Niall Ferguson, Corriere della Sera 15/9/2014, 15 settembre 2014
MA PER NOI SCOZZESI ALL’ESTERO L’INDIPENDENZA È SOLO UN SUICIDIO
Sono le parole di «Lettera dall’America», scritta nel 1986 dai Proclaimers, quando la Scozia si qualificava per i Mondiali di calcio. L’allenatore era un giovanotto di nome Alex Ferguson. Ma si finiva sempre eliminati al primo turno dalla Germania dell’Ovest o dalla Danimarca. Questo giovedì, gli abitanti della mia terra natale esprimeranno il loro voto se diventare o no come la Danimarca. O forse la Slovacchia. O l’Irlanda. Se i risultati confermeranno il «sì» all’indipendenza, e se l’Unione Europea accoglierà la Scozia, il nuovo Paese diventerà il 13° Stato membro con meno di sei milioni di abitanti. Se decidesse di unirsi agli Stati Uniti, la Scozia sarebbe il 22° Stato per abitanti, appena sopra al Colorado. È certamente possibile vivere come piccola nazione in seno all’Europa, e oggi questo è molto più sicuro che in passato. Non dimentichiamo che tutti i 12 Stati membri dell’Unione Europea con meno di 6 milioni di abitanti, tranne due, furono invasi dai nazisti o dai sovietici nella Seconda guerra mondiale. Ma la decisione di fare il passo verso l’indipendenza deve essere affidata ai 4 milioni di residenti in Scozia con più di 16 anni? La canzone dei Proclaimers parlava appunto delle decine di migliaia di scozzesi che nel corso dei secoli hanno cercato una nuova vita oltreoceano.[...]
Nel solo Nuovo Mondo, coloro che si dichiarano scozzesi fuori dalla Scozia ammontano a 18 milioni di individui, 6 milioni negli Usa (senza contare altrettanti scozzesi-irlandesi, ovvero i discendenti degli abitanti dell’Ulster), 5 milioni in Canada e quasi 2 milioni in Australia. Ci sono scozzesi ovunque, da Dunedin fino in Nova Scotia, dalla Patagonia a Hong Kong (fondata appunto dagli scozzesi). Ci sono più individui di nome Ferguson a Kingston, Giamaica, che a Dundee e Aberdeen messe insieme. Per la maggior parte di noi, figli di emigranti scozzesi, l’idea di una Scozia indipendente appare piuttosto come un potenziale suicidio economico. Sulla questione della moneta (la sterlina? l’euro? il groat?), sulle entrate della produzione petrolifera, sul debito, sugli impegni di spesa pubblica, le posizioni del Partito nazionale scozzese non sembrano affatto realistiche. Se la Scozia voterà «sì», i suoi cittadini dovranno affrontare uno shock economico di tale gravità che la metà degli scozzesi non sembra ancora aver bene afferrato.
E a quale scopo, per l’esattezza? Le giustificazioni avanzate dalla campagna del «sì» sorprendono la maggior parte degli scozzesi residenti all’estero per la loro assurdità. Diventare «un faro di opinioni progressiste», nelle parole di Alex Salmond, bloccando le politiche imposte dal governo conservatore di Londra? Ma Tony Blair avrebbe vinto le elezioni del 1997, 2001 e 2005 per il partito laburista anche se l’intera Scozia si fosse astenuta. E le probabilità di una vittoria laburista nel 2015, con l’appoggio di tutto il Regno Unito, sono notevoli. [...] In quanto alla tesi che la Scozia sia uno Stato scandinavo onorario, con una maggior predisposizione alla giustizia sociale rispetto all’Inghilterra, si tratta di semplici sciocchezze. [...]
L’idea di una Scozia nazione-Stato è assai poco scozzese. I più grandi pensatori dell’Illuminismo scozzese furono non nazionalisti, bensì cosmopoliti. Il filosofo e storico David Hume scherniva quello che definiva i «volgari motivi delle antipatie nazionali». «Sono cittadino del mondo», scriveva nel 1764. [...] Il miglior testimone resta tuttavia Adam Smith, fondatore dell’economia moderna. Smith capiva perfettamente che la Scozia indipendente sarebbe stata molto diversa dal paradiso del lavoratore. «Grazie all’unione con l’Inghilterra», scriveva, «le fasce medie e basse della popolazione scozzese sono riuscite a sottrarsi al potere di un’aristocrazia che le aveva fino ad allora sempre oppresse». [...] Gli elettori che si recheranno alle urne questa settimana farebbero bene ad ascoltare il monito lungimirante di Smith sui politici che promettono «piani di riforme» destinate soprattutto «a loro vantaggio». Gli elettori dovranno inoltre ricordare che, per noi scozzesi d’oltreoceano, la visione di Smith di un mondo interconnesso sulla base di mercati liberi e libero scambio è assai più accattivante del nazionalismo parrocchiale di una «Scandland».[...]
