del 46% sopra il prezzo di collocamento, un livello che ha messo al tappeto gli Ipo (Initial public offering ) di tutta la storia americana. E a fissare una tappa così importante nella storia del listino Usa è una società made in China. Gli investitori di Wall Street hanno valorizzato la matricola circa 245 miliardi di dollari, battendo un colosso come Facebook. Gioisce Jack Ma, il fondatore del sito di ecommerce, uno dei più grandi mercati mondiali del web, in grado di vendere libri, giocattoli, abbigliamento, auto, con 300 milioni di clienti, canalizzando così l’80% del traffico di acquisti via web in Cina. E la sua figura entra così nella leggenda finanziaria degli Usa. Nella galleria di personaggi che include Steve Jobs di Apple, Jeff Bezos di Amazon e Mark Zuckerberg di Facebook. Ma la sua rischia di essere una storia ancora più speciale, nelle vesti di ex maestro di inglese che in un monolocale in Cina ha avuto l’idea geniale, anche grazie a un viaggio negli Stati Uniti dove scoprì Internet. Ma anche in virtù di un prestito di 60 mila dollari ottenuto dai suoi amici che lo aiutarono a compiere l’impresa. Sul trading floor, la sala della Borsa dove si osservano i titoli scambiati, Ma ieri ha raccontato la sua filosofia di vita: «Mi ispiro a Forrest Gump, il personaggio interpretato da Tom Hanks, ogni volta che mi sento frustrato lo guardo — ha raccontato l’imprenditore cinese —. La lezione che ho tratto dal film è che qualunque cosa cambisi resta sempre noi stessi».
Jack Ma sorride, anche perché in Borsa la sua Alibaba ha raccolto circa 21 miliardi di dollari. E brinda anche Yahoo! perché il sito online cinese si è rivelato un grande affare. Nel 2005 il gruppo statunitense del web aveva investito un miliardo e adesso dall’Ipo di Alibaba dovrebbe aver incassato tra gli 8,3 e i 9,5 miliardi vendendo 121,7 milioni di azioni. Yahoo! ne manterrà comunque in portafoglio 401 milioni. Alla vendita del pacchetto di Alibaba la Borsa ha reagito a sua volta scaricando titoli Yahoo!, tanto che la società guidata da Marissa Mayer ha perso subito circa il 5% del valore per poi contenere le perdite e recuperare un paio di punti percentuali. Un fatto che dimostra chiaramente che il valore nascosto di Yahoo! è nella sua quota del gruppo di Jack Ma.
A metà giornata borsistica il rally è rallentato ma il valore del titolo Alibaba è comunque rimasto sopra il 30% rispetto al prezzo di collocamento. Adesso il nuovo fenomeno di Wall Street potrà cominciare l’espansione negli Usa e in Europa, un progetto che ha in mente da tempo. E intanto per la fine dell’esercizio in corso prevede di chiudere con 420 miliardi di ricavi. Tre volte tanto quelli di eBay e Amazon.
Daniela Polizzi
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ALIBABA VOLA A WALL STREET, INCASSA 21,8 MILIARDI - FEDERICO RAMPINI, LA REPUBBLICA -
America e Cina celebrano all’unisono. E’ un trionfo “condiviso” lo strepitoso successo di Alibaba, colosso cinese del commercio online alla sua prima quotazione di Borsa. Le rivalità geostrategiche tra le due superpotenze finiscono in secondo piano davanti a un’operazione che suggella la simbiosi fra le due economie. Il collocamento incanta Wall Street che lo accoglie magnificamente: fa il record di tutti i tempi con 21,8 miliardi di dollari di azioni già collocate; e possono salire a 25.
Il fondatore Jack Ma si presenta emozionato al New York Stock Exchange, per il campanello di apertura delle 9.30. All’avvio degli scambi il primo prezzo raggiunge 92,70 dollari cioè un aumento del 36% sul valore fissato al collocamento (68 dollari per azione) per poi chiudere a 93,38 dollari (+37,3%). Con questi valori supera agevolmente ogni altro collocamento della storia (da notare che il numero due in questa classifica è ancora un cinese, l’Agricultural Bank of China). La sigla Baba, l’abbreviazione che ora indica il nuovo titolo quotato a Wall Street, entra subito nel gergo degli investitori. Con un valore di 230 miliardi per la totalità del suo capitale (il collocamento iniziale ha messo in vendita meno di un decimo), Alibaba si piazza al secondo posto tra le società digitali dietro Google, sorpassa Amazon e Facebook.
