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 2014  settembre 16 Martedì calendario

L’ARTICOLO 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI IN BASE ALLA RIFORMA DEL 2012


Parte incomprensibile come esempio:
Legge 92 del 28 giugno 2012

"Art. 18. Tutela del lavoratore in caso di
licenziamento illegittimo



Il testo dell’articolo 30, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche’ misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), come modificato dalla presente legge, e’ il seguente:

"Art. 30.Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro

1. In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile e all’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale e’ limitato esclusivamente, in conformita’ ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimita’ e non puo’ essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente. L’inosservanza delle disposizioni di cui al precedente periodo, in materia di limiti al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro, costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto.





Legge 92 del 28 giugno 2012

"Art. 18. Tutela del lavoratore in caso di
licenziamento illegittimo
Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la
nullita’ del licenziamento perche’ discriminatorio ai sensi
dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero
intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi
dell’articolo 35 del codice delle pari opportunita’ tra
uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006,
n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui
all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno
della maternita’ e della paternita’, di cui al decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive
modificazioni, ovvero perche’ riconducibile ad altri casi
di nullita’ previsti dalla legge o determinato da un motivo
illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del
codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o
non imprenditore,
la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro,
indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale
che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di
lavoro. La presente disposizione si applica anche ai
dirigenti. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il
rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore
non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito
del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto
l’indennita’ di cui al terzo comma del presente articolo.
Il regime di cui al presente articolo si applica anche al
licenziamento dichiarato inefficace perche’ intimato in
forma orale.
Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma,
condanna altresi’ il datore di lavoro al risarcimento del
danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia
stata accertata la nullita’, stabilendo a tal fine
un’indennita’ commisurata all’ultima retribuzione globale
di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a
quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto
percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento
di altre attivita’ lavorative. In ogni caso la misura del
risarcimento non potra’ essere inferiore a cinque
mensilita’ della retribuzione globale di fatto. Il datore
di lavoro e’ condannato inoltre, per il medesimo periodo,
al versamento
dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno
come previsto al secondo comma, al lavoratore e’ data la
facolta’ di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione
della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennita’
pari a quindici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale
di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del
rapporto di lavoro, e che non e’ assoggettata a
contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennita’
deve essere effettuata entro trenta giorni dalla
comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito
del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore
alla predetta comunicazione.
Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non
ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o
della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per
insussistenza del fatto contestato ovvero perche’ il fatto
rientra tra le condotte punibili con una sanzione
conservativa sulla base delle previsioni dei contratti
collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,
annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro
alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo
comma e al pagamento di un’indennita’ risarcitoria
commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal
giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva
reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito,
nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre
attivita’ lavorative, nonche’ quanto avrebbe potuto
percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una
nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennita’
risarcitoria non puo’ essere superiore a dodici mensilita’
della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e’
condannato, altresi’, al versamento dei contributi
previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento
fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati
degli interessi nella misura legale senza applicazione di
sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un
importo pari al differenziale contributivo esistente tra la
contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di
lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella
accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento
di altre attivita’ lavorative. In quest’ultimo caso,
qualora i contributi afferiscano ad altra gestione
previdenziale, essi sono imputati d’ufficio alla gestione
corrispondente all’attivita’ lavorativa svolta dal
dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al
datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione,
il rapporto di lavoro si intende risolto quando il
lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni
dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui
abbia richiesto l’indennita’ sostitutiva della
reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo
comma.
Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non
ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o
della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara
risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del
licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento
di un’indennita’ risarcitoria onnicomprensiva determinata
tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro
mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, in
relazione all’anzianita’ del lavoratore e tenuto conto del
numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni
dell’attivita’ economica, del comportamento e delle
condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione
a tale riguardo.
Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato
inefficace per violazione del requisito di motivazione di
cui all’articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n.
