Chiara Daina,il Fatto Quotidiano 15/9/2014, 15 settembre 2014
“CON LE MIE CORDE VINCONO FEDERER DJOKOVIC E NADAL”
[Marco Rossani] –
Le saracinesce ancora abbassate e sotto una luce al neon i polpastrelli intrecciano a ritmo costante le corde fissate al telaio di una racchetta come in un ricamo con ago e filo. “Il segreto è la tensione della trama, ogni volta è un’armonia diversa, dipende dal tipo di giocatore e dalla tecnica di lancio della pallina”. Marco Rossani solleva lo sguardo. Una stretta di mano vigorosa, decisa, basta subito per accorgersi che le sue dita sono lo strumento di lavoro. Periferia sud di Milano. Pausa pranzo. Alla Bottega del tennis di via Quaranta numero 3, le pareti e il soffitto sono tappezzati di racchette, circa 700. Tutto in 50 metri quadrati. Qui ha iniziato a lavorare come garzone nel 1984, quando aveva appena 16 anni. “Ero in cerca di un lavoro dopo la scuola e sono finito qui”. Un po’ per caso, un po’ trascinato dal fascino per il tennis subìto da bambino, quando seguiva la madre, per una vita organizzatrice del torneo di Milano. “Ho incontrato Lendl, Panatta, Connors, Gerulaitis, Nastase”. Sempre da una prospettiva privilegiata, quella del backstage. La stessa di oggi: a 46 anni, è diventato un incordatore a livello professionistico, prepara le racchette dei mostri sacri, come Nadal, Robredo, Karlovic Hantuchova, Kvitova, Radwanska, e lo scorso giugno è stato convocato nel team di incordatori a Wimbledon. La prima volta per un italiano all’evento più antico e più importante nello sport del tennis. In undici giorni ha incordato 270 racchette. “Non ti fermi mai ma la soddisfazione è immensa”. Di solito prepara una racchetta in 20 minuti. “In gara è un’altra storia. In 15 minuti deve essere tutto pronto: il runner recupera la racchetta in campo, me la porta, rifaccio la rete in base alle esigenze del giocatore, infilo la racchetta in una busta, la consegno al runner che la restituisce al tennista”. Azioni fulminee, scattanti. Il rito è accelerato. “Funziona come il pit stop nella Formula uno, tempo e strategia sono fondamentali. Alla fine avevo un solco sull’indice”. Calma, sangue freddo e tanta discrezione sono gli ingredienti per sopravvivere dietro alle quinte. “Loro danno le istruzioni e tu devi eseguire”. Fa un esempio. “Serena Williams vuole a disposizione sette racchette uguali identiche, magari ne usa solo quattro, così ogni volta butta via tre incordature, da rifare il giorno dopo. E poi è proibito toccare le impugnature delle sue racchette, noi dobbiamo incelofanarle”.
Altri, soprattutto stranieri, per scaramanzia sulla rete chiedono che il logo della ditta sia messo al contrario. “L’ordine di Gasquet è fare la sua racchetta per prima al mattino. Leander Peas, il doppista indiano, invece è un tipo molto divertente, scherza sempre. Due anni fa un collega ha sbagliato a montargli le corde, ha invertito i materiali come nelle racchette di Federer. La sua reazione? Poteva prendersela, ma non lo ha fatto, ha detto che magari sarebbe diventato come lui!”. Wimbledon durante il torneo è vestita a tema. “Le sedie della stazione della metro sono verdi e viola e il manto di alcuni quartieri simula un campo da tennis”. Le regole sono ferree. “Bandita anche una birra a cena. Tutti in divisa bianca (noi tecnici con le magliette viola), se solo hai una striscia nera su t-shirt, pantalocini o calzature c’è un verniciatore apposta che provvede a rimuoverla”. Il giorno prima di partire Rossani è stato riconvocato già per il prossimo anno. “Non lo nascondo , sono orgoglioso”. Un orgoglio per tutta l’Italia. Al torneo internazionale di Roma ormai è di casa da due anni. “A maggio ho incordato 150 racchette in una settimana”. Reperibilità h24. “Durante il match, Simon, ha deciso di cambiare le corde. Noi stavamo cenando, di fronte avevamo il video della partita, a un certo punto abbiamo capito che dovevamo intervenire. L’avviso è arrivato un istante dopo sulla radiolina. Intanto anche lo sfidante Nadal ha voluto cambiare la sua. Me ne sono occupato io”. Talento, passione e successi. Eppure Rossani a tennis non sa neanche giocare. “Diciamo che qualche tiro in passato l’ho fatto, da amatore, ora non ci gioco proprio più, e comunque non è mai stato il mio sport”. Lui ha coltivato le arti marziali fin da ragazzino, per 12 anni, di cui tre a livello agonistico. Poi sette anni di aikido. Distrutte le ginocchia, si è dato al pugilato per altri sei anni. “Per fare l’incordatore non devi essere un tennista, le regole del gioco le devi conoscere bene, questo sì”.
L’Associazione europea degli incordatori, l’Ersa, lo ha nominato responsabile della formazione degli incordatori italiani. Arrivano da tutta Italia per prendere lezioni nel suo negozio. Rossani dice che il suo non è un lavoro ma un “mestiere”. Forse è addirittura un’arte. “Va insegnato con cura e tramandato” come lui ha fatto con sua moglie, Adriana Moretti, ex sciatrice a livello agonistico, scesa dalla Valtellina a Milano 24 anni fa per sposarlo. Da quel momento hanno iniziato a lavorare insieme e oggi è la prima donna al mondo a vantare il titolo di incordatrice professionista.
Chi sta fuori dai riflettori ma serve i grandi campioni di aneddoti ne ha da vendere. “Ci sono due tipi di giocatori: quelli che fanno finta di non conoscerti, a malapena ti salutano, un po’ arroganti, un po’ spocchiosi. E i signori, come Federer, educati, sempre una parola gentile. Djokovic va matto per il Subbuteo e invita tutti a giocare con lui. Io però odio il calcio, ho rifiutato”. Difficili da gestire le tenniste dell’Est. “Sono terribili, austere, non scuciono un sorriso, nemmeno una parola, se non per lamentarsi. Anastasia Rodonova è così. Io le ho fatto la racchetta, non mi ha detto niente, è già un complimento. Della stessa pasta è Maria Sharapova”. Stare dietro le quinte non è facile. È roba da professionisti, appunto.
Chiara Daina,il Fatto Quotidiano 15/9/2014