Quest’anno commemoriamo l’eroismo della generazione dei nostri nonni. Le reclute scozzesi non erano molto numerose nei ranghi dell’esercito britannico prima del 1914, eppure furono loro i primi a presentarsi volontari allo scoppio della Grande guerra. Entro il dicembre del 1915, poco meno del 27 per cento degli uomini scozzesi tra i 15 e i 49 anni si erano arruolati come volontari, ben al di sopra della media del Regno Unito. In alcune comunità delle isole Ebridi, si sfiorò il cento percento. Non appena fu in grado di farlo, mio nonno John Ferguson si arruolò per combattere con i Seaforth Highlanders. Fu tra gli oltre mezzo milioni di scozzesi che combatterono nell’esercito britannico durante la Prima guerra mondiale. Di questi, forse un quarto non fece più ritorno. [...] Anche nella Seconda guerra mondiale gli scozzesi si distinsero per il coraggio e l’audacia. Nel grande disastro del 1940, alcuni soldati scozzesi rifiutarono di arrendersi persino quando venne loro ordinato di deporre le armi. Testimonianze come questa mi fanno quasi credere alla storia apocrifa dei due scozzesi che osservano l’evacuazione della spiaggia di Dunkirk: uno dice al compagno, «Caspita, se gli inglesi si arrendono, la guerra sarà lunga».
Ma il fatto rilevante è che l’orgoglio di mio nonno nell’essere scozzese era inseparabile dall’orgoglio di essere britannico. Si capiva il complesso di inferiorità degli inglesi, dopo tutto erano gli scozzesi ad aver invaso l’Inghilterra nel 1603. E sapevamo di essere più tenaci e in gamba degli inglesi. E grandi lavoratori. Il nostro problema, anzi, era il complesso di superiorità. Forse tutto questo, al giorno d’oggi, non fa più presa sugli scozzesi. Forse si tratta di Quei giorni sono passati/e nel passato rimarranno , nelle melancoliche parole del nostro inno nazionale non ufficiale, scritto dai Corries durante la prima vera rinascita del nazionalismo scozzese, nel 1967, quando le squadre scozzesi riuscivano ancora a vincere le coppe europee.
Eppure, non riesco a credere che gli elettori decisi per il «sì» abbiano potuto guardare con indifferenza le riprese storiche del 51° reggimento che sfilava a Saint-Valéry-en-Caux nel 1944 con tamburi e cornamuse che riempivano di note le strade della stessa cittadina che aveva visto la loro resa quattro anni prima. Dopo il D-Day, il reggimento fece ritorno in veste di liberatore. L’orgoglio per vittorie come queste racchiude l’essenza di ciò che significa essere al contempo scozzese e britannico: essere, cioè, il più britannico dei britannici. È motivo di orgoglio pensare di aver opposto resistenza al terrore del nazionalsocialismo e del fascismo, e in seguito nella lotta contro il comunismo sovietico. Si dica quel che si vuole del Regno Unito — e anche dell’Impero e del Commonwealth — ma nella nostra ora migliore non abbiamo avuto uguali. [...]
Quando la Germania invase il Belgio e la Francia nel 1914 e di nuovo nel 1940, era anche la nostra battaglia. Quando l’Unione Sovietica minacciava il continente europeo e addirittura il mondo intero con le sue mire espansionistiche dopo il 1945, era anche la nostra battaglia. Quando i terroristi dell’Ira seminavano morte e distruzione in Irlanda del Nord e in Gran Bretagna, era anche la nostra battaglia. E quando i talebani aiutarono Osama bin Laden a progettare gli attentati terroristici di 13 anni fa, era anche la nostra battaglia. Ma un domani l’Occidente potrà contare su Alex Salmond, che si dichiara a favore del disarmo unilaterale e prevede un esercito scozzese di 15 mila uomini? Lo dubito. Dopo tutto, a marzo ebbe a dire di Putin che il presidente russo «è più in gamba di quanto sembra… ha saputo rafforzare l’orgoglio russo, e questo è certamente una cosa buona».
Mentre scrivo sono in volo da Edimburgo a Kiev, verso un Paese che sta scoprendo a sue spese quanto sia pericoloso il mondo per un nuovo Stato indipendente, e l’Ucraina ha una popolazione che è otto volte quella della Scozia. I nazionalisti scozzesi si immaginano eredi di William Wallace. Ma la visione di Alex Salmond per il futuro della Scozia somiglia più a «Scemo e più scemo» che a «Braveheart». Nel coro malinconico dei Proclaimers, la Lettera dall’America finiva con Niente più Bathgate, niente più Linwood, niente più Methil, niente più Irvine… Se siete tra gli elettori scozzesi pronti a votare per il «sì» questa settimana, la canzone dei Proclaimers potrebbe finire con queste meste parole: «Niente più sterlina, niente più Regno Unito, niente più Gran Bretagna, niente più Scozia ».
(Traduzione di Rita Baldassarre )