Umberto Mancini, Il Messaggero 14/9/2014, 14 settembre 2014
SANZIONI UE-MOSCA, GUAI PER ENI E FINMECCANICA LA MODA PER ORA SI SALVA
IL CASO
ROMA Moda italiana salva. Almeno per ora. A pagare dazio, con l’ultima ondata di sanzioni volute da Bruxelles, saranno invece Eni, Snam e Finmeccanica, tanto per citare i colossi nazionali. Nella guerra commerciale tra Europa e Russia a rischiare di più sono proprio le aziende made in Italy, quelle più avanzate tecnologicamente, finite nella trappola dell’embargo. L’ultimo pacchetto di norme volute dalla Ue - dopo l’escalation del conflitto in Ucraina - impedisce alle imprese europee non solo di esportare armamenti e sistemi di difesa - opzione scontata in casi del genere - ma blocca l’uscita dal territorio della Ue di tutte le «tecnologie sensibili e avanzate» per l’estrazione, l’esplorazione e la produzione nel campo petrolifero. Colpendo da un lato al cuore Mosca, ma dall’altro congelando, in prospettiva, le ricche commesse delle società tricolori specializzate in impiantistica ed infrastrutture dell’oil and gas. C’è da dire che lo stop è scattato solo da ieri e che per gli affari conclusi prima del 12 settembre non dovrebbero esserci problemi. Semmai bisognerà capire - spiega una fonte del ministero degli Esteri - quanto la misura adottata farà infuriare i russi, che sull’export di petrolio e gas fondano buona parte della propria ricchezza.
L’operazione a tenaglia non finisce qui. Da ieri Bruxelles ha chiuso i rubinetti dei finanziamenti alle banche di Mosca, impedendo in maniera tassativa l’accesso al mercato dei capitali europeo. Off limits per le grandi aziende petrolifere russe la possibilità di piazzare bond o di rifinanziarsi in maniera alternativa.
Un cappio che ha come obiettivo esplicito quello di convincere Putin ad allentare la presa e a tornare al tavolo del negoziato.
DANNI COLLATERALI
Difficile immaginare i danni collaterali per Eni, Snam, Trevi e Finmeccanica, tanto per citare le principali aziende coinvolte nelle sanzioni, perché tutto dipenderà dalla risposta del Cremlino. Potenzialmente però lo stop alla filiera degli armamenti e a quella oil and gas potrebbe essere devastante. In gioco ci sono decine di milioni di euro e rapporti consolidati da anni. Fino ad oggi infatti a sopportare il peso maggiore delle sanzioni russe è stato il comparto ortofrutticolo che con l’embargo perde qualcosa come 400 milioni. Mele, pesche e kiwi italiani sono rimasti fermi alla dogana. «Presto - dice Marco Salvi, presidente degli esportatori riuniti in Fruttimprese, ci saranno forti ripercussioni sull’occupazione». Preoccupato anche il presidente della De Cecco, Filippo Antonio De Cecco: «le esportazioni verso la Russia sono diminuite del 30% perché, anche se la pasta non è tra i prodotti vietati, tutti i ristoranti italiani che importavano prodotti italiani sono in forte difficoltà». L’embargo di Putin ha invece escluso - almeno ad oggi - il settore automotive, i macchinari e mobili, che da soli valgono oltre 4 miliardi per l’Italia. Soprattutto non ha colpito il settore moda-tessile e abbigliamento che fattura 2,3 miliardi. Vietate - ma si tratta di cifre irrisorie - solo le forniture delle aziende private alle amministrazioni pubbliche del governo russo. Dice Gianfranco Di Natale, direttore generale di Sistema Moda Italia: «Le produzioni italiane di alta gamma sono molto apprezzate e ricercate a Mosca. Difficile quindi prevedere possibili ritorsioni». Anche perché - ma questo Di Natale ben si guarda dall’affermarlo - in caso di blocco le ripercussioni in Russia e non solo qui da noi sarebbero davvero pesanti, con la chiusura delle catene di distribuzione e delle società d’importazione più prestigiose. Senza i brand italiani di abiti e scarpe per i grandi magazzini Gumm, proprio vicino alla Piazza Rossa, non ci sarebbe un futuro. Probabile quindi che Putin prenda tempo. A meno che non si decida di puntare tutto sui prodotti indiani e cinesi, non proprio i preferiti tra la ricca e raffinata borghesia moscovita.