Vittorio Sabadin, La Stampa 14/9/2014, 14 settembre 2014
Sono stati i debiti, non le armi a mettere fine all’indipendenza L’unione con Londra, nel 1707, per ripianare il buco lasciato da un’avventura coloniale Vittorio Sabadin La Storia ha bisogno di personaggi leggendari, e la storia della Scozia ne è piena: da Willam Wallace a Robert Bruce, fino a Maria Stuarda
Sono stati i debiti, non le armi a mettere fine all’indipendenza L’unione con Londra, nel 1707, per ripianare il buco lasciato da un’avventura coloniale Vittorio Sabadin La Storia ha bisogno di personaggi leggendari, e la storia della Scozia ne è piena: da Willam Wallace a Robert Bruce, fino a Maria Stuarda. Se poi agli eroi manca qualche caratteristica per renderli tali, è sempre facile trovargliela. Wallace ha cominciato male, come eroe scozzese: era normanno e non parlava gaelico. La sua guerra contro gli inglesi è iniziata per una donna e non per la Scozia, e non ha pronunciato quasi nessuna delle frasi altisonanti che Mel Gibson gli attribuisce nel film «Braveheart». Eppure è ancora il simbolo della lotta per l’indipendenza, il gigante buono che poteva tagliare in due, dalla testa ai piedi, un inglese con un solo colpo di spada, l’eroe giustiziato dopo atroci torture patite in nome della libertà. Robert Bruce apparteneva a una dinastia che ha essenzialmente pensato a difendere le proprie terre e ricchezze dalle prepotenze inglesi e Maria Stuarda ha perso la testa alla Torre di Londra per complotti di corte contro Elisabetta I, e non in nome della Scozia indipendente. In realtà, se si priva la Storia di tutto il suo pesante corredo di retorica, si scopre che la Scozia ha perso la sua indipendenza per la stessa ragione di sempre: i soldi. La firma al Trattato di Unione con l’Inghilterra, nel 1707, non è stata imposta a seguito di invasioni e di sanguinose battaglie perse sul campo, ma per ragioni meno eroiche: una avventura nei Caraibi finita male, una bancarotta da scongiurare, una giusta dose di corruzione e una rete efficiente di spie collocata al posto giusto. Alla fine del 1600, la situazione in Scozia era quella di sempre: carestie, clan feudali che dominavano piccole porzioni di highlands, contadini poveri e affamati. Nel 1690 cominciò un periodo ancora peggiore, gli «ill years», gli anni malati. Davanti a sé, il paese non aveva alcuna prospettiva: tutto il mondo prosperava commerciando in spezie e beni di lusso e la Scozia ne era totalmente priva. Bisognava fondare una colonia da qualche parte e darsi al commercio, come facevano gli altri. Il banchiere William Paterson era nato a Londra, ma si era trasferito a Edimburgo dove gli venne l’idea dello «Schema di Darién», un’espressione che già da sola fa pensare che, se qualcuno ci ha messo i soldi, li ha persi. Ma Peterson non aveva solo cattive idee, aveva anche saggiamente proposto per primo di fondare una Banca di Inghilterra. Così lo ascoltarono quando suggerì agli scozzesi di fondare una colonia sull’istmo di Panama, nel Golfo di Darién. Grazie a questo avamposto, anche se il Canale non era stato ancora costruito, sarebbe stato più facile commerciare con le Indie Orientali facendo transitare le merci via terra dal Pacifico al Mar dei Caraibi. La Scozia chiese finanziamenti a Londra, che li negò, e poi li cercò in casa, impegnando una somma che pareva modesta, ma che rappresentava un terzo della ricchezza dell’intero Paese. La spedizione che partì nel 1698 contava su 5 navi e 1200 persone. Fece scalo a Madera, raggiunse il Golfo di Darién, costeggiò l’Isola d’Oro e gettò le ancore alla foce del fiume. La colonia fu battezzata Nuova Caledonia, si costruì un Fort Andrew dotandolo di 50 cannoni e lo si circondò di un villaggio, New Edinburgh. Gli indigeni erano amichevoli, ma tutto il resto no. I campi nei quali erano state seminate le verdure non davano raccolti e nessuno dei vicini li aiutava. Londra aveva ordinato a tutte le sue colonie di non commerciare con gli scozzesi né di sostenerli in alcun modo. In poche settimane, il caldo opprimente e le malattie causavano 10 vittime al giorno. Dopo un anno, la colonia fu abbandonata e solo 300 persone fortemente debilitate tornarono in Scozia su una nave. Un altro vascello di coloni sopravvissuti, danneggiato da una tempesta, si rifugiò a Port Royal, ma gli inglesi rifiutarono loro qualunque aiuto. Paterson riuscì a cavarsela, anche se a caro prezzo, perché sua moglie e sua figlia erano tra le vittime di New Edinburgh. Una seconda spedizione fece la fine della prima e il progetto venne alla fine abbandonato, lasciando nelle casse della Scozia un vuoto spaventoso e lo spettro della bancarotta. Londra, che aveva fatto di tutto per favorire questa situazione, aveva capito che c’era un modo più semplice di annettersi il Paese che non inviare truppe come aveva inutilmente fatto per secoli