604, e successive modificazioni, della procedura di cui
all’articolo 7 della presente legge, o della procedura di
cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e
successive modificazioni, si applica il regime di cui al
quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di
un’indennita’ risarcitoria onnicomprensiva determinata, in
relazione alla gravita’ della violazione formale o
procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di
sei e un massimo di dodici mensilita’ dell’ultima
retribuzione globale di fatto, con onere di specifica
motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla
base della domanda del lavoratore, accerti che vi e’ anche
un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual
caso applica, in luogo di quelle previste dal presente
comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al
quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui
accerti il difetto di giustificazione del licenziamento
intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10,
comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo
oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica
del lavoratore, ovvero che il licenziamento e’ stato
intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma,
del codice civile. Puo’ altresi’ applicare la predetta
disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta
insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per
giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui
accerta che non ricorrono gli estremi del predetto
giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di
cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai
fini della determinazione dell’indennita’ tra il minimo e
il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui
al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore
per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento
delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo
7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive
modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base
della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento
risulti determinato da ragioni discriminatorie o
disciplinari, trovano applicazione le relative tutele
previste dal presente articolo.
Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si
applicano al datore di lavoro, imprenditore o non
imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale,
ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il
licenziamento occupa alle sue dipendenze piu’ di quindici
lavoratori o piu’ di cinque se si tratta di imprenditore
agricolo, nonche’ al datore di lavoro, imprenditore o non
imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa
piu’ di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel
medesimo ambito territoriale occupa piu’ di cinque
dipendenti, anche se ciascuna unita’ produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in
ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non
imprenditore, che occupa piu’ di sessanta dipendenti.
Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui
all’ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con
contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di
orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale
proposito, che il computo delle unita’ lavorative fa
riferimento all’orario previsto dalla contrattazione
collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i
parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in
linea diretta e inlinea collaterale. Il computo dei limiti
occupazionali di cui all’ottavo comma non incide su norme o
istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o
creditizie.
Nell’ipotesi di revoca del licenziamento, purche’
effettuata entro il termine di quindici giorni dalla
comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del
medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato
senza soluzione di continuita’, con diritto del lavoratore
alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla
revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori
previsti dal presente articolo.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui
all’articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del
sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il
giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, puo’
disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o
insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di
lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di
lavoro.
L’ordinanza di cui al comma precedente puo’ essere
impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che
l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni
dell’articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del
codice di procedura civile .
L’ordinanza puo’ essere revocata con la sentenza che
decide la causa.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui
all’articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla
sentenza di cui al primo comma ovvero all’ordinanza di cui
all’undicesimo comma, non impugnata o confermata dal
giudice che l’ha pronunciata, e’ tenuto anche, per ogni
giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo
adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della
retribuzione dovuta al lavoratore.".
Il testo dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n.
108 (Disciplina dei licenziamenti individuali), e’ il
seguente:
"Art. 3. Licenziamento discriminatorio.
1. Il licenziamento determinato da ragioni
discriminatorie ai sensi dell’articolo 4 della legge 15
luglio 1966, n. 604 e dell’articolo 15 della legge 20
maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 13 della
legge 9 dicembre 1977, n. 903, e’ nullo indipendentemente
dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il
numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le
conseguenze previste dall’articolo 18 della legge 20 maggio
1970, n. 300, come modificato dalla presente legge. Tali
disposizioni si applicano anche ai dirigenti.".
Il testo dell’articolo 35 del decreto legislativo 11
aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunita’ tra
uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28
novembre 2005, n. 246 ), e’ il seguente:
"Art. 35. Divieto di licenziamento per causa di
matrimonio (legge 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6)
In vigore dal 15 giugno 2006 1. Le clausole di
qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e
collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la
risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in
conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non
apposte.
2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa
di matrimonio.
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il
licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente
dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di
matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo
la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di
matrimonio.
