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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

BARCELLONA TRA TIFO E INVIDIA: VOGLIAMO VOTARE ANCHE NOI

BARCELLONA.
«Perché in Scozia possono votare e noi catalani non possiamo? Perché gli scozzesi possono decidere se essere indipendenti e a noi viene impedito?». Enrique fa il poliziotto, è un mossos d’Esquadra, un giovane agente della polizia regionale catalana. È in servizio di fronte al Palazzo della Generalitat, il governo della Catalogna guidato da Artur Mas. «Le mie - dice - sono le domande che si fanno tutti. Non capiamo». Poi si guarda attorno e aggiunge: «I miei colleghi sono tutti per l’indipendenza, in molti pensano che è colpa del governo spagnolo se ci hanno bloccato da quattro anni lo stipendio. Io non lo so, non so se i politici catalani sono più onesti e competenti di quelli che stanno a Madrid, non so se per noi le cose migliorerebbero con la secessione. Ma voglio poter decidere, questo è certo».
La Catalogna, come Enrique, guarda alla Scozia. Una settimana fa, nel giorno della Diada, la festa catalana diventata una rivendicazione di indipendenza, più di un milione di cittadini sono scesi per le strade di Barcellona a manifestare per il referendum gridando «Voto, volontà, vittoria» ma anche «Scozia, Scozia». Dalle finestre e dai balconi delle case della città sventola ancora ovunque la Senyera, la bandiera rossa e gialla della «nazione catalana» come qui tutti chiamano la loro terra.
È la regione più ricca del Paese, con un Pil di 200 miliardi di euro vale un quinto dell’economia nazionale. Come tutta la Spagna ha sofferto pesantemente la crisi economica degli ultimi cinque anni ma le sue imprese, le più attive sui mercati internazionali, si stanno riprendendo in fretta. Nonostante lo scontro politico continuo tra il governo spagnolo del conservatore Mariano Rajoy e i leader catalani che chiedono di rivedere un sistema nel quale le regioni hanno la responsabilità di un terzo della spesa pubblica, comprese scuole e ospedali, ma vivono di trasferimenti statali.
Mas fa il tifo per l’indipendenza della Scozia: «Una vittoria dei sì - dice - spianerebbe la strada al processo di sovranità della Catalogna e al suo riconoscimento internazionale». E insiste nel rivendicare «il diritto del popolo catalano all’autodeterminazione» votando nel referendum autoproclamato per il prossimo 9 novembre. Almeno l’80% dei catalani è con lui nel chiedere il voto popolare. Ma sono poco più del 50%, secondo i sondaggi, a chiedere la secessione dalla Spagna.
Da Madrid Rajoy attacca le spinte separatiste e annuncia che si opporrà a un’eventuale ingresso della Scozia nell’Unione europea. Mentre ribadisce che «il referendum in Catalogna è illegale, contrario alla Costituzione e che saranno usati tutti i mezzi previsti dalla legge per impedirlo», fino ad arrivare alla sospensione della stessa autonomia catalana, come minaccia, Costituzione alla mano, il ministro degli Esteri, José Manuel Garcia-Margallo.
«La Catalogna deve avere obiettivi e progetti per il futuro comuni a quelli del Paese», spiega Joaquim Gay de Montella, presidente del Fomento del Trabajo Nacional, l’associazione delle imprese catalane. «Dobbiamo ricostruire l’alleanza tra Spagna e Catalogna. Non faremo passi avanti nelle riforme, nella ripresa economica, nei modelli di produzione, finché le tensioni provocate dall’instabilità politica tra Spagna e Catalogna rimarranno alte come in questi giorni».
La rottura non è mai stata tanto profonda. «La situazione che viviamo in Catalogna è diventata politicamente insostenibile», spiega Alberto Lopez Basaguren, costituzionalista che ha seguito da vicino i processi di indipendenza di Scozia e Quebec. «È vero - dice Lopez Basaguren - niente si può fare al di fuori della legalità e quindi Mas sbaglia. Ma è altrettanto vero che chi difende la legalità, quindi il governo Rajoy o la Corte costituzionale, deve giustificare la legittimità delle sue posizioni. La Costituzione non prevede un referendum del genere, ma nulla vieta che si possano esplorare altre strade e trovare il modo di stabilire sotto quali condizioni la Catalogna possa votare».
In molti a Barcellona scommettono su un accordo con il quale Mas e il suo partito Convergencia i Unio rinunceranno al referendum in cambio di altri elementi di autonomia della regione, soprattutto in materia fiscale. E questo nonostante le pressioni degli alleati di Esquerra Republicana de Catalunya. «In Scozia votano e decidono quale sarà il loro destino qui da noi è diverso», dice Tiago da dietro il bancone del Bar Clemen’s, alla Boqueria, il mercato nel cuore di Barcellona. «Da noi - dice alzando una birra al sì scozzese - non ce lo permettono. La Spagna non ci lascerà mai andare».
Luca Veronese, Il Sole 24 Ore 19/9/2014