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 2014  settembre 16 Martedì calendario

LA SCOZIA INDIPENDENTE AVREBBE BISOGNO DI UN DRAGHI

Voglio ribadire e chiarire alcuni dei punti che ho sollevato in un recente editoriale sul New York Times a proposito del referendum scozzese del 18 settembre sull’indipendenza dal Regno Unito (nyti.ms/1BmyJth).
Una dichiarazione di indipendenza della Scozia produrrebbe un grosso sconvolgimento degli assetti economici e finanziari esistenti.
Come dice l’economista di Oxford Simon Wren-Lewis, gli economisti sono convinti, in misura preponderante, che questo sconvolgimento peggiorerebbe le cose per la Scozia: è una cosa su cui si può discutere, ma non è questo che punta a fare il movimento indipendentista.
I fautori del "Sì", infatti, raccontano agli elettori che non ci sarà nessuno sconvolgimento, e in particolare che gli scozzesi potranno continuare a usare la sterlina britannica senza che la cosa provochi alcun problema.
È un’affermazione che lascia attoniti, in questo momento storico. Gli economisti (a cominciare dal mio compianto collega e amico Peter Kenen) sostengono da tempo che avere una stessa valuta senza avere un’unica gestione delle finanze pubbliche è molto problematico.
La creazione dell’euro ha messo alla prova la validità di questa teoria: e i risultati sono stati molto peggiori di quello che immaginavano i più accaniti detrattori della moneta unica, con l’economia dell’Eurozona che ormai sta andando peggio dell’Europa occidentale negli anni 30.
E per una Scozia indipendente con la sterlina britannica come moneta le cose probabilmente sarebbero ancora più difficili. L’Europa recentemente è riuscita a stabilizzare un po’ la situazione grazie al supporto offerto dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ai paesi debitori. Ma Draghi ha potuto farlo soprattutto perché non risponde solo alle autorità tedesche, ma all’insieme dell’area dell’euro.
Una Scozia indipendente dovrebbe affidarsi al buon volere della Banca d’Inghilterra, senza alcuna voce in capitolo sulle sue politiche.
Ho letto molto di quello che scrivono gli indipendentisti e sembrano non rendersi minimamente conto dei pericoli. Gli elettori scozzesi farebbero bene a guardare attentamente a quello che è successo sul continente quando si è deciso di scindere la valuta dallo Stato. E non è incoraggiante.
Per il Fondo monetario
Due articoli che ho scritto per il Fondo monetario internazionale sono online. Il primo è il testo del mio intervento per la Mundell-Fleming Lecture e riguarda la possibilità (o l’impossibilità) di crisi in stile greco in Paesi che possono indebitarsi nella propria valuta (bit.l1/1weqGvU). Il secondo è una serie di brevi osservazioni di diversi premi Nobel (bit.ly/1op3NT3).
Ecco la conclusione del mio intervento per la Mundell-Fleming Lecture: «Gli assertori della vulnerabilità di Paesi debitori con tasso di cambio fluttuante non hanno fornito nessun dato specifico perché in realtà si tratta di una tesi destituita di fondamento. Modelli macroeconomici elementari indicano che una perdita di fiducia in un Paese come gli Stati Uniti, se avviene in un momento in cui i tassi di interesse sono praticamente a zero, dovrebbe avere semmai un effetto espansivo. E nemmeno ci si può appellare ai precedenti storici: i casi simili allo scenario di crisi ipotizzato sono rari, e quelli che ci sono non supportano la teoria del rischio di crisi in stile greco in un sistema valutario diversissimo. Potrà sembrarvi strano che l’opinione comune, sostenuta da molte persone autorevoli, possa sbagliarsi su un punto così fondamentale. Ma non è la prima volta che succede, e di sicuro non sarà l’ultima».
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Paul Krugman, Il Sole 24 Ore 16/9/2014