Per dare un’idea dei rapporti di forze con la Old Economy, Alibaba vale quanto la più grande banca americana, la JP Morgan Chase. Che la valutazione sia gonfiata o meno da una bolla speculativa, dietro Alibaba c’è comunque un gigante anche nell’economia reale: 300 miliardi di beni scambiati in un anno. I suoi tre siti Internet più grossi – Taobao, Tmall e Alibaba.com – gestiscono gli acquisti quotidiani di centinaia di milioni di consumatori; e le transazioni di milioni di imprese. Il 60% dei pacchi consegnati a domicilio in Cina transitano attraverso questi siti. Si capisce l’euforia degli investitori americani: comprare azioni di Alibaba vuol dire diventare “soci del miracolo cinese”, partecipare al boom che ha resistito perfino al rallentamento mondiale del 2009.
Nello stesso giorno in cui i mercati finanziari celebravano il cessato allarme sulla secessione scozzese, i fuochi d’artificio su Alibaba hanno ricordato dov’è il vero baricentro della crescita mondiale. Anche nel settore digitale, i capitali americani guardano verso Oriente. Ormai 4 colossi su dieci della Rete sono asiatici. Proprio mentre l’eurozona si conferma come un buco nero nelle mappe dello sviluppo economico planetario, l’abbraccio di Wall Street ad Alibaba conferma che America e Cina hanno più interessi in comune di quanto facciano trasparire le tensioni geopolitiche.
La prima dichiarazione di Jack Ma ieri è stata all’insegna dell’umiltà. «Quello che è accaduto oggi in Borsa – ha dichiarato il fondatore e numero uno di Alibaba – non è solo questione di soldi, è una prova di fiducia. Ora bisogna che questi azionisti siano contenti per i prossimi 5 o 10 anni». Per Jack Ma, del resto, questa è una consacrazione ed un ritorno al punto di partenza, un riconoscimento tanto più ambito in quanto arriva nell’America che lo ha ispirato e formato. Il suo vero nome cinese è Ma Yun. A 49 anni, come singolo maggiore azionista con il 9% del capitale, potrebbe diventare l’uomo più ricco del suo Paese. Già oggi il suo patrimonio è valutato a 15 miliardi di dollari. Come il suo modello Bill Gates, anche lui ha annunciato che devolverà la maggioranza dei suoi averi in beneficenza. Jack Ma si è formato proprio nella città dove ha sede Microsoft, a Seattle. Da ragazzo nella nativa Hangzhou la sua passione per l’America lo aveva portato a frequentare gli hotel per stranieri, per imparare l’inglese chiacchierando coi turisti. Poi era diventato interprete, con una sua agenzia di traduzioni inglese- mandarino. Infine, grazie a un amico sino-americano, il viaggio a Seattle nel 1995 gli spalanca nuovi orizzonti. Lì Jack Ma dà prova del suo talento visionario: Internet è ancora ai suoi sviluppi iniziali perfino in America, è un “oggetto” sconosciuto in Cina, eppure lui ne capisce le potenzialità, lo studia, e al ritorno in patria fonda una start-up che all’inizio è poco più che un indirizzario online. L’avventura di Alibaba comincia invece nel 1999, con 17 amici riuniti in casa sua: un monolocale. Nella traiettoria fantastica della sua crescita ha incrociato altri gruppi americani, ha saputo strumentalizzare il corteggiamento ad opera di EBay per attirare Yahoo come socio; poi lo ha costretto a rivendere una parte delle sue azioni. In casa propria lo stile di Jack Ma è simile a quello di Steve Jobs: dittatoriale. Qualche problema lo potrebbe porre ai suoi azionisti. La corporate governance in stile cinese non brilla per trasparenza. Tra l’altro il governo di Pechino pone dei limiti alla proprietà degli investitori stranieri, per cui costoro acquistano quote in società offshore (chiamate “variable interest entities”) che in un certo senso “simulano” una proprietà. E’ su questo terreno che nel lungo periodo si vedrà quanto l’euforia di Wall Street sia stata giustificata.
Federico Rampini
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MR ALIBABA: CORRO COME FORREST GUMP - PAOLO MASTROLILLI, LA STAMPA -
«Il mio eroe è Forrest Gump». Jack Ma ha scelto la leggerezza del personaggio più balordo, saggio e fortunato nella storia del cinema americano, per entrare in punta di piedi a Wall Street. Pochi minuti dopo, come il suo eroe, aveva battuto ogni record per una quotazione in borsa, diventando ancora più miliardario di quanto non fosse già. Le azioni di Alibaba, infatti, hanno guadagnato il 36% nello stesso istante in cui sono state messe sul mercato, trasformando in milionari almeno seimila persone. Eppure l’America ha un dubbio: si domanda se questo Forrest Gump sia venuto a rubarle l’anima, passando alla Cina il testimone dell’innovazione e dell’imprenditorialità più geniale.
