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 2014  settembre 15 Lunedì calendario

IL PRIMO CAMPIELLO CHE VIENE DAL WEB

Non è il più giovane vincitore del Campiello, nonostante i suoi 33 anni. Il record spetta a Alberto Bevilacqua, che ebbe il premio nel 1966, con Questa specie di amore, a 32. In compenso, Giorgio Fontana è certamente il primo scrittore che viene dal web e conquista pubblico e critica.
Non perché abbia fatto il suo apprendistato in Rete prima di approdare dall’editore Sellerio, ma per il suo lavoro. Si occupa infatti professionalmente dei contenuti testuali per i siti Internet relativi ai prodotti di una software house specializzata in programmi di posta elettronica destinati a professionisti del marketing. Sta anzi per trarne una utile materia di insegnamento.
Alla scuola Holden, terrà un corso a partire dal mese prossimo. «Insegnerò esattamente quello che faccio per lavoro - spiega -: le tecniche, il linguaggio. È anche un modo per aiutare qualcuno, magari, a trovare un’occupazione».
Per molte ore al giorno scrive in una lingua sideralmente lontana dalla letteratura. Per alcune, guarda i suoi maestri, che vanno da Franz Kafka («Un artista immenso e anche un grande esempio di integrità») alla narrativa americana - magari Don DeLillo -, alla Mitteleuropa di un Joseph Roth, all’Italia di «certe cose di Arpino, Buzzati, Testori».
Conclusione, al Campiello non sono arrivati i barbari del nuovo mondo selvaggio, molto semplicemente è salito sul palcoscenico uno scrittore.
Uno scrittore venuto dal web?
«No, uno scrittore punto e basta. Mi sento formato dalla letteratura, da quella su carta, dai libri - che posso naturalmente leggere in ebook, non cambia molto - pubblicati da editori che svolgono il loro compito».
E cioè dalla tradizione?
«Dalla letteratura. In realtà non leggo narrativa prodotta direttamente sul web, che è uno strumento eccezionale ma solo e soprattutto per quanto riguarda la ricerca».
Leggendo i suoi due romanzi, «Per legge superiore» e questo «Morte di un uomo felice» con cui ha vinto il Campiello, si capisce che lo spontaneismo della Rete, quella sorta di grande genere dominato dalla fantasy, non fa parte del suo laboratorio di scrittura. Due mondi inconciliabili e distanti.
«Con una piccola interferenza; il mio blog, la vetrina della mia attività in quanto scrittore».
Che cos’è per lei uno scrittore?
«Uno che ama le storie e prova a raccontarle con la miglior lingua possibile. La Rete, se devo essere sincero, mi distrae. Non è un problema, basta spegnere».
Si sente diverso dai suoi colleghi più anziani?
«Non tendo a fare confronti di questo tipo. Oggi non vedo il mio lavoro in una prospettiva generazionale. O forse è solo troppo presto per parlarne. È ovvio che c’è uno scambio con i miei coetanei. Però tendo a starmene per conto mio, davanti alla pagina. Certe scritture delle generazioni immediatamente precedenti mi interessano meno, questo sì. Per esempio quelle eccessivamente ironiche».
Qual è il suo obbiettivo?
«Un buon uso del realismo. Cercare di raccontare storie non legate ai generi».
È questa idea di realismo che l’ha condotta agli anni di piombo, terreno poco battuto dalla narrativa?
«In realtà mi ci ha portato un personaggio, che in “Per legge superiore” aveva un ruolo secondario. Un magistrato milanese ucciso dai terroristi nel 1981, quando nascevo io. L’ho voluto sviluppare nel nuovo romanzo, e allora ho dovuto studiare e immergermi in quel periodo così complesso».
Ora non è tentato, dopo il successo, di fare lo scrittore e basta?
«Sa, in questi casi uno pensa subito: che bello sarebbe, tutta la giornata a disposizione per scrivere. Però non è nel mio carattere fare colpi di testa».
Preferisce fare bene i conti?
«Non solo. Avere un lavoro fisso è probabilmente un modo per essere liberi. Non sei costretto a pubblicare un libro dopo l’altro. Puoi scrivere quel che vuoi, quando vuoi, senza pensare che il prossimo romanzo dovrà servire a pagare le bollette».
Questa l’ho già sentita da uno scrittore più anziano.
«Vede? Non è mai un problema d’età».