Alberto Pinna, Corriere della Sera 14/9/2014, 14 settembre 2014
CAGLIARI —
Bioetanolo dove una volta c’erano miniere, carbone, piombo e fabbriche di alluminio. Carburante ecologico prodotto dalle canne invece che gallerie e ciminiere. È il Sulcis del futuro. O meglio, dovrebbe essere se il progetto del gruppo Mossi-Ghisolfi (che ha uno stabilimento simile in Piemonte a Crescentino) prenderà corpo e nei primi mesi del 2015 si apriranno i cantieri. Il sito scelto è anche simbolico: Portovesme, proprio accanto all’Alcoa, industria di alluminio ferma dopo due anni di agonia fra le proteste dei 600 dipendenti e di altrettante persone occupate nelle attività di supporto, che ancora sperano nel subentro di una multinazionale svizzera e nella riapertura.
Mossi-Ghisolfi (fatturato dichiarato 3 miliardi di dollari, 2.300 dipendenti, seconda azienda chimica in Italia) produrrà un ecocarburante di seconda generazione, con un brevetto innovativo: carburante per auto fatto con la cellulosa estratta dalle canne comuni (Arundo Donax ). E promette 350-400 posti di lavoro (compreso l’indotto in agricoltura), per un investimento di 220-250 milioni. Una boccata d’ossigeno in una delle zone socialmente più degradate d’Italia: 5.500 lavoratori in cassa integrazione o mobilità su 125 mila abitanti, disoccupazione giovanile superiore al 60 per cento.
Per il bioetanolo Sulcis c’è il via libera del governo e della Regione. Autorizzazioni, ostacoli della burocrazia non sembrano essere più un problema, grazie anche a una norma che nei casi di impianti in esercizio con uguali caratteristiche (e connotati fortemente ecologici e innovativi) consente di replicare permessi e concessioni già ottenuti. E a Crescentino l’analogo impianto è stato inaugurato meno di un anno fa.
«Non è una buona notizia — obietta la scrittrice Michela Murgia — si utilizzano terreni fertili per produrre carburanti e non cibo, in cambio di poche buste paga. Sbagliato, non è certo questo il futuro». E a chi le replica che non si può sempre dire di no a tutto, lei risponde: «L’etanolo oggi appare come il carburante del futuro, ma fra 6-7 anni potrà non esserlo più. Queste tecnologie hanno un ciclo breve. E poi? Coltivare canne non fa bene alla terra, significa renderla sterile; dopo non ci si potrà piantare niente per parecchi anni». E insiste: «La Sardegna sta subendo un assalto della cosiddetta chimica verde, a Porto Torres l’Eni con Matrìca vuole produrre utilizzando cardi».
Mauro Pili, parlamentare del Movimento Unidos, va giù assai più duro: «Fermate la devastazione del Sulcis; per coltivare le canne servirà una superficie pari a cinquemila campi di calcio. Ci saranno contributi pubblici e incentivi. E dopo 10 anni il deserto». Pili adombra anche potenti sostegni politici: «Ghisolfi, chi? Non sono forse quelli che hanno dichiarato di aver donato 100 mila euro alla fondazione che ha sostenuto l’ascesa di Renzi?».
Murgia e Pili interpretano perplessità diffuse soprattutto fra agricoltori e pastori. «Bisogna essere chiari: dire a chi lavora nelle campagne che il modello di sviluppo scelto è questo e che non si punta sulle eccellenze alimentari. In Sardegna importiamo l’80 per cento di quel che mangiamo — insiste la scrittrice — e fra 20 anni le guerre nel mondo i faranno per acqua e cibo (grano, pomodori) e non per il bioetanolo».
La fabbrica del bioetanolo a Portovesme è parte importante del Piano Sulcis, nato nell’inverno 2012 dopo la «fuga» in elicottero dei ministri Passera e Barca contestati dai minatori. «Un contratto per lo sviluppo che ha risorse per 624 milioni — spiega Salvatore Cherchi, già deputato e poi presidente della Provincia, ora delegato dal governatore sardo Francesco Pigliaru a seguirne l’attuazione —. Mossi Ghisolfi investe capitali propri per 90 milioni, ci sono finanziamenti di banche e fondi. Il Sulcis è in ginocchio, l’Unione Europea indica come obiettivo l’impiego del 10% di carburanti ecologici. E ci sono poche alternative: o li produci o li devi acquistare. Non verranno utilizzati terreni agricoli produttivi, ma incolti o marginali. Questa è una buona opportunità. I tempi? Finora rispettati; Mossi Ghisolfi sta prendendo contatto con imprese locali, meccaniche e di costruzioni».
Nato nel 1953 (o molti anni prima, come vuole certa aneddotica, in un sottoscala), fondato da Vittorio Ghisolfi, che ultraottantenne ne è presidente, stabilimenti in Brasile, Messico e Stati Uniti. Guido e Marco, figli di Vittorio, vicepresidente e amministratore delegato. Ora la fabbrica in Sardegna e la scommessa: fra meno di 4 anni il bioetanolo nelle pompe di benzina/gasolio e nei serbatoi delle auto?
Alberto Pinna