Il prezzo iniziale stabilito per la quotazione di Alibaba, motore di ricerca e supermercato digitale costruito nel 1999 da Jack Ma nel soggiorno della sua casa di Hangzhou, era 68 dollari. Alle 11,53 di ieri mattina le azioni sono state messe in vendita, e prima ancora di cominciare già valevano 92 dollari e 70 centesimi. In teoria l’obiettivo era raccogliere circa 22 miliardi di dollari, fissando il valore complessivo della compagnia a 168 miliardi, ben oltre i concorrenti americani tipo Amazon. A metà giornata, però, le dimensioni del successo erano sintetizzate da una vignetta scherzosa pubblicata sul sito del Wall Street Journal, dove sopra al ritratto di Jack Ma c’era scritto: «Ricchezza personale, dato temporaneamente non disponibile». La giornata si è chiusa con il titolo a 93,89 dollari. Con questi numeri, Alibaba già vale intorno ai 200 miliardi.
L’istrionico Jack, che il 10 settembre del 2009, per festeggiare il decimo anniversario della sua compagnia, non aveva esitato a salire sul palco con una parrucca bionda per cantare “Can You Feel the Love Tonight?” davanti a 16.000 dipendenti estasiati, stavolta ha scelto la sobrità. Alle sei del mattino era già arrivato a Wall Street, dove l’aspettavano un centinaio di giornalisti e telecamere, vestito in giacca e camicia blu, senza cravatta. Poi è andato nello studio della Cnbc e ha confessato: «Il mio eroe è Forrest Gump. Mi piace quel tipo, avrò visto il film una decina di volte. Ogni giorno che sono frustrato, lo guardo. L’ho guardato anche prima di venire qui». Sulla sua ricchezza, si è limitato a definirla «un mal di testa. Cerco di spendere i miei soldi per fare ricchi gli altri, ma non è facile».
L’agenzia cinese Xinhua ha scelto un approccio molto meno ammiccante, per interpretare cosa stava accadendo: «La quotazione di Alibaba - ha scritto citando il professore Qing Wang della Warwick Business School - potrebbe benissimo rappresentare la fine del dominio mondiale americano nel settore tecnologico». Usa Today ha convenuto che quanto meno si tratta di «una sveglia» per le compagnie degli Stati Uniti. Altri commentatori hanno notato che «un comunista ha conquistato Wall Street», oppure hanno descritto il debutto di Alibaba come «una tipica storia di successo americana, solo che questa è cinese».
Le notizie sulla fine del dominio americano, come quelle sulla morte di Mark Twain, si ripetono da diversi anni e finora si sono dimostrate esagerate. Basti pensare al rumore globale che ha fatto il lancio degli ultimi prodotti della Apple, o al ritmo della ripresa Usa rispetto a quella europea. Poi restano tutti i dubbi legati al fatto che Jack non ha mai sfidato le gerarchie della Repubblica Popolare, e il suo futuro dipende ancora dagli umori imperscrutabili di Pechino. Però è un dato indiscutibile che compagnie come Alibaba, Tencent o Baidu, partono da un mercato interno di circa 600 milioni di utenti di internet, ossia il doppio dell’intera popolazione americana. Se a questo riuscissero a sommare una penetrazione internazionale, come quella cominciata ieri a Wall Street, e la propensione degli Usa per inventare, invece di limitarsi a copiare, allora la rivoluzione culturale e non solo auspicata dalla Xinhua potrebbe essere davvero iniziata.
Paolo Mastrolilli
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LA CINA COMUNISTA CHE SEDUCE I CAPITALISTI - MARIO PLATERO, IL SOLE 24 ORE -
Venerdì 19 settembre è una di quelle giornate che resterà nella storia. È la giornata in cui la Cina Comunista è sbarcata in grande stile a Wall Street, ha trovato la fiducia dei capitalisti americani e ha chiuso la più grande emissione in borsa che si ricordi negli annali: riceverà 22 miliardi di dollari. Cina e America a braccetto dunque, il trionfo del G2: New York garante del mercato finanziario, Pechino di quello commerciale. L’equazione, in piccolo, si inverte. La Cina che ha dato biliardi di dollari al Tesoro Usa di modo che gli americani potessero continuare a comprare i suoi prodotti, oggi riceve soldi dagli Usa per poter ampliare la sua base commerciale dove si venderanno anche prodotti americani. Insomma, qui non si parla solo di Alibaba e del suo fondatore Jack Ma o del suo controllo del commercio elettronico in Cina, o del potenziale di crescita di questa azienda che ha 302 milioni di consumatori iscritti quando in Cina ci sono già 602 milioni di utenti. Nè si parla solo del controllo del mercato cinese: vero, le vendite di Alibaba, 11,6 miliardi di ordini all’anno e 296 miliardi di fatturato superano di gran lunga quelle combinate di Ebay 17 miliardi e di Amazon 82 miliardi di dollari. Tutto giusto per questo Alibaba è balzato dai $68 in apertura a quello di punta di $99.
