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 2014  settembre 16 Martedì calendario

LA LUNGA ATTESA DELL’EX GIUDICE DALLE DUE VITE


È il suo destino: sorprendere tutti senza convincere né i vecchi amici, né i nuovi. Quando, nell’ottobre del 2008, con Berlusconi saldo in sella, Luciano Violante accettò l’invito a una manifestazione del Pdl, fu criticato da sinistra e da destra. Lui reagì: «Quando alla Camera parlai delle ragazze di Salò, dissero che volevo fare il presidente della Repubblica. Ora che vado alla Festa della Libertà, dicono che voglio fare il giudice costituzionale…».
Ora che vuole ufficialmente fare il giudice costituzionale, sinora senza riuscirci, viene il dubbio che l’unico a capire davvero Violante sia stato il maresciallo dei carabinieri, padre di un ragazzo con cui giocava a pallone, che venne a casa sua dopo che il giovane Luciano aveva fatto domanda per il concorso in magistratura. «Dottore, sto compilando la sua scheda. Lei è comunista, ma se lo scrivo non la prenderanno mai. Cosa metto alla voce “orientamento politico”?». Violante spiegò la sua visione della politica e del diritto. Il maresciallo annotò: «Partito d’ordine». La domanda fu prontamente accolta.
«Slalom Violante» titolò invece in quell’autunno 2008 La Stampa , il giornale della sua città. «Violante 1 a Violante 2» è invece un tormentone di Dagospia, ispirato al suo antico rapporto con le forze dell’ordine e alla distinzione tra le due fasi della sua vita. Violante 1 era il magistrato che faceva arrestare Edgardo Sogno per il «golpe bianco», il neodeputato che accusava Cossiga di aver rivelato a Donat-Cattin la militanza del figlio Marco in Prima Linea, il presidente dell’Antimafia nella stagione in cui da Palermo arrivavano avvisi di garanzia per i politici; era insomma considerato il capo-ombra del partito delle procure e l’ispiratore del processo Andreotti; «piccolo Vishinsky» lo definì appunto Cossiga. Violante 2 è l’uomo del dialogo con il centrodestra, che si dice favorevole alla commissione d’inchiesta su Tangentopoli, commemora Craxi accanto alla figlia Stefania, sostiene le larghe intese, propone di superare l’obbligatorietà dell’azione penale, apre alla responsabilità civile dei giudici (ma già nell’87 non fu ostile al referendum di Craxi-Pannella), sostiene la necessità di confrontarsi con l’opposizione sulla riforma della giustizia, vorrebbe vietare ai magistrati di parlare delle loro inchieste («anche questa cosa l’ho proposta nell’87» dice lui, che ovviamente rivendica la propria coerenza). Insomma, un perfetto profilo bipartisan. Che però non convince ancora né la sinistra — troppo dalemiano per i bersaniani, troppo «vecchio» per i renziani — né la destra; anche se l’affezionato nemico Cicchitto è arrivato a candidarlo al Quirinale.
Non che Violante sia un tipo malleabile. Nato in un campo di concentramento inglese, in Etiopia, conobbe il padre a cinque anni: «Andammo a prenderlo alla stazione di Rutigliano, era il giorno di Pasqua — ha raccontato —. Dal treno scende questo signore alto, camicia e pantaloni kaki, faccia segnata, valigia di juta… no, non lo abbracciai. Anche mia madre era molto severa. Non eravamo una famiglia da baci e abbracci». E ancora: «Ho avuto un’educazione rigorosa. Ero un bambino solo. Pochi amici. Studiavo molto, leggevo moltissimo». Presto arrivò a Gramsci, Labriola, Togliatti: «Il marxismo democratico». A Bari è assistente all’università di Aldo Moro: «Mi dicono che lei è comunista, ma io guardo le persone» fu il primo approccio. Moro lo rimproverò una sola volta: «Tradussi in forme intellegibili un suo libro straordinario ma molto complesso, Unità e pluralità di reati . Lui non ne fu felice. Mi disse: “Semplificare è sempre un po’ falsificare. La realtà non è mai così semplice”».
Il moroteismo di Violante lo distinse sempre un po’ dai colleghi della scuola torinese, la città dove ha fatto il magistrato. I punti di riferimento morali, più ancora di Bobbio, sono Alessandro Galante Garrone, che nel comitato di epurazione del Cln aveva rappresentato il Partito d’azione — memorabile il suo interrogatorio nella primavera 1945 a Vittorio Valletta, che i comunisti volevano condannare a morte —, e un ex partigiano di Giustizia e libertà, Mario Carassi, padre del primo pool antiterrorismo d’Italia. Violante indaga soprattutto a destra, anche se le Br tentano di ammazzarlo per tre volte, e pure Prima linea ci fa un pensiero. A sinistra indaga un amico, Giancarlo Caselli, con cui Violante romperà quando dichiarerà, oltretutto a Panorama : «Io non avrei mai processato Andreotti». Altri maestri vengono dal mondo cattolico: Giovanni Conso; Leopoldo Elia, che sceglie come assistente Gustavo Zagrebelsky; Marcello Gallo, con cui studiano Guido Neppi Modona, Federico Grosso, Vladimiro Zagrebelsky. L’idea che accomuna Violante ai magistrati torinesi, tra cui vanno ricordati Marcello Maddalena e Raffaele Guariniello, è che la giustizia non può essere «la bocca che pronuncia le parole della legge», ha un ruolo cruciale nell’evoluzione della società e della politica, e «un ladruncolo è meno pericoloso dei ladroni in colletto bianco». Una sintonia non solo intellettuale e politica, ma segnata pure dai gusti e dallo stile di vita, compresa la tradizionale fascinazione dell’intellighentsia torinese per la montagna: Violante, Maddalena e Vladimiro Zagrebelsky prendono casa nello stesso condominio di Cogne, dove talora vengono raggiunti da Caselli, che come Borrelli preferisce Courmayeur.
Poi tutto cambia quando il «grande vecchio delle procure», com’è considerato Violante, viene eletto presidente della Camera, mentre il suo mentore D’Alema tenta di riscrivere la Costituzione nella Bicamerale con Bossi, Fini e Berlusconi. Nel discorso di insediamento a Montecitorio Violante ha parole di comprensione per i reduci di Salò, si sofferma in particolare sulle ausiliarie che cercarono la bella morte. L’impatto è enorme: tutto l’ex Msi in piedi ad applaudire in lacrime. Fini commenta: «Discorso altissimo». Alemanno: «Storico». Malgieri: «Gravido di senso dello Stato». Alessandra Mussolini: «È il primo passo verso la fine del dopoguerra». Tremaglia: «Mille volte meglio Violante di Forza Italia». A sinistra scende il gelo. Invano lui spiega: «Non è una parificazione perché non siamo pari, non è una pacificazione perché siamo già in pace, non è revisionismo falsificante. Era, è uno sforzo di capire. Io ho perso parenti nei campi di sterminio. In casa avevo la foto di un milite della Rsi di guardia a un vagone piombato. Ho passato anni a chiedermi: quel ragazzo sapeva dove andava quel treno? E perché ha deciso di stare dalla parte delle guardie?». Niente da fare: i vecchi compagni di strada mormorarono lo stesso che Violante voleva diventare presidente della Repubblica. O, in alternativa, giudice costituzionale.