Emanuela Audisio, la Repubblica 19/9/2014, 19 settembre 2014
L’ARCHIVIO SOCIAL PER FAR RIVIVERE LA MILANO CHE NON C’È PIÙ
Le città spesso traslocano: spostano ponti, statue, memorie. Un lifting che sfratta la storia. Non sono cattive, solo sbadate, come noi quando cambiamo casa, e vogliamo liberarci dei ricordi. Tutto ci sembra troppo ingombrante: dove sistemare il passato? In cantina non ci sta: soprattutto se si chiama Napoleone, Buffalo Bill, Pasolini. E poi il futuro ha bisogno di spazio. Così le città diventano sciatte, smemorate, meno interessanti. Cancellano la loro unicità. Non sai più chi un secolo fa è sbarcato con 180 cavalli e 18 bisonti, quale eroe sbagliato della cronaca nera ha ucciso nella tua strada, chi ha disegnato quel palazzo dove è cresciuta l’unica tennista italiana capace di vincere il Roland Garros. Storia, storie, mondi, identità. Su cui camminiamo ogni giorno, memorie che calpestiamo. Però Milano ora è la prima città italiana a fare l’upgrading dei ricordi, con una web tv. Il passato si vede, è consultabile (gratis) da tutti, e tutti i cittadini vi possono contribuire. Un archivio di immagini racconta come si è trasformata la città. Si chiama: memo-MI (logo di Annamaria Testa), è un progetto dell’associazione Chiamale Storie, realizzato da 3D Produzioni, con il sostegno della Fondazione Pasquinelli, e verrà presentato a Palazzo Reale (il 23, prossimo martedì) da Filippo Del Corno, assessore alla Cultura di Milano.
Altro che cinquanta sfumature. Sono molte di più. Sapete chi scattò la prima fotografia a colori del Duomo? Il nobile russo Sergey Prokudin-Gorsky nell’agosto 1906: c’era il bianco del marmo di Candoglia, il cielo azzurro, i tetti rossi della città sullo sfondo. Però allora lo sviluppo in camera oscura non permetteva ancora di ottenere il colore. Oggi sì, grazie alla postproduzione digitale.
E il primo ponte in metallo costruito in Italia dov’è? Proprio al centro di Parco Sempione, con le balaustre che terminano con quattro statue in ghisa: delle sirenette che stringono in mano un piccolo remo. Ma una volta non stava lì. Era chiamato il ponte delle sorelle Ghisini, sovrastava il Naviglio, che scorreva nell’attuale via Visconti di Modrone, all’epoca via San Damiano. Venne inaugurato nel 1842, la ditta costruttrice era la Fonderia Rubini di Dongo, che affidò la realizzazione ad un metallurgista di origine alsaziana, Georges Henry Falck. Il nonno di quel Giorgio Enrico Falck che nel 1906 fonderà la Società Anonima Acciaierie e Ferriere Lombarde. E la prima piscina pubblica d’Italia, anche se a Milano non c’è il mare, nasce nei pressi di Porta Venezia: si chiama Bagni Diana, ma è per soli uomini. E l’Arena di Milano, oggi titolata a Gianni Brera, è stata più di un impianto sportivo. Voluta da Napoleone, inaugurata nel 1807, con una gara di bighe, è stata anche allagata per farci una battaglia navale. Nel 1890 e nel 1906 Buffalo Bill ci portò per due volte il Far West a galoppo selvaggio. Quando Francesca Schiavone nel 2010 vinse l’Open di Parigi c’è chi scrisse che era cresciuta nel Gallaratese, in un casermone tra via Cilea e via Falk. Casermone? Si chiama Monte Amiata, progetto firmato nel ‘67 da due grandi architetti, Carlo Aymonino e Aldo Rossi, primo italiano a vincere il premio Pritzker nel ‘90. È la testimonianza di un complesso quasi autosufficiente, dove si può uscire «senza ombrello »: logge, ballatoi, percorsi verticali e orizzontali, tre piazze, luoghi d’incontro e di gioco.
E poi c’è il film che non c’è stato: «La Nebbiosa». Quando Pier Paolo Pasolini provò a sceneggiare i suoi ragazzi di vita. Solo che era a Milano nel ‘59: il racconto dell’ultima notte dell’anno in una metropoli notturna. Sette ragazzi sbandati: Gimkana, Teppa, Rospo, Contessa, Mosè, Cino e Toni, girano in auto tra periferie e centro, degrado e lusso, mancano dieci anni al ‘68. E sì, finisce male. Però gli studenti della scuola de Il Piccolo Teatro lo recitano benissimo. Giuseppina Pasquinelli che sostiene l’iniziativa dice: «È un progetto culturale per la città di Milano, un modo per suscitare curiosità nei giovani, e anche per chi ha i capelli bianchi. A mia madre Lina, morta a 86 anni, continuavo a ripetere: scrivi perché dopo non resterà niente. Non lo ha fatto, il cruccio mi è rimasto, anche per questo sono contenta di memoMi». Tutto scorre, online. I servizi sono firmati (Giovanna Milella, Marco Ciriello, Maria Perosino, Andrea Kerbaker, Paola Usai, Marina Dotti). Le memoria è portatrice sana di futuro.
Emanuela Audisio, la Repubblica 19/9/2014