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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

SORPRESA: ORA LA CINA DÀ UNA MANO A OBAMA


Vladimir Putin che, a giorni alterni, minaccia: se solo volessi, in pochi giorni potrei arrivare non solo a Kiev, ma anche nelle capitali baltiche e a Varsavia. Come dire che la legalità internazionale non gli interessa e che non teme l’impatto delle sanzioni economiche. E poi l’emergenza Isis in Medio Oriente che mette in rilievo gli errori commessi da Washington sia quando ha invaso l’Iraq rovesciando Saddam Hussein, sia con la decisione di Obama di ritirare completamente le truppe dal Paese e di non intervenire a sostegno dei ribelli «moderati» in Siria. Sono tempi difficili per il presidente americano, costretto di nuovo a indossare controvoglia i panni di capo delle forze armate. A bruciare è soprattutto il fatto che la filosofia di fondo di Obama — la convinzione che tensioni e ragioni di conflitto indietreggino davanti alle opportunità offerte dalla cooperazione economica — fin qui non ha trovato grandi conferme nei fatti: Iraq e Afghanistan sono a pezzi nonostante il fiume di denaro speso dagli americani per la ricostruzione, mentre Putin ostenta indifferenza per i danni economici che sta infliggendo a un’economia russa già in recessione e ora sottoposta a sanzioni sempre più dure.
Ma qui una buona notizia, per Obama, sembra arrivare dal fronte che forse temeva di più. Quello del quale si parla meno ma che forse ha il peso strategico maggiore nell’atteggiamento prudente della Casa Bianca che teme di trovarsi a battersi su tre fronti: Europa dell’Est, Medio Oriente e Mar della Cina. Nelle scorse settimane gli strateghi di Washington hanno temuto che Pechino potesse approfittare dell’accavallarsi della crisi Ucraina e di quella dell’Isis per sfidare gli Stati Uniti sul controllo delle isole Senkaku, occupate dal Giappone due anni fa ma rivendicate anche dalla Cina. E il rischio è sempre lì: navi e pescherecci cinesi continuano a entrare di tanto in tanto in tratti di mare rivendicati come acque territoriali di Tokio, l’ostilità dell’opinione pubblica giapponese nei confronti della Cina continua a crescere. E Pechino avanza rivendicazioni marittime anche nei confronti di altri Paesi, dal Vietnam alle Filippine. Ma da Xi Jinping non sono venuti colpi di mano e, anzi, dicono gli analisti, la tensione sta calando: gli sconfinamenti negli ultimi mesi sono diminuiti, una piattaforma petrolifera che era stata portata in acque rivendicate dal Vietnam è stata ritirata. E a Pechino la propaganda nazionalista ha subito un netto ridimensionamento. È possibile che il presidente cinese stia allentando la pressione semplicemente per non compromettere le prospettive del vertice economico dell’area Asia-Pacifico che verrà ospitato proprio da lui a Pechino a novembre e al quale parteciperà anche il premier giapponese Abe (oltre allo stesso Obama). Ma la sensazione è che, mentre Putin va in guerra perché, con l’economia a pezzi, pensa che solo il nazionalismo può salvarlo, Xi punta sullo sviluppo economico e quindi fa scelte più responsabili (ieri era a Delhi a discutere di cooperazione economico con gli indiani, altri nemici secolari). Se così fosse, chi considera totalmente fallimentare la strategia di Obama forse dovrebbe, almeno in parte, ricredersi.