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 2014  settembre 14 Domenica calendario

Vi sono delle interessanti somiglianze fra lo stile politico e le vicende di governo a New Delhi e Roma

Vi sono delle interessanti somiglianze fra lo stile politico e le vicende di governo a New Delhi e Roma. Narendra Modi ha preso il controllo di un partito in crisi di identità, «rottamando» una intera generazione. Ha lanciato una campagna elettorale imperniata sull’effetto di annuncio, vincendola alla grande. Ha inaugurato uno stile di governo verticistico, ridimensionando il potere dei ministri. Ha dichiarato guerra alle inefficienze della burocrazia e lanciato una crociata contro la corruzione. Ha proposto un ambizioso programma di liberalizzazioni, promettendo i primi risultati dopo cento giorni. Ha annunciato una riforma epocale della scuola, investimenti di ampio respiro per la modernizzazione di trasporti, infrastrutture e comunicazioni. Ha promosso una riforma del sistema bancario per portare «ogni famiglia ad avere un proprio conto corrente». I cento giorni sono passati e l’asticella temporale è stata spostata più avanti. La fronda interna al partito del BJP non è scomparsa. La politica degli annunci dà segni di stanchezza. Privatizzazioni e liberalizzazioni procedono più lentamente del previsto. La rivoluzione annunciata nell’azione di governo si scontra con resistenze tanto al centro, come nelle burocrazie degli Stati dell’Unione. Qualche risultato è arrivato: sarebbero oltre ottanta milioni i conti correnti aperti a seguito della riforma; alcuni grandi progetti infrastrutturali sono stati lanciati; la corruzione comincia ad essere percepita come un problema anziché come un fatto ineluttabile; è stata abolita la Commissione centrale di pianificazione, ultimo residuo dello statalismo nehruviano. La luna di miele nei confronti di un governo ricco tanto di annunci come di rinvii si è appannata, mentre resta alto il consenso personale per il Premier, la cui abilità retorica lo pone una spanna al di sopra di alleati ed avversari. Echi di casa nostra, insomma. Sulla politica estera Modi ha innovato in profondità. Partendo dall’assunto che per ottenere lo status di Superpotenza globale l’India deve innanzitutto costruirsi un’area di influenza nella regione, ha rilanciato la look East policy (politica che guarda a Oriente) che languiva dagli anni Novanta, con una azione diplomatica a tutto campo in cui ha lasciato poco spazio ad Europa e Occidente. Con un colpo di teatro ha invitato alla sua cerimonia di inaugurazione i capi di governo di tutti i Paesi vicini, ponendo fine a decenni di cattivi rapporti. A Tokyo ha consolidato con Shinzo Abe un rapporto che marcia sull’onda di centinaia di milioni di investimenti giapponesi. Con il primo ministro australiano Tony Abbott ha firmato a Delhi un accordo vitale sul nucleare. Con Xi Jinping, anche lui in arrivo a Delhi, potrà discutere su come dare un taglio non conflittuale alla competizione con la Cina, che rappresenta la vera ossessione della politica indiana. A New York infine, lo attende un incontro con Obama, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. La creazione di un triangolo di sicurezza in Asia con Giappone e Australia fa parte di un disegno geostrategico a trecentosessanta gradi, indice della volontà di un Paese che ragiona in termini di rapporti di forza, si sente pronto ad un ruolo globale e stenta a capire quale sia la natura e il peso dell’Ue. Paradossalmente, tutto ciò potrebbe non tornare a sfavore di una soluzione della vicenda di Latorre e Girone. A parte l’arbitrato internazionale, abbiamo poco da mettere sul piatto dei rapporti di forza bilaterali. L’Italia è vista dall’India come un Paese simpatico ma nell’insieme non rilevante; la querelle con noi ha un peso secondario e la stampa le dedica attenzione solo quando viene agitato il vessillo della dignità nazionale. Per contro, forte è l’interesse indiano a non vedere scalfita la sua ambizione a svolgere un ruolo di primo piano sulla scena mondiale. La correlazione fra l’ interesse italiano a riportare a casa i marò, e quello indiano di evitare inutili intoppi alla scalata verso il Consiglio di sicurezza, potrebbe aprire spazi paralleli per un negoziato serio. Il permesso accordato a Massimiliano Latorre è un segnale positivo ma limitato: siamo pur sempre dinanzi ad una sorta di libertà condizionata. Resta da capire se Modi sia disposto a fare un passo avanti per chiudere davvero questa vicenda.