Ma in una giornata così dobbiamo anche riflettere su come siamo arrivati a questo. E su quanto sono cambiati i rapporti macrofinanziari e macropolitici. Da una parte il nuovo G-2. Dall’altra noi italiani in mano alle Camusso di questo mondo o ai parlamentari piccini che non parlano inglese. Da una parte un modello cinese nominalmente comunista che ha seguito passo passo il modello capitalista americano, per crescere, per fare business, per creare adattabilita’, per dare spazio. Dall’altra la fiera delle occasioni perdute per colpa di chi ci costringe a guardare indietro. Non consente che l’innovazione tecnologia trovi spazio in azienda per creare nuovo lavoro. Non che si dica nulla di nuovo, lo sappiamo quanto sia grande il costo che paghiamo per il nostro futuro. Con un paradosso: chi cerca di proteggere lo status quo in nome di diritti acquisiti sta in realta’ impoverendoi lavoratori. E questo vale per l’Europa intera: qualcuno si e’ mai chiesto come mai in Europa domina l’americana Amazon.com mentre in Cina ci sono i cinesi di Alibaba?
Se i due modelli americano e cinese sono agli antipodi per liberta’ civili e politiche, su quello piano economico la Cina ha capito che in un’economia globale non poteva rischiare di essere vassalla degli americani. E dunque li ha copiatyi e ha creato le condizioni perche’ Alibaba potesse trionfare. Due note aggiuntive. Ieri a New York non abbiamo visto solo le code virtuali per comprare i titoli Alibaba. C’erano anche quelle reali per acquistare il nuovo modello iPhone6. Il fermento che a noi manca e’ presente in Cina e in America. E proprio ora il Presidente del Consiglio Matteo Renzi arriva domani in California, a Silicon Valley. Potrà implorare coi fatti, dal "fronte" di procedere rapidamente con le riforme per il cambiamento. Il suo problema? Lo sanno tutti. Ma vince l’ostruzionismo. Chissà che la nuova svolta del grande G2 finanziario/commerciale sino-americano non faccia scattare un campanello di allarme fra coloro che sanno quanto il cambiamento sia importante, ma preferiscono rifiutarlo.
Mario Platero
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ALIBABA, DEBUTTO RECORD A WALL STREET - MARCO VALSANIA, IL SOLE 24 ORE -
Hanno atteso, al New York Stock Exchange. Alibaba, con il suo presidente esecutivo e fondatore Jack Ma sul parterre, ha suonato la campanella di apertura della seduta. Il titolo, sotto il nuovo simbolo BABA, è però rimasto a lungo fermo. Il Nyse ha atteso a darlo in pasto al mercato: l’obiettivo era evitare qualunque errore, qualunque trauma per il debutto dell’Ipo dei record. Quando poi ha aperto agli scambi – tra operatori assiepati davanti agli schermi del Nyse come ai quattro angoli del globo e dopo che le indicazioni di prezzo si erano rincorse per ore al rialzo – la pazienza è stata premiata e i record spezzati: le prime compravendite sono scattate, poco prima di mezzogiorno ora americana, a 92,70 dollari. Un’impennata al debutto di quasi il 36% rispetto al pricing fissato la sera prima per il collocamento iniziale, quei 68 dollari che rappresentavano il massimo della "forchetta" indicata. In un attimo sono stati bruciati target annuali a 90 dollari dati da influenti broker quali Cantor Fitzgerald, che pure raccomandavano l’acquisto di BABA. E sono stati superati di slancio i 200 miliardi di market cap dell’azienda, impennatasi fino a 240 miliardi prima di assestarsi a 230, non solo oltre i 150 miliardi di Amazon o i 193 di Ibm, ma anche i 199 di Facebook e testa a testa con i 248 miliardi di Wal-Mart.
Il titolo ha proseguito la corsa fino a sfiorare i 100 dollari, per poi tornare attorno ai livelli di sbarco e terminare il D-Day vicina ai 94 dollari, sotto l’apertura ma con un guadagno del 38 per cento. Il "pop", il desiderato rally iniziale che dà fiducia al titolo e all’azienda, è quindi avvenuto, senza difficoltà. Indicazione di una domanda forte e che assicura l’esercizio delle opzioni da parte delle banche sottoscrittrici su ulteriori titoli, il 15%, da collocare: saranno questi a trasformare l’Ipo in un record assoluto, con oltre 25 miliardi rastrellati contro i 22,1 della connazionale Agricultural Bank of China nel 2010.