4. Sono nulle le dimissioni presentate dalla
lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano
dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione
provinciale del lavoro.
5. Al datore di lavoro e’ data facolta’ di provare che
il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di
cui al comma 3, e’ stato effettuato non a causa di
matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente
giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) cessazione dell’attivita’ dell’azienda cui essa e’
addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la
lavoratrice e’ stata assunta o di risoluzione del rapporto
di lavoro per la scadenza del termine.
6. Con il provvedimento che dichiara la nullita’ dei
licenziamenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 e’ disposta la
corresponsione, a favore della lavoratrice allontanata dal
lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno
della riammissione in servizio.
7. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio,
dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al
trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa,
ferma restando la corresponsione della retribuzione fino
alla data del recesso.
8. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro
il termine di dieci giorni dal ricevimento dell’invito.
9. Le disposizioni precedenti si applicano sia alle
lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi
genere, escluse quelle addette ai servizi familiari e
domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve
le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici
nei contratti collettivi ed individuali di lavoro e nelle
disposizioni legislative e regolamentari.".
Il testo dell’articolo 54 del citato decreto
legislativo n. 151 del 2001 e’ il seguente:
"Art.54. Divieto di licenziamento.
(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 2, commi 1, 2,
3, 5, e art. 31, comma 2; legge 9 dicembre 1977, n. 903,
art. 6-bis, comma 4; decreto legislativo 9 settembre 1994,
n. 566, art. 2, comma 2; legge 8 marzo 2000, n. 53, art.
18, comma 1)
1. Le lavoratrici non possono essere licenziate
dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei
periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III,
nonche’ fino al compimento di un anno di eta’ del bambino.
2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con
lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice,
licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto,
e’ tenuta a presentare al datore di lavoro idonea
certificazione dalla quale risulti l’esistenza all’epoca
del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice,
costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di
lavoro;
b) di cessazione dell’attivita’ dell’azienda cui essa
e’ addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la
lavoratrice e’ stata assunta o di risoluzione del rapporto
di lavoro per la scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta fermo il
divieto di discriminazione di cui all’articolo 4 della
legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.
4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di
licenziamento, la lavoratrice non puo’ essere sospesa dal
lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attivita’
dell’azienda o del reparto cui essa e’ addetta, sempreche’
il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La
lavoratrice non puo’ altresi’ essere collocata in mobilita’
a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge
23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva
l’ipotesi di collocamento in mobilita’ a seguito della
cessazione dell’attivita’ dell’azienda di cui al comma 3,
lettera b).
5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in
violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, e’
nullo.
6. E’ altresi’ nullo il licenziamento causato dalla
domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la
malattia del bambino da parte della lavoratrice o del
lavoratore.
7. In caso di fruizione del congedo di paternita’, di
cui all’articolo 28, il divieto di licenziamento si applica
anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso
e si estende fino al compimento di un anno di eta’ del
bambino. Si applicano le disposizioni del presente
articolo, commi 3, 4 e 5.
8. L’inosservanza delle disposizioni contenute nel
presente articolo e’ punita con la sanzione amministrativa
da euro 1.032 a euro 2.582. Non e’ ammesso il pagamento in
misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24
novembre 1981, n. 689.
9. Le disposizioni del presente articolo si applicano
anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di
licenziamento si applica fino ad un anno dall’ingresso del
minore nel nucleo familiare. In caso di adozione
internazionale, il divieto opera dal momento della
comunicazione della proposta di incontro con il minore
adottando, ai sensi dell’articolo 31, terzo comma, lettera
d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive
modificazioni, ovvero della comunicazione dell’invito a
recarsi all’estero per ricevere la proposta di
abbinamento.".
Il testo dell’art. 1345 del codice civile e’ il
seguente:
"Art.1345. Motivo illecito.
Il contratto e’ illecito quando le parti si sono
determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo
illecito comune ad entrambe.".
