Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 16/9/2014, 16 settembre 2014
L’EUFORIA PER IL NUOVO E IL PESSIMISMO CRITICO
Probabilmente c’è sempre stato, ma il divario che separa oggi gli ottimisti dai pessimisti mi pare più ampio e forse più significativo del solito. È comunque un tema interessante che Piergiorgio Giacchè affronta nell’ultimo numero della rivista Lo Straniero a proposito del saggio-intervista di Marino Sinibaldi Un millimetro in là (Laterza). Tradizionalmente, e detto un po’ a spanne, il pessimismo è conservazione, l’ottimismo è progresso, il famoso ottimismo della volontà di gramsciana memoria, e cioè l’ottimismo che deriva dalla possibilità di cambiare le cose attraverso un’azione politica, sociale, culturale. Giacchè rimprovera a Sinibaldi di arrendersi alla realtà, accettando — sia pure da sinistra — la sacra trinità di Steve Jobs tecnologia-contenuto-desiderio. Così va il mondo, e noi non possiamo/dobbiamo fermarlo. Oggi da una parte c’è chi ritiene che si stia andando diritti verso una deriva senza ritorno, c’è invece chi considera questo il migliore dei mondi possibili e irride a quel che gli appare come un catastrofismo ingenuo da bambini dell’asilo spaventati da tutto. Il sospetto è che la battaglia non sia più tanto tra apocalittici e integrati, ma tra depressi ed euforici, per una sorta di ciclotimia diffusa nel tessuto psicosociale: chi ha bisogno di dire che tutto va male e che andava molto meglio in passato (ah, la nostalgia!); chi si ostina a ribadire che non potrebbe andare meglio, che è assurdo resistere, dobbiamo cavalcare con slancio i segnali del nuovo (soprattutto tecnologici), senza stupircene troppo.
Certo, è pressoché una battaglia contro i mulini a vento la resistenza a certe tendenze che non piacciono, ma qualche piccolo «sabotaggio» critico all’andazzo generale ogni tanto sarebbe salutare e rinfrescante. Per esempio, ieri in una vetrina Feltrinelli ho visto esposti solo libri presenti in classifica, sono entrato e sono stato travolto sempre da colonne di top ten . Che bisogno c’è di promuovere a quel modo titoli che si sono già promossi da soli? Così va il mondo? Alessandro Piperno si dice irritato dai «denigratori di best seller », risentiti (invidiosi?) e nostalgici, aggiungendo però che quando scorre le classifiche dei libri prova «una vertigine di follia e di futilità». Dunque? Irrita di più la futilità o i denigratori del suo trionfo? Senza fare crociate patetiche contro i best seller , sarebbe troppo offensivo e nostalgico e illusorio e immobilista e conservatore chiedere alla civilmente impegnatissima catena Feltrinelli di diversificare un po’ di più? Sì, lo so che nei negozi Feltrinelli c’è (quasi) di tutto, che la bibliodiversità è democraticamente rispettata, ma quel tutto è come se non ci fosse se viene schermato dalla muraglia dei successi annunciati. Secondo esempio: l’insistenza sulla tecnologia a scuola. Siamo sicuri che la presenza di strumenti digitali (anche) a scuola giovi all’apprendimento? Personalmente ho forti dubbi, tendo a diffidare, come il maestro elementare Franco Lorenzoni, il quale ritiene che le aule vadano liberate dalla colonizzazione dei new media , che già occupano (militarmente) la vita quotidiana dei bambini e dei ragazzi. Carta e matita sono nostalgia? Catastrofismo? Disfattismo?