L’entusiasmo non è stato messo in discussione neppure dal timore che un gruppo di investitori iniziali in Alibaba, con 8 miliardi di dollari in titoli, liberi da vincoli di lockup potessero cedere subito i titoli per realizzare profitti. Nessuno, ieri, ha venduto in massa. A 55 milioni di ordini di acquisto, in apertura, ha fatto fronte solo un milione di ordini di vendita. La concentrazione dei titoli in poche mani ha contribuito a limitare la possibilità di scambi, se non intensi, incontrollati, anche se in un’ora i volumi avevano gia’ oltrepassato quelli della prima giornata di Twitter. Circa 25 finanziarie, sulle 1.700 che hanno cercato di partecipare all’Ipo, hanno ricevuto metà dei titoli, forse 40 hanno strappato l’80% delle azioni collocate. Molti hanno ottenuto pacchetti inferiori al 5% e metà è rimasta a guardare.
Jack Ma, per tutta la giornata sotto i riflettori di Wall Street, ha sprizzato soddisfazione. Nelle interviste dal parterre del Nyse ha chiesto «fiducia nell’azienda e nella sua tecnologia», ha promesso di prendersi cura degli «interessi degli investitori» anche se dopo i consumatori e i dipendenti. Ha detto che il grande successo in Cina dell’e-commerce, che lui domina all’80%, dipende da carenze di infrastrutture che ne fanno «il piatto forte mentre negli Stati Uniti rappresenta il dessert». Ma ha aggiunto di ambire a diventare in futuro a tutti gli effetti un protagonista globale, più grande di Wal-Mart quando si tratta di commercio, un traguardo che richiede crescita e acquisizioni. Ha rivelato anche il nome del suo improbabile eroe cinematografico preferito, un personaggio, neanche a dirlo, americano e le cui vittorie avvengono a soppressa e malgrado gli ostacoli: Forrest Gump. «Quando mi sento frustrato, guardo quel film», ha detto.
Jack Ma, i co-fondatori e i grandi soci di Alibaba, per adesso non hanno alcuna ragione di sentirsi frustrati. Con la quotazione si sono assicurati, sulla carta, anche fortune personali multi-miliardarie.
Marco Valsania
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DOPO LA GLORIA DELL’IPO, IL MERCATO VALUTA IL RISCHIO-BOLLA - MARCO VALSANIA, IL SOLE 24 ORE -
L a gloria del primo giorno, prima o poi, lascerà il passo alla riflessione. E questa promette di essere più pacata. Con al centro l’interrogativo sui rischi di bolle speculative, su Alibaba quale simbolo, oltreché di ottimismo sul futuro di Internet e del commercio elettronico globale, anche di nuovi rischi di eccessi nel comparto hi-tech e online. E a Wall Street più in generale.
Non è, quella che già filtra tra gli operatori più scettici, una perplessià da Cassandre a ogni costo. La borsa viaggia oggi su livelli record in presenza di un opaco quadro economico. E gli ultimi massimi li ha messi a segno il venerabile indice Dow Jones, incantato ancora e anzitutto dalle grandi manovre di aiuto della Fed, dall’enorme liquidità che continua a garantire al mercato.
Queste manovre sono state confermate, proprio alla vigilia sello sbarco di Alibaba, nell’ultimo vertice di politica monetaria, nonostante qualche scommessa che la Banca centrale avrebbe invece indurito il suo atteggiamento, accelerando ritiri del sostegno alla crescita. Invece i tassi d’interesse rimarranno molto bassi a lungo, perché il mercato del lavoro, dice la Fed, resta da risanare e l’inflazione sotto gli obiettivi. Forse potrebbero essere alzati più rapidamente del previsto verso fine 2015, ma quell’orizzonte, come ama ripetere il presidente Janet Yellen, dipenderà «dalle condizioni dell’economia». Per ora, nonostante segnali di miglioramento riconosciuti a parole, la Fed parla con i fatti: per il prossimo futuro ha ridotto le attese di crescita, ben sotto il 3%. È in questo clima che è maturata l’Ipo di Alibaba. Con i suoi record di collocamento e i suoi exploit di capitalizzazione di mercato allo sbarco, che l’hanno vista superare di slancio nel primo giorno di contrattazioni il valore di mercato di colossi vecchi e nuovi, da Facebook a Ibm. E spingere i suoi multipli con decisione sopra 30 volte gli utili attesi nel 2015, tra le 19 volte di Google e le 38 di Facebook.
