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 2014  settembre 13 Sabato calendario

REAZIONE A CATENA

Una reazione a catena incontrollabile e dagli effetti incalcolabili. Ecco che cosa rischia di innescare una vittoria del sì al referendum sull’indipendenza della Scozia di giovedì 18 settembre. Gli ultimi sondaggi sono too close to call, ovvero la distanza tra i due schieramenti è così esigua che un minimo errore statistico può rovesciarne l’esito. Sarà interessante vedere che cosa si inventeranno i due schieramenti per far pendere dalla propria parte gli incerti. Londra pullula di spin doctor e questa è una grande occasione per dimostrare le loro capacità. Nel frattempo qualcuno ha addirittura cercato di tirare per la giacca la Regina Elisabetta II, chiedendole di intervenire pubblicamente sull’argomento. Buckingham Palace ha risposto che la regina «è al di sopra della politica» e «non influenzerà» il referendum. Intanto le borse si sono messe in posizione di attesa. Troppo azzardato scommettere sul risultato finale. Soprattutto perché una vittoria del sì rischia davvero di provocare sconquassi sui mercati globali. In un report Barclays Capital ha avvertito che «se un’unione lunga 307 anni si può dissolvere, l’Unione Monetaria Europea può essere considerata sicura?». In fondo l’euro è in circolazione da soli 12 anni. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un modo di fare pressione contro gli indipendentisti da parte di una banca londinese. Peccato che anche Credit Suisse, che ha sede in un Paese che sta fuori dall’Ue, la pensi allo stesso modo: «Se la Scozia mostrerà agli Stati indipendenti il modo di spezzare le unioni monetarie, allora dovremo rivalutare la possibilità che le nazioni dell’area euro possano avere crescenti incentivi per fare lo stesso; possibilità che era ridotta quasi a zero dal 26 luglio 2012», giorno in cui il presidente della Bce Mario Draghi fece proprio a Londra il discorso in cui recitò il celebre mantra sul «faremo di tutto per preservare l’euro». C’è il rischio, insomma, che le magie di Draghi vengano dissolte dallo scontro con la brutale umanità di un pub scozzese. D’altronde si è già visto che l’11 settembre quasi 2 milioni di persone hanno sfilato lungo le vie di Barcellona per chiedere l’indipendenza della Catalogna. Il contagio è già iniziato e il 9 novembre anche lì si terrà un referendum, già giudicato incostituzionale dalla Consulta spagnola. È interessante sentire come la pensa un uomo che dalle turbolenze sui mercati finanziari ha guadagnato moltissimo: George Soros. Ebbene il finanziere statunitense di origini ungheresi ha ammonito che «il divorzio è sempre un caos», sottolineando che «una Scozia indipendente sarebbe finanziariamente instabile» e ridurrebbe ai minimi termini «l’influenza della Scozia a Londra e quella della Gran Bretagna nel mondo».
La City è dunque contraria all’indipendenza e lo fa pesare in tutti i modi. Royal Bank of Scotland (Rbs), che dalla sua fondazione nel 1727 è basata a Edimburgo, ha annunciato che in caso di vittoria dei sì sposterà la sede legale in Inghilterra, sottolineando che il referendum solleva «una serie di rilevanti incertezze» che «potrebbero penalizzare il rating creditizio della banca e il panorama fiscale, monetario, legale e regolamentare a cui siamo soggetti». Bisogna ricordare, però, che la posizione di Rbs è d’obbligo, visto che, a seguito della crisi finanziaria del 2008, è controllata all’80% dal governo del Regno Unito. Governo che detiene il 25% di Lloyds Banking che, in caso di vittoria del sì, sposterà la sede legale da Edimburgo a Londra. Un voto a favore del sì equivale quindi a un no alla City. Se poi la Scozia seguisse i consigli di Martin Sorrell ne diventerebbe addirittura una concorrente: «Dal punto di vista del marketing, del commercio e degli investimenti credo che dovrebbe fare come Singapore», ha detto il ceo di Wpp, il più grande gruppo mondiale della pubblicità. Non a caso fra i punti di forza della campagna a favore del sì spicca il taglio delle tasse alle imprese con l’obiettivo di competere con l’Irlanda nell’attirare gli investimenti esteri. Mentre Tim Martin, fondatore della catena di pub J.D. Wetherspoons, sta già facendo opera di lobbying affinché il futuro governo della Scozia indipendente riduca l’Iva per i pub.
Ma che cosa si possono aspettare i mercati nel breve termine? Dipenderà anche dalle dimensioni della vittoria dell’una o dell’altra parte. Prima di tutto bisogna sottolineare che una vittoria del sì non porterà all’indipendenza immediata, che verrà proclamata solo il 24 marzo 2016. Nel corso dei 18 mesi che mancano a quella data verranno negoziati con Londra aspetti fondamentali del nuovo Stato, dalla moneta (la Banca d’Inghilterra ha già escluso che la Scozia possa utilizzare la sterlina e poiché Bruxelles ha già messo in chiaro che la Scozia non verrà ammessa nell’Ue e quindi tanto meno nell’euro, visto che la Spagna voterebbe contro per i timori di contagio in Catalogna, Edimburgo sarà probabilmente costretta a inventarsi una nuova valuta) alla quota di debito pubblico del Regno Unito che dovrà accollarsi la Scozia. Secondo Credit Suisse se il sì vincerà con il 60%, la Scozia avrà la forza di imporre all’Inghilterra un’unione monetaria, continuando così a usare la sterlina. Se il 60% andrà invece al no, tutto resterà come prima e nel prevedibile futuro non ci saranno nuove richieste di referendum sull’indipendenza. Se invece il risultato finale sarà di 51-49 a favore del no, allora il clima d’incertezza rischia di peggiorare perché molto probabilmente gli indipendentisti chiederanno nel giro di breve tempo un nuovo referendum. Solo gli scommettitori incalliti, quindi, prenderanno posizione prima di giovedì 18. La borsa di Londra finora è stata calma, ma in caso di vittoria del sì andrà giù. E secondo Alessandro Fugnoli di Kairos questo potrebbe essere un buon pretesto per la tradizionale correzione d’autunno. Tutte le banche centrali saranno impegnate a frenare il più possibile la volatilità, prima sui cambi, poi su tassi e borse. Non potranno, però, fare miracoli». In particolare, «la Spagna sarà attaccata dai mercati» per il timore di contagio scozzese alla Catalogna. Comincerà così un lungo periodo di volatilità. Se vinceranno i no, invece, secondo Fugnoli «il rally di sollievo sarà breve e modesto (tranne a Londra)». La sterlina riprenderà terreno e la Banca d’Inghilterra potrà alzare i tassi d’interesse in primavera. Altrimenti il costo del denaro rimarrà allo 0,5% ancora per molto tempo e la sterlina resterà debole. Ma la realtà è che si possono prevedere con una certa precisione solo le reazione a un’ampia vittoria del no. Negli altri due casi, soprattutto con la vittoria del sì, le variabili in gioco sono troppe, si entrerebbe in una terra incognita. Che potrebbe addirittura trasformare la City in una città-Stato.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 13/9/2014