Il testo dell’articolo 2, comma 2 della legge 15 luglio
1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), e’ il
seguente:
"Art. 2. Il prestatore di lavoro puo’ chiedere, entro
quindici giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno
determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro
deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per
iscritto.".
Il testo degli articoli 4, comma 4 e 10, comma 3, della
legge 12 marzo 1999, n .6 (Norme per il diritto al lavoro
dei disabili) e’ il seguente:
"Art. 4. Criteri di computo della quota di riserva.
(Omissis).
4. I lavoratori che divengono inabili allo svolgimento
delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o
malattia non possono essere computati nella quota di
riserva di cui all’articolo 3 se hanno subito una riduzione
della capacita’ lavorativa inferiore al 60 per cento o,
comunque, se sono divenuti inabili a causa
dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, accertato
in sede giurisdizionale, delle norme in materia di
sicurezza ed igiene del lavoro. Per i predetti lavoratori
l’infortunio o la malattia non costituiscono giustificato
motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere
adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a
mansioni inferiori. Nel caso di destinazione a mansioni
inferiori essi hanno diritto alla conservazione del piu’
favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di
provenienza. Qualora per i predetti lavoratori non sia
possibile l’assegnazione a mansioni equivalenti o
inferiori, gli stessi vengono avviati, dagli uffici
competenti di cui all’articolo 6, comma 1, presso altra
azienda, in attivita’ compatibili con le residue capacita’
lavorative, senza inserimento nella graduatoria di cui
all’articolo 8. "
"Art.10. Rapporto di lavoro dei disabili
obbligatoriamente assunti.
(Omissis).
2. Nel caso di aggravamento delle condizioni di salute
o di significative variazioni dell’organizzazione del
lavoro, il disabile puo’ chiedere che venga accertata la
compatibilita’ delle mansioni a lui affidate con il proprio
stato di salute. Nelle medesime ipotesi il datore di lavoro
puo’ chiedere che vengano accertate le condizioni di salute
del disabile per verificare se, a causa delle sue
minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso
l’azienda. Qualora si riscontri una condizione di
aggravamento che, sulla base dei criteri definiti dall’atto
di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 1, comma
4, sia incompatibile con la prosecuzione dell’attivita’
lavorativa, o tale incompatibilita’ sia accertata con
riferimento alla variazione dell’organizzazione del lavoro,
il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita del
rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilita’ persista.
Durante tale periodo il lavoratore puo’ essere impiegato in
tirocinio formativo. Gli accertamenti sono effettuati dalla
commissione di cui all’articolo 4 della legge 5 febbraio
1992, n. 104 , integrata a norma dell’atto di indirizzo e
coordinamento di cui all’articolo 1, comma 4, della
presente legge, che valuta sentito anche l’organismo di cui
all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23
dicembre 1997, n. 469 , come modificato dall’articolo 6
della presente legge. La richiesta di accertamento e il
periodo necessario per il suo compimento non costituiscono
causa di sospensione del rapporto di lavoro. Il rapporto di
lavoro puo’ essere risolto nel caso in cui, anche attuando
i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la
predetta commissione accerti la definitiva impossibilita’
di reinserire il disabile all’interno dell’azienda. ".
Il testo dell’articolo 30, comma 1, della legge 4
novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi,
aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di
servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di
apprendistato, di occupazione femminile, nonche’ misure
contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro
pubblico e di controversie di lavoro), come modificato
dalla presente legge, e’ il seguente:
"Art. 30.Clausole generali e certificazione del
contratto di lavoro
1. In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge
nelle materie di cui all’articolo 409 del codice di
procedura civile e all’articolo 63, comma 1, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole
generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di
un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali,
trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale
e’ limitato esclusivamente, in conformita’ ai principi
generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto
di legittimita’ e non puo’ essere esteso al sindacato di
merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e
produttive che competono al datore di lavoro o al
committente.