Ma la cautela potrebbe presto diventare più che mai necessaria. Per il mercato e per Alibaba. C’è chi teme che il big cinese possa risentire di dubbi sulla strategia e la performance. Alibaba è impegnata a cambiare, a diventare un’azienda globale e non solo confinata al dominio del commercio elettronico in Cina. Per questo sta adocchiando acquisizioni, in parte grazie ai capitali raccolti. L’efficacia di questa espansione e l’impatto sulla redditività dell’azienda, però, restano da verificare. Non mancano altre perplessità. Tra queste trasparenza e governance: il controllo della società rimarrà in mano a un ristretto gruppo di 30 partners, tra cui Jack Ma. Saranno loro a nominare la maggioranza degli esponenti del board. Onore ad Alibaba, dunque, nel suo D-Day a Wall Street. Ma la sfida, per gli investitori, sarà non trasformare giornate da leoni in nuove epoche di pericolosi eccessi.
Marco Valsania
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JACK MA, DA PROF A IMPRENDITORE CON IL MITO DI FORREST GUMP - FLAVIO POMPETTI, IL MESSAGGERO -
A vederlo, mingherlino, basso e con la faccia spigolosa, nessuno sospetterebbe che Jack Ma, che ha confessato di adorare un emblema della semplicità come il personaggio del film Forest Gump, siede oggi al comando della società più ricca del mondo. nato da una coppia di attori teatrali nella città di Hangzhou, nella provincia orientale di Zhejiang a sud di Shanghai. È stato professore per alcuni anni prima di entrare nel ministero per il Commercio ed essere inviato per un viaggio di affari alla volta di Seattle. Lì si rese conto del potenziale d’affari che l’Internet offriva al mondo. Tornato in patria provò a pubblicare con poco successo una sua versione delle pagine gialle; poi entrò egli stesso in commercio nel 1999 con l’aiuto di 17 amici, usando il suo appartamento come sede della società. È un negoziatore accorto, dotato di un entusiasmo contagioso e irresistibile, e di un formidabile senso dell’auto ironia. L’anno scorso ha dato una festa in uno stadio con 40.000 invitati tra cui i coniugi Clinton e Arnold Schwarznegger, ai quali si è presentato vestito da rockstar, cantando «Can you feel the love tonight» di Elton John.
Flavio Pompetti
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ALIBABOOM - DAVIDE FUMAGALLI, MILANOFINANZA -
Il doppio exploit di Alibaba, che al debutto a Wall Street venerdì 19 settembre ha messo a segno un balzo del 34% a 91 dollari per azione dopo aver ritoccato al rialzo la forchetta di quotazione sino a 68 dollari e aver bruciato l’intero book di ordini in poche ore, dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio la maturità raggiunta dall’e-commerce. Persino in un Paese tradizionalmente ostico all’uso di carte di credito e legato a rapporti commerciali di tipo personale come è l’Italia, l’e-commerce si è ormai imposto come canale capace in alcuni settori di competere con la grande distribuzione organizzata, allargando il proprio campo d’azione anche a settori merceologici, come i grandi elettrodomestici, sinora appannaggio dei negozi fisici. Varietà e cataloghi pressoché infiniti, servizi di consegna ormai rapidi e affidabili, prezzi spesso vantaggiosi e soprattutto un passaparola di clienti soddisfatti sono alla base del successo dell’e-commerce, che sta crescendo a ritmi incredibili sia in mercati maturi come quello statunitense ed europeo, sia nei Paesi del Far East. Proprio la Cina, come dimostra il boom di Alibaba (trasformatosi nel giro di poco più di un decennio da start-up a colosso con una capitalizzazione di oltre 200 miliardi di dollari), si è rivelata uno dei terreni più fertili per l’e-commerce, complice l’enorme estensione del territorio, l’assenza di strutture capillari di distribuzione organizzata e alcune caratteristiche peculiari del Paese. Secondo un recentissimo studio di The Boston Consulting Group, l’e-commerce in Cina dovrebbe passare dall’attuale 15% del mercato totale, ottenuto grazie a un tasso di crescita aggregato su base annua del 30% tra il 2010 e il 2013 per alcune categorie merceologiche chiave, al 20-25% del mercato complessivo nel 2020. La presenza nel Paese della quasi totalità delle fabbriche di componentistica e di assemblaggio finale, con tutte le relative necessità di approvvigionamento, costituisce di per sé un elemento sufficiente a spiegare il boom e il valore complessivo del commercio elettronico nel Paese, ma anche gli acquisti dei consumatori finali iniziano a raggiungere valori assoluti di tutto interesse. Senza contare che, sempre secondo l’analisi di The Boston Condulting Group, i milioni di consumatori affluent cinesi spendono all’estero oltre il 52% del budget complessivo dedicato ai beni di lusso contro la media del 41% degli europei proprio per l’impossibilità di trovare canali tradizionali adeguati in patria, ampliando così le opportunità di crescita dell’e-commerce.
