Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore 13/9/2014, 13 settembre 2014
LA FEBBRE SCOZZESE DELL’ORO NERO
Nella gestazione delle istanze indipendentiste, al centro del referendum scozzese del 18 settembre, è dato riscontrare quanto abbia contato un "fil rouge" che non s’è mai spezzato del tutto dall’epoca dell’unificazione nel 1707 con l’Inghilterra. Alla sua sopravvivenza hanno concorso infatti motivazioni politiche, religiose, culturali o economiche, che hanno a che vedere con una storia nettamente distinta per molti secoli da quella del resto dell’isola; e successivamente, nell’ambito del Regno Unito, con un’esperienza segnata da una tenace difesa sia dei propri tratti identitari sia di propri specifici interessi.
Di certo, se oggi i fautori della separazione dall’Inghilterra sono balzati alla ribalta, lo si deve principalmente al fatto che la Scozia è giunta a disporre di consistenti riserve di greggio nelle acque del mare del Nord antistanti le sue coste. E confidano quindi su questa leva per convincere i loro conterranei ad optare, senza patemi d’animo, per il distacco da Londra.
Ma non si sarebbe formato un ampio fronte a favore della causa secessionista, qualora questa prospettiva non fosse venuta maturando anche in base a un complesso di retaggi tramandatisi dal passato e di orientamenti affacciatisi man mano per reazione a determinate scelte e risoluzioni delle élites dirigenti inglesi.
Per quanto possano apparire remote certe vicende d’un tempo, esse hanno tuttavia lasciato una impronta profonda nella memoria e nell’immaginario collettivo degli scozzesi: tanto da perpetuare fra di loro un forte sentimento nazionale. Non solo quella a nord del Vallo era stata sin oltre la metà del Cinquecento una monarchia filo-francese; ma la comunità locale aveva aderito per lo più al calvinismo, e quindi alla Chiesa presbiteriana, non già a quella anglicana. Inoltre i mercanti scozzesi vennero esclusi dal fiorente commercio britannico con le Indie orientali e le colonie americane; e ciò proprio quando il filosofo scozzese David Hume dava lustro all’Illuminismo inglese e Adam Smith inaugurava la scienza economica moderna che avrebbe assecondato la Rivoluzione industriale nell’isola.
Oltretutto, malgrado le tante promesse elargite dal governo inglese per indurre il Parlamento di Edimburgo ad accettare l’unificazione politica e amministrativa, i contadini vennero espulsi subito dopo dai loro villaggi in seguito alle recinzioni delle terre che diedero il via alla formazione di grosse fattorie agricole di tipo capitalistico, mentre i pastori delle Highlands finirono per capitolare di fronte all’avanzata delle tenute nobiliari inglesi dedite all’allevamento e alla caccia. E se si diffusero in compenso nel resto della Scozia le attività industriali, ciò avvenne al prezzo di una degradante concentrazione urbana e della subordinazione di una manodopera a basso costo a logiche di sviluppo e gruppi imprenditoriali prevalentemente di stampo inglese.
Molti scozzesi, eredi dei clan che s’erano battuti per secoli gli uni contro gli altri, tornarono così al mestiere delle armi nei reggimenti dei fanti in kilt, che contribuirono ai successi militari con cui la Gran Bretagna espanse il proprio impero e tenne poi testa alla Germania nella prima guerra mondiale.
Si comprende perciò come si sia mantenuta viva negli scozzesi sia la coscienza di una propria individualità nazionale (tanto più sulla scia di un passato idealizzato dai romanzi popolari di Walter Scott e di Robert Louis Stevenson) sia una diffusa convinzione, pur in presenza di un sistema giudiziario rimasto autonomo e separato, che il passaggio sotto l’egida di Londra non si fosse risolto in un’effettiva condivisione del potere decisionale. Di fatto, dopo la crisi del 1929 che gettò sul lastrico migliaia di operai di Glasgow e di altri distretti manifatturieri locali, prese a soffiare, nei quartieri popolari, per opera di una sinistra radicale, un’impetuosa ventata di suggestioni nazionaliste.
Negli anni Sessanta, quello che era stato considerato per lo più come un movimento folcloristico e di parata (che ci teneva a coltivare le proprie tradizioni e sventolava orgogliosamente la sua antica bandiera) cominciò ad assumere connotazioni propriamente politiche e tendenzialmente indipendentiste. Per neutralizzare l’emergere di un populismo patriottico, Londra provvide, durante i governi laburisti, a riconoscere alla Scozia un certo grado di autonomia in campo economico e sociale nell’ambito della politica di pianificazione territoriale. Ma queste e altre misure di devolution non bloccarono la progressiva diffusione di vampate anti-unioniste: anche perché, nel successivo periodo thatcheriano, chiusero i battenti gran parte dei cantieri e delle miniere locali. Il petrolio del mare del Nord è così divenuto, per gli indipendentisti, una risorsa tale da valere assai più dei vantaggi della sterlina e dei residui benefici del Welfare condivisi con le altre componenti (inglese, gallese e nord-irlandese) del Regno Unito.
Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore 13/9/2014