L’inosservanza delle disposizioni di cui al precedente
periodo, in materia di limiti al sindacato di merito sulle
valutazioni tecniche, organizzative e produttive che
competono al datore di lavoro, costituisce motivo di
impugnazione per violazione di norme di diritto.".
Il testo dell’articolo 4 della legge 23 luglio 1991, n.
223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilita’,
trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive
della Comunita’ europea, avviamento al lavoro ed altre
disposizioni in materia di mercato del lavoro), come
modificato dalla presente legge, e’ il seguente:
"Art. 4. Procedura per la dichiarazione di mobilita’
In vigore dal 27 giugno 1997 1. L’impresa che sia stata
ammessa al trattamento straordinario di integrazione
salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di
cui all’articolo 1 ritenga di non essere in grado di
garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di
non poter ricorrere a misure alternative, ha facolta’ di
avviare le procedure di mobilita’ ai sensi del presente
articolo.
2. Le imprese che intendano esercitare la facolta’ di
cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione preventiva
per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali
costituite a norma dell’articolo 19 della legge 20 maggio
1970, n. 300, nonche’ alle rispettive associazioni di
categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la
comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di
categoria aderenti alle confederazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle
associazioni di categoria puo’ essere effettuata per il
tramite dell’associazione dei datori di lavoro alla quale
l’impresa aderisce o conferisce mandato.
3. La comunicazione di cui al comma 2 deve contenere
indicazione: dei motivi che determinano la situazione di
eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi,
per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee
a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in
tutto o in parte, la dichiarazione di mobilita’; del
numero, della collocazione aziendale e dei profili
professionali del personale eccedente, nonche’ del
personale abitualmente impiegato; dei tempi di attuazione
del programma di mobilita’; delle eventuali misure
programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano
sociale della attuazione del programma medesimo del metodo
di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da
quelle gia’ previste dalla legislazione vigente e dalla
contrattazione collettiva. Alla comunicazione va allegata
copia della ricevuta del versamento all’INPS, a titolo di
anticipazione sulla somma di cui all’articolo 5, comma 4,
di una somma pari al trattamento massimo mensile di
integrazione salariale moltiplicato per il numero dei
lavoratori ritenuti eccedenti .
4. Copia della comunicazione di cui al comma 2 e della
ricevuta del versamento di cui al comma 3 devono essere
contestualmente inviate all’Ufficio provinciale del lavoro
e della massima occupazione.
5. Entro sette giorni dalla data del ricevimento della
comunicazione di cui al comma 2, a richiesta delle
rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive
associazioni si procede ad un esame congiunto tra le parti,
allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a
determinare l’eccedenza del personale e le possibilita’ di
utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua
parte, nell’ambito della stessa impresa, anche mediante
contratti di solidarieta’ e forme flessibili di gestione
del tempo di lavoro. Qualora non sia possibile evitare la
riduzione di personale, e’ esaminata la possibilita’ di
ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in
particolare, a facilitare la riqualificazione e la
riconversione dei lavoratori licenziati. I rappresentanti
sindacali dei lavoratori possono farsi assistere, ove lo
ritengano opportuno, da esperti.
6. La procedura di cui al comma 5 deve essere esaurita
entro quarantacinque giorni dalla data del ricevimento
della comunicazione dell’impresa. Quest’ultima da’
all’Ufficio provinciale del lavoro e della massima
occupazione comunicazione scritta sul risultato della
consultazione e sui motivi del suo eventuale esito
negativo. Analoga comunicazione scritta puo’ essere inviata
dalle associazioni sindacali dei lavoratori.
7. Qualora non sia stato raggiunto l’accordo, il
direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della
massima occupazione convoca le parti al fine di un
ulteriore esame delle materie di cui al comma 5, anche
formulando proposte per la realizzazione di un accordo.
Tale esame deve comunque esaurirsi entro trenta giorni dal
ricevimento da parte dell’Ufficio provinciale del lavoro e
della massima occupazione della comunicazione dell’impresa
prevista al comma 6.
