Marco Sabella, CorriereEconomia 15/9/2014, 15 settembre 2014
BORSA DI LONDRA QUANTO PESA L’OMBRA DI BRAVEHEART «PERCHÉ IL VOTO CAMBIERÀ PER SEMPRE IL LEGAME CON LA CITY»
Quali conseguenze potrebbe avere una vittoria di «Braveheart», l’eroe dell’indipendenza scozzese, sul cambio della sterlina, sui titoli del Tesoro britannico, i Gilt, e sulle quotazioni delle società di Edimburgo scambiate alla borsa di Londra? A pochi giorni dal referendum che giovedì 18 sancirà il sì o il no all’indipendenza della Scozia dal resto del Regno Unito voluto dal primo ministro scozzese Alex Salmond, economisti e analisti finanziari cercano di interpretare le possibili reazioni del mercato nel caso di una vittoria del sì o di una affermazione di stretta misura del no.
Sterlina più debole e volatile rispetto al dollaro e all’euro, oscillazioni accentuate ma di breve periodo dei titoli di Stato britannici e debolezza generalizzata delle banche scozzesi e più in generale dei titoli finanziari legati alla piazza di Edimburgo, sarebbero le reazioni più probabili e immediate nel caso di vittoria del sì.
Ma c’è anche chi rileva, ad esempio gli analisti del Credit Suisse, che un piccolo gruppo di aziende estere cha hanno impianti in Scozia, in particolare i gruppi delle bevande alcoliche Diageo e Pernod Ricard, che realizzano circa il 30% dei loro prodotti in quest’area, potrebbero nel lungo periodo trarre vantaggio da una vittoria dei sì, soprattutto se questo significasse una nuova divisa scozzese indipendente, più debole e svalutata rispetto alla sterlina britannica.
Incertezza
«Anche se alcuni recentissimi sondaggi hanno ammesso la possibilità di una vittoria del sì, riteniamo che le probabilità di una secessione del Paese non superino il 25%», afferma uno studio proprio del Credit Suisse. «Tuttavia il rischio, soprattutto per la Scozia, ma anche per la Gran Bretagna è quello di una “sindrome del Québec”, analoga a quella che seguì nel 1995 la vittoria di strettissima misura, con un margine inferiore all’1%, del no alla secessione della regione francofona del Canada dal resto del Paese», nota l’economista di Ubs Paul Donovan.
Una vittoria del no di stretta misura potrebbe infatti indurre gli investitori a temere nuovi referendum futuri. E l’incertezza, come è noto, è il peggior nemico dei mercati. Questa eventualità, inoltre, scoraggerebbe gli investimenti diretti in Scozia, provocando un rallentamento della crescita economica, un indebolimento delle imprese e una fuga dei capitali, in questo caso verso la Gran Bretagna.
Al contrario una vittoria del no alla secessione avrebbe, secondo tutti gli osservatori, effetti positivi anche per l’Europa, in vista del referendum per il distacco della Gran Bretagna dal resto dell’Unione previsto nel 2017, un appuntamento che diventerebbe meno dirompente (gli scozzesi sono più europeisti del resto dei britannici).
Come si vede la situazione è molto complessa, carica di incognite politiche ed economiche che vanno molto oltre il livello locale.
Effetti immediati
Ma rimaniamo sul presente. In caso di vittoria del sì, secondo il Credi Suisse la sterlina si indebolirebbe nella parità contro dollaro verso quota 1,50 - 1,55, contro l’1,60 attuale. Inoltre l’atteso aumento dei tassi di interesse (l’economia della Gran Bretagna, a differenza di quella dell’eurozona sta crescendo a ritmi del 3% annuo) verrebbe probabilmente rinviato. «Tuttavia a questo punto i titoli del debito pubblico britannico dovrebbero incorporare un premio per il rischio superiore a quello attuale, visto che la Scozia potrebbe ripudiare la quota parte del debito pubblico britannico, che in questo caso aumenterebbe dal 75% attuale a circa l’80%. Ci sarebbe quindi, almeno nel breve periodo un aumento della volatilità dei titoli del Tesoro, i Gilt», afferma Paul Donovan di Ubs.
I rischi maggiori, tuttavia toccherebbero al mercato azionario e in particolare ad alcune imprese scozzesi quotate a Londra. «Secondo uno studio condotto dalla London Business School le società basate in Scozia hanno registrato dal 1995 a oggi performance di borsa di oltre un punto percentuale inferiori rispetto al resto del listino. In caso di vittoria del sì al referendum questo divario potrebbe accentuarsi», scrive in una nota di commento John Philpot, responsabile delle gestioni ad alto rendimento dell’americana State Street Global Advisors.
Preoccupa in particolare il sistema bancario, visto che le banche scozzesi hanno passività pari a 12 volte il Pil della Scozia e in caso di indipendenza del Paese verrebbe meno la garanzia di ultima istanza in caso di crisi del sistema offerta dalla Banca d’Inghilterra.
Risulterebbero invece sostanzialmente immuni agli esiti del referendum i gruppi legati ai servizi petroliferi (non dimentichiamo i giacimenti di petrolio del Mare del Nord) o ingegneristici come Weir group e Wood group (outperform secondo il Credit Suisse.
Infine, secondo Ubs, la utility Sse rimarrebbe ancora attraente e sicura sul lungo periodo, al punto di meritare un «buy» anche nel caso di un esito favorevole al distacco.