Michela Tamburrino, La Stampa 16/9/2014, 16 settembre 2014
IN PRINCIPIO FU IL RAME LA MATERIA COME ARTE
Sono trame sottilissime quelle che legano le diverse anime di una stessa materia. Sono trame di memorie, di sensazioni fisiche. Fai un segno ed è già elemento, si dice in architettura. Allora la materia si mette in mostra, raccontandosi dalla sua uscita primigenia fino al futuro. Il rame in tutte le sue suggestioni apre la Triennale di Milano (fino al 9 novembre), 250 pezzi raccolti in tutto il mondo, molti al loro debutto espositivo, tanti provenienti da collezioni private e da musei. Trame è il titolo che ne descrive filosofia e sviluppo, ideata, curata e prodotta (con Ei8ht Art Project, Triennale, Triennale Design e l’Istituto Italiano del Rame), da Elena Tettamanti in due anni di limature, fusioni a caldo, interazioni.
Un progetto dai linguaggi multidisciplinari voleva essere ed è, tra arte, design, architettura, tecnologia. «Tutto parte da una pluralità di suggestioni in una miniera a cielo aperto in Cile. Un inferno, il rame che usciva in tutta la sua forza, e lì ho cominciato a pensare che sarebbe stato bello vederlo raccolto». Lucentezza, poi ossida, cambia colore e diventa blu, antibatterico, conduttore di energia. E perché no, trama di vestiti, legato al cashmere o alla seta, divano preziosissimo e scomodissimo di Shiro Kuramata.
Si parte da un assunto, solo rame mai leghe, e da un feticcio attraente come può essere il Concetto spaziale di Lucio Fontana, l’artista che tra il 1960 e il 1962 creò la sua opera simbolicamente più figurativa, i grattacieli di New York, in grado di scatenare la potenza dell’immaginario, con un materiale poco consono, appunto il rame. Così facendo, trasforma il segno del suo linguaggio e riscrive la storia di un luogo. Poi si cambia e dai trenta capolavori dell’arte contemporanea Anni Sessanta, Arte povera compresa fino alla Minimal Art, in un’infilata di Kiefer, Icaro, Marisa Merz, Tatiana Trouvé, Melotti, si passa all’abitare, al rame per interni in un centinaio di proposte. Dalla lampada a bassa tensione smontabile, composta da materiali plastici e inserti di rame, la «Pierrot» per Flos, alla poltrona di Tom Dixon «Cu29» con il rivestimento frutto della deposizione elettrolitica di ioni di rame. Di grande effetto la seduta di Oskar Zieta, la «Plopp Copper Family», fogli di lamiera di rame gonfiati a pressione, la cui forma è data appunto da un colpo di aria compressa, come casualmente. La raccolta di contenitori da tè giapponese del 1875 e l’abito da sposa realizzato da Romeo Gigli per la moglie in fili di rame intrecciati a tessuto. Non mancano le calze con il plantare in rame che hanno confortato malati di diabete, la consolle «Il mercato» di Gio Ponti realizzata nel 1942, la lampada «Pipistrello» di Gae Aulenti i gioielli di Giorgio Vigna e di Mattiacci. Non mancano i jeans con i rivetti di rame.
Il passaggio all’architettura è nelle cose. Qui si parla di rame nascosto, c’è ha una sua funzione essenziale ma non compare troppo, scende dai tetti e diventa facciata, interni, a volte persino poesia, come nei progetti di Renzo Piano, «Nemo» ad Amsterdam, James Stirling e Aldo Rossi. Si fonde con la roccia la piscina del portoghese Alvaro Siza con copertura in rame. Qui, spazio alle foto che raccontano il lavoro di Herzog & De Meuron per il Signal Box di Basilea, c’è la Statua della Libertà fotografata da Matteo Piazza. Realizzata con pelle di fogli di rame su struttura di Gustave Eiffel, in Francia, e ricomposta a New York, si porta dietro una curiosità. Quando fu inaugurata, furono prodotte tante statue in miniatura da vendere ai piedi della «grande». Le produceva l’azienda Gaget. Nacquero così i gadget che resistono, più inossidabili del rame.
E se design e architettura camminano di pari passo, la tecnologia le precede. Trasporti, telecomunicazioni ma anche elettronica e perfino medicina. Computer e telefoni svelano un’anima di rame. Il racconto della città del rame non poteva prescindere dal suo domani non prima di rendere omaggio alle pepite dell’età di formazione del pianeta, 4,50 miliardi di anni fa (primo oggetto il pugnale) e alla «Elea 9.000», il primo calcolatore al mondo progettato da Ettore Sottsass per la Olivetti, con a fianco la scheda madre. Una sezione che dopo il tour della mostra - inizialmente Londra, Giappone, Usa, Israele, dice Elena Tettamanti -, resterà stabile al Museo della Scienza e della Tecnologia. Un’idea italiana che ha la forza e la duttilità del rame e che si fa anche benefica nella sua iniziativa a favore di Dynamo Camp a sostegno dei bambini affetti da gravi patologie.
Michela Tamburrino, La Stampa 16/9/2014