8. Qualora il numero dei lavoratori interessati dalla
procedura di mobilita’ sia inferiore a dieci, i termini di
cui ai commi 6 e 7 sono ridotti alla meta’.
9.Raggiunto l’accordo sindacale ovvero esaurita la
procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, l’impresa ha facolta’
di collocare in mobilita’ gli impiegati, gli operai e i
quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di
essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso.
Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi,
l’elenco dei lavoratori collocati in mobilita’, con
l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del
luogo di residenza, della qualifica, del livello di
inquadramento, dell’eta’, del carico di famiglia, nonche’
con puntuale indicazione delle modalita’ con le quali sono
stati applicati i criteri di scelta di cui all’articolo 5,
comma 1, deve essere comunicato per iscritto all’Ufficio
regionale del lavoro e della massima occupazione
competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle
associazioni di categoria di cui al comma 2.
10. Nel caso in cui l’impresa rinunci a collocare in
mobilita’ i lavoratori o ne collochi un numero inferiore a
quello risultante dalla comunicazione di cui al comma 2, la
stessa procede al recupero delle somme pagate in eccedenza
rispetto a quella dovuta ai sensi dell’articolo 5, comma 4,
mediante conguaglio con i contributi dovuti all’INPS, da
effettuarsi con il primo versamento utile successivo alla
data di determinazione del numero dei lavoratori posti in
mobilita’.
11. Gli accordi sindacali stipulati nel corso delle
procedure di cui al presente articolo, che prevedano il
riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti
eccedenti, possono stabilire, anche in deroga al secondo
comma dell’articolo 2103 del codice civile, la loro
assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte .
12. Le comunicazioni di cui al comma 9 sono prive di
efficacia ove siano state effettuate senza l’osservanza
della forma scritta e delle procedure previste dal presente
articolo.
Gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma
2 del presente articolo possono essere sanati, ad ogni
effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale
concluso nel corso della procedura di licenziamento
collettivo .
13. I lavoratori ammessi al trattamento di cassa
integrazione, al termine del periodo di godimento del
trattamento di integrazione salariale, rientrano in
azienda.
14. Il presente articolo non trova applicazione nel
caso di eccedenze determinate da fine lavoro nelle imprese
edili e nelle attivita’ stagionali o saltuarie, nonche’ per
i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo
determinato.
15. Nei casi in cui l’eccedenza riguardi unita’
produttive ubicate in diverse province della stessa regione
ovvero in piu’ regioni, la competenza a promuovere
l’accordo di cui al comma 7 spetta rispettivamente al
direttore dell’Ufficio regionale del lavoro e della massima
occupazione ovvero al Ministro del lavoro e della
previdenza sociale. Agli stessi vanno inviate le
comunicazioni previste dal comma 4.
15-bis Gli obblighi di informazione, consultazione e
comunicazione devono essere adempiuti indipendentemente dal
fatto che le decisioni relative all’apertura delle
procedure di cui al presente articolo siano assunte dal
datore di lavoro o da un’impresa che lo controlli. Il
datore di lavoro che viola tali obblighi non puo’ eccepire
a propria difesa la mancata trasmissione, da parte
dell’impresa che lo controlla, delle informazioni relative
alla decisione che ha determinato l’apertura delle predette
procedure.
16. Sono abrogati gli articoli 24 e 25 della legge 12
agosto 1977, n. 675, le disposizioni del decreto-legge 30
marzo 1978, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla
legge 26 maggio 1978, n. 215, ad eccezione dell’articolo
4-bis, nonche’ il decreto-legge 13 dicembre 1978, n. 795,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 febbraio 1979,
n. 36.".
Il testo dell’articolo 5 della citata legge n. 223 del
1991, come modificato dalla presente legge, e’ il seguente:
"Art. 5.Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri a
carico delle imprese
1. L’individuazione dei lavoratori da collocare in
mobilita’ deve avvenire, in relazione alle esigenze
tecnico-produttive ed organizzative del complesso
aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti
collettivi stipulati con i sindacati di cui all’articolo 4,
comma 2, ovvero, in mancanza di questi contratti, nel
rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:
a) carichi di famiglia;
b) anzianita’;
c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative .
