Dietta Parlangeli, il Fatto Quotidiano 15/9/2014, 15 settembre 2014
DEMIS, IL SUPER GENIO CHE GIOCA CON IL MONDO
Per farlo arrivare al tavolo di gioco erano necessarie due sedie impilate e un elenco telefonico su cui farlo sedere: aveva solo sei anni, ma già era già un promettente campione di scacchi (Chess Master a 13 anni). A 37, Demis Hassabis è arrivato a tavoli ben più alti, metaforicamente parlando: ha venduto DeepMind, la sua azienda, per 400milioni a Google. Per l’esattezza è stata Google a cercare lui (“una mail saltata fuori all’improvviso con la richiesta di un incontro”, racconta).
A qualche mese dall’acquisizione, c’è solo da sperare che il giovane uomo non s’ispiri a una delle sue stesse creature, sviluppata all’interno degli Elixir Studios, cioè il video game “Evil Genius – The world Domination Simulation”, procedendo alla conquista del mondo dalla cabina di regia di un qualche “genio del male” che manipola gli abitanti del suddetto mondo come burattini inermi.
Scherzi a parte, Hassabis una cabina di regia ce l’ha sul serio, e non è neanche di rilevanza trascurabile. È la specializzazione della sua azienda in Intelligenza Artificiale infatti, che ha fatto gola al gigante Google.
Dopo una carriera nei video giochi Hassabis è tornato ad occuparsi di Intelligenza Artificiale, pubblicando vari studi sul tema della memoria e dell’amnesia durante il dottorato di ricerca in neuroscienze cognitive all’University College di Londra. Il suo lavoro è finito tra le prime dieci scoperte scientifiche del 2007 (anche se in parte contestato dalla comunità scientifica) della rivista Science. Dopo aver conseguito il dottorato nel 2009, ha proseguito le sue ricerche come assegnista. Nel 2011 ha abbandonato il mondo accademico: è allora che ha fondato, insieme a Shane Legg e Mustafa Suleyman, la DeepMind Technologies.
Per poi venderla, all’inizio dell’anno, a Google. Ma oltre ad avere una mente geniale, che tipo è questo Hassabis? “Non certo uno showman. Tiene la testa bassa – ha spiegato il professore Geraint Rees, direttore dell’istituto di Neuroscienze Cognitive dell’University College of London, al Telegraph – Nerd non è la parola giusta, ma la sua determinazione è alquanto impressionante”.
Il ritratto che lui stesso fornisce di sé in un’intervista al London Evening Standard è quello di una persona pragmatica, molto poco ‘scienziato pazzo’, e molto più ‘studioso della tecnologia al servizio dell’uomo’. “Tendo a essere quel genere di persona che aspetta di vedere quanto utile possa essere una tecnologia, prima di adottarla” sentenzia. Quello che cerca di spiegare in parole comprensibili, è che il lavoro che da tre anni conduceva DeepMind era quello di generare algoritmi di apprendimento che imparassero automaticamente a fare le cose partendo da dati grezzi, e non, viceversa, essendo programmati per fare le cose”. E quale miglior luogo nel quale lavorare con i dati, se non Google?
Il punto non è capire come funziona il cervello e copiarlo, ma capire se il meccanismo neuronale possa essere tradotto in algoritmi. Non certo solo uno, perché la faccenda è un po’ più complessa, e il “sistema più disordinato”, spiega Hassabis.
Nonostante agli albori dell’acquisizione quello che si delineava per lui e la sua società in Google fosse abbastanza fumoso, le sue intenzioni erano da genio sì, ma del bene: “Come gruppo di lavoro, vorremmo fare ulteriori progressi in vari settori per cercare di capire meglio il clima, la macroeconomia, e malattie come cancro e Alzheimer, cioè tutto quello che è difficile da padroneggiare per la mente umana. Credo che si stia andando nella direzione in cui scienziati ed economisti avranno bisogno dell’aiuto artificiale per comprendere questi complessi fenomeni”. Tra vent’anni, quindi, si vorrebbe immaginare come qualcuno che ha prodotto strumenti utili capaci di incidere nella vita di tutti i giorni”.
Quasi tutti i big di tecnologia e rete hanno investito nell’esplorazione dei confini dell’Intelligenza Artificiale. Che sono tanti, e con svariate applicazioni. Notizia di quasi un anno fa quella secondo cui Zuckerberg ha messo al lavoro una squadra di otto persone (denominata “AI team”) dedicata al Deep Learning, che ha lo scopo di procedere nella costruzione delle connessioni e nel processo dei dati nello stesso modo in cui si muovano le reti neuronali. In questo caso, l’obiettivo è quello di comprendere l’area semantica di ciò che scriviamo, o condividiamo. Ad oggi non è ancora affinato il meccanismo per cui, se si parla di un prodotto online, il sistema non è sempre in grado di capire se si tratti di una critica, o di un elogio (il che apre delle falle nel sistema pubblicitari proposti all’utente).
Era il 2012 quando Andrew Bosworth, allora vice presidente dell’advertising dell’azienda – che Facebook nel futuro sarebbe stato in grado di registrare, attraverso il microfono dello smartphone, la musica ascoltata dall’utente. Per fare cosa? Chiaramente per poter sottoporre allo stesso utente, inviare consigli su concerti, contenuti, link.