Proprio questo segmento, però, evidenzia differenze significative tra i vari Paesi e tra le varie piattaforme. Alibaba, come per molti versi eBay, deve infatti fare i conti con un modello di business molto aperto a negozi virtuali e rivenditori di ogni tipo che utilizzano la piattaforma, esponendo così i clienti finali al rischio di acquisti di beni contraffatti o di dubbia provenienza, con tutto quanto ne consegue in termini di affidabilità riconosciuta e prestigio. Una situazione ben diversa da quella dell’altro colosso dell’e-commerce, ossia Amazon, che ha invece policy decisamente più stringenti in merito ai partner che si traducono in un’affidabilità elevatissima per i clienti finali grazie proprio al controllo e alla selezione dei merchant. Sebbene infatti i sistemi di autovalutazione di domanda e offerta creati da eBay svolgano una funzione di selezione di tipo social a livello di singoli negozianti e acquirenti, la reputazione e l’affidabilità della piattaforma nel suo complesso non può prescindere da una selezione capillare a monte.
La reputazione tra i consumatori finali non è però l’unico punto su cui il management di Alibaba dovrà lavorare per consolidare i risultati ottenuti e tenere a bada i numerosi concorrenti, a partire da quelli focalizzati sul mercato cinese come Tencent, Baidu e JD.com. La governance del colosso cinese, costruita in modo da consentire ai soci della prima ora di mantenere il controllo assoluto del board anche senza la maggioranza del capitale sociale, ha infatti sollevato molte critiche tra analisti e imprenditori, che non hanno mancato di sottolineare una certa opacità. La monetizzazione dei soci fondatori in occasione dell’ipo è certamente una prassi consolidata e un diverso peso delle azioni in termini di diritti di voto riguarda anche i soci di Google e Facebook, ma gli accordi tra il colosso cinese e la Sec sui requisiti hanno fatto alzare qualche sopracciglio in più. Inoltre, a differenza della maggior parte dei debutti a Wall Street, non è stato fissato un termine di lock up dei titoli per gli attuali azionisti, che potrebbero quindi riversare sul mercato le azioni già nelle prossime sedute. La quota di Jack Ma vale oltre 13 miliardi di dollari e il fondatore ha annunciato di aver intenzione di monetizzare 867 milioni dalla cessione dello 0,5%. Guadagni in vista anche per Yahoo, che dovrebbe incassare al netto dell’imposizione fiscale 5,1 miliardi di dollari dal collocamento di 121,7 milioni di titoli, mentre il principale azionista SoftBank non prevede di vendere azioni. Ma anche una serie di azionisti minori potrebbe beneficiare degli scambi sui mercati secondari, con un guadagno variabile a seconda della performance che il titolo registrerà nei prossimi giorni. I dipendenti di Alibaba Group Holding potrebbero infatti guadagnare complessivamente fino a 1,06 miliardi di dollari dalla quotazione. Nel corso degli anni Alibaba ha infatti distribuito ai dipendenti, che hanno ormai superato quota 20 mila, una serie di incentivi sotto forma di azioni, specialmente prima della quotazione sulla piazza di Hong Kong di Alibaba.com, avvenuta nel 2007. In base ai documenti depositati, circa 4 mila attuali dipendenti e mille ex impiegati potrebbero vendere un ammontare di azioni pari allo 0,6% del capitale. L’importo esatto di questi guadagni dipende dalla valutazione di mercato che Alibaba acquisterà nel corso delle prossime sedute, anche se il traguardo del miliardo di dollari non è irrealistico.
Altro tema caldo è quello relativo ad Alipay, il sistema di pagamenti elettronici parte del gruppo, il cui scorporo dalla controllante ha generato tensioni tra i soci, a partire da Yahoo. La piattaforma per i pagamenti elettronici riveste infatti un ruolo chiave nel successo dell’e-commerce e lo scorporo potrebbe prefigurare un’operazione di cui gli azionisti della piattaforma di commercio elettronico non beneficeranno. E su cui non potranno dire la loro, considerate la struttura societaria e la governance con cui Alibaba è sbarcata trionfalmente a Wall Street.
Davide Fumagalli
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L’IPO È STATA UN TRIONFO MA L’APPOGGIO DI PECHINO POTREBBE DURARE POCO - MILANO FINANZA
Spesso descritta come una combinazione di Amazon, eBay e Paypal, Alibaba è più grande di tutte e tre. Vanta 279 milioni di utenti attivi che ogni anno piazzano ordini per 300 miliardi di dollari e rappresentano l’80% delle vendite online in Cina. Diversamente da Amazon, Alibaba fa grandi profitti – 2,3 miliardi di dollari la prima metà di quest’anno, e per gli analisti di Wall Street ne dovrebbe raggiungere quasi 7 miliardi il prossimo anno. Ciò che ha consentito ad Alibaba la conquista dell’e-commerce cinese è stato il sistema di pagamento Alipay, che trattiene il denaro degli acquirenti a garanzia finché non confermano la consegna della merce ordinata. Ciò stimola gli scambi che altrimenti sarebbero paralizzati dai tribunali e dalle leggi cinesi. Alibaba prevede anche i rimborsi, rari nel commercio al dettaglio cinese, e quando la fiducia del pubblico nella società ha vacillato – come quando nel 2011 gli inquirenti hanno scoperto che alcuni membri dello staff avevano aiutato circa 2.300 venditori a truffare i clienti - i vertici hanno risposto con insolita trasparenza e severità, licenziando alcuni alti dirigenti. Il presidente della società, Jack Ma, con un patrimonio stimato di 21 miliardi di dollari, è l’uomo più ricco della Cina, 15 anni dopo aver fondato Alibaba nel suo appartamento. Insegnava inglese presso l’Hangzhou Electronics Technology College senza entrature nel governo. Ora è uno dei volti più riconoscibili della Cina. Nessuno, però, nel Paese guadagna o mantiene una simile ricchezza e celebrità senza l’aiuto del Partito Comunista. Così, gli investitori devono sempre valutare quanto sostegno Jack Ma riceve e cosa questo comporta per Alibaba. Per ora, i legami con Pechino sembrano solidi. Jack Ma ha di recente accompagnato il presidente Xi Jinping in una visita di Stato nella Corea del Sud e l’esordio record dell’Ipo ha fruttato miliardi di dollari al fondo sovrano di Pechino e alle società d’investimento collegate a figli e nipoti di alcuni leader del Partito, tra cui l’ex presidente Jiang Zemin e l’ex premier Wen Jiabao. Alibaba era già un gruppo molto potente prima che questi investitori acquistassero quote nella società nel 2012, ma i legami di alto livello potrebbero proteggerne il futuro. Altri segni dell’appoggio politico si possono vedere nei recenti investimenti che il gruppo ha fatto in settori fuori del suo ambito ma che Pechino vuole spingere. Il settore bancario, per esempio, è sclerotizzato, così lo scorso anno Alipay ha lanciato un fondo monetario che in breve tempo ha attirato 100 miliardi di dollari nonostante la forte opposizione delle banche tradizionali. Ancora, il latte spesso non è sicuro, le tlc sono dominate da tre società pubbliche poco dinamiche e le reti informatiche potrebbero essere compromesse dallo spionaggio americano – così in queste aree e in altre Ma offre qualcosa di nuovo, spesso grazie al sostegno di Pechino. La valutazione di Alibaba con l’Ipo ha superato i 231 miliardi di dollari, quindi gli investitori non sembrano badare molto all’influenza dei politici. In Cina, però, il loro sostegno può svanire da un momento all’altro per via della frammentazione del Partito, o per una legge che limiti il potere dei grandi gruppi hi-tech. Il rischio politico potrebbe così rappresentare per Alibaba quello più pericoloso. La struttura di governance lo fa capire. La società sta emettendo due classi di azioni in modo che Ma e 26 partner abbiano il potere decisionale senza avere la maggioranza. Significa che un’azione non equivarrà a un voto, ma gli azionisti lo sanno dall’inizio. Anche Google, Facebook e News Corp hanno quotato due classi di titoli. Preoccupa il fatto che, siccome il governo limita l’acquisto di asset cinesi da parte degli stranieri, gli azionisti di Alibaba non ne sono proprietari. Tramite una cosiddetta Variable interest entity (Vie), avranno azioni di un veicolo che ha un diritto contrattuale sui profitti. Molte società cinesi quotate in Occidente hanno aggirato così le norme sulla proprietà straniera. Pechino però potrebbe chiudere la scappatoia in ogni momento, e gli azionisti hanno poche possibilità di ricorrere contro gli abusi dei fondatori. «I contratti Vie sono vincolanti solo se i tribunali cinesi li dichiarano legittimi», avverte la Us-China Economic and Security Review Commission del Congresso. «Per gli investitori Usa, il rischio è che gli azionisti cinesi si approprino dell’entità ignorando la legge.