2. Nell’operare la scelta dei lavoratori da collocare
in mobilita’, l’impresa e’ tenuta al rispetto dell’articolo
9, ultimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17,
convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983,
n. 79. L’impresa non puo’ altresi’ collocare in mobilita’
una percentuale di manodopera femminile superiore alla
percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo
alle mansioni prese in considerazione.
3.Qualora il licenziamento sia intimato senza
l’osservanza della forma scritta, si applica il regime
sanzionatorio di cui all’articolo 18, primo comma, della
legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
In caso di violazione delle procedure richiamate
all’articolo 4, comma 12, si applica il regime di cui al
terzo periodo del settimo comma del predetto articolo 18.
In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal
comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del
medesimo articolo 18. Ai fini dell’impugnazione del
licenziamento si applicano le disposizioni di cui
all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e
successive modificazioni .
4. Per ciascun lavoratore posto in mobilita’ l’impresa
e’ tenuta a versare alla gestione degli interventi
assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, di
cui all’articolo 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88, in
trenta rate mensili, una somma (38) pari a sei volte il
trattamento mensile iniziale di mobilita’ spettante al
lavoratore. Tale somma e’ ridotta alla meta’ quando la
dichiarazione di eccedenza del personale di cui
all’articolo 4, comma 9, abbia formato oggetto di accordo
sindacale .
5. L’impresa che, secondo le procedure determinate
dalla Commissione regionale per l’impiego, procuri offerte
di lavoro a tempo indeterminato aventi le caratteristiche
di cui all’articolo 9, comma 1, lettera b), non e’ tenuta
al pagamento delle rimanenti rate relativamente ai
lavoratori che perdano il diritto al trattamento di
mobilita’ in conseguenza del rifiuto di tali offerte ovvero
per tutto il periodo in cui essi, accettando le offerte
procurate dalla impresa, abbiano prestato lavoro. Il
predetto beneficio e’ escluso per le imprese che si
trovano, nei confronti dell’impresa disposta ad assumere,
nei rapporti di cui all’articolo 8, comma 4-bis .
6. Qualora il lavoratore venga messo in mobilita’ dopo
la fine del dodicesimo mese successivo a quello di
emanazione del decreto di cui all’articolo 2, comma 1, e la
fine del dodicesimo mese successivo a quello del
completamento del programma di cui all’articolo 1, comma 2,
nell’unita’ produttiva in cui il lavoratore era occupato,
la somma che l’impresa e’ tenuta a versare ai sensi del
comma 4 del presente articolo e’ aumentata di cinque punti
percentuali per ogni periodo di trenta giorni intercorrente
tra l’inizio del tredicesimo mese e la data di
completamento del programma. Nel medesimo caso non trova
applicazione quanto previsto dal secondo comma
dell’articolo 2 della legge 8 agosto 1972, n. 464. ".
Il testo dell’articolo 6 della citata legge n. 604 del
1966, e’ il seguente:
"Art.6. Il licenziamento deve essere impugnato a pena
di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della
sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla
comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove
non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche
extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volonta’ del
lavoratore anche attraverso l’intervento
dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il
licenziamento stesso.
Il licenziamento deve essere impugnato a pena di
decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua
comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione,
anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non
contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche
extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volonta’ del
lavoratore anche attraverso l’intervento
dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il
licenziamento stesso.
L’impugnazione e’ inefficace se non e’ seguita, entro
il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal
deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in
funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla
controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o
arbitrato, ferma restando la possibilita’ di produrre nuovi
documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora
la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o
non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo
espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato
a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal
mancato accordo.
A conoscere delle controversie derivanti
dall’applicazione della presente legge e’ competente il
pretore .".
Il testo degli articoli 125, 421, 414, 416, 102, 106,
107 e 327 del codice di procedura civile, e’ il seguente:
"Art. 125.Contenuto e sottoscrizione degli atti di
parte.
Salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione,
il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto
debbono indicare l’ufficio giudiziario, le parti,
l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o
l’istanza, e, tanto nell’originale quanto nelle copie da
notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se
essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore
che indica il proprio codice fiscale. Il difensore deve,
altresi’, indicare l’indirizzo di posta elettronica
certificata comunicato al proprio ordine e il proprio
numero di fax.
La procura al difensore dell’attore puo’ essere
rilasciata in data posteriore alla notificazione dell’atto,
purche’ anteriormente alla costituzione della parte
rappresentata.
La disposizione del comma precedente non si applica
quando la legge richiede che la citazione sia sottoscritta
dal difensore munito di mandato speciale."
"Art. 421.Poteri istruttori del giudice.
Il giudice indica alle parti in ogni momento le
irregolarita’ degli atti e dei documenti che possono essere
sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli
eventuali diritti quesiti.
Puo’ altresi’ disporre d’ufficio in qualsiasi momento
l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti
stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento
decisorio, nonche’ la richiesta di informazioni e
osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni
sindacali indicate dalle parti. Si osserva la disposizione
del comma sesto dell’articolo 420.
Dispone, su istanza di parte, l’accesso sul luogo di
lavoro, purche’ necessario al fine dell’accertamento dei
fatti e dispone altresi’, se ne ravvisa l’utilita’ l’esame
dei testimoni sul luogo stesso.
Il giudice, ove lo ritenga necessario, puo’ ordinare la
comparizione, per interrogarle liberamente sui fatti della
causa, anche di quelle persone che siano incapaci di
testimoniare a norma dell’articolo 246 o a cui sia vietato
a norma dell’articolo 247."
"Art. 414.Forma della domanda.
La domanda si propone con ricorso, il quale deve
contenere:
1. l’indicazione del giudice;
2. il nome, il cognome, nonche’ la residenza o il
domicilio eletto dal ricorrente nel comune in cui ha sede
il giudice adito, il nome, il cognome e la residenza o il
domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o
convenuto e’ una persona giuridica, un’associazione non
riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la
denominazione o ditta nonche’ la sede del ricorrente o del
convenuto;
3. la determinazione dell’oggetto della domanda;
4. l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto
sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni;
5. l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il
ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti
che si offrono in comunicazione."
"Art. 416.Costituzione del convenuto.
Il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima
dell’udienza, dichiarando la residenza o eleggendo
domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito.
La costituzione del convenuto si effettua mediante
deposito in cancelleria di una memoria difensiva, nella
quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le
eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni
processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio.
Nella stessa memoria il convenuto deve prendere
posizione, in maniera precisa e non limitata ad una
generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore
a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in
fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di
decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed
in particolare i documenti che deve contestualmente
depositare ."
"Art. 102.Litisconsorzio necessario.
Se la decisione non puo’ pronunciarsi che in confronto
di piu’ parti, queste debbono agire o essere convenute
nello stesso processo.
Se questo e’ promosso da alcune o contro alcune
soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del
contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito."
"Art. 106.Intervento su istanza di parte.
Ciascuna parte puo’ chiamare nel processo un terzo al
quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere
garantita."
"Art. 107.Intervento per ordine del giudice.
Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si
svolga in confronto di un terzo al quale la causa e’
comune, ne ordina l’intervento."
"Art. 327.Decadenza dall’impugnazione.
Indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il
ricorso per Cassazione e la revocazione per i motivi
indicati nei numeri 4 e 5 dell’articolo 395 non possono
proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della
sentenza.
Questa disposizione non si applica quando la parte
contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del
processo per nullita’ della citazione o della notificazione
di essa, e per nullita’ della notificazione degli atti di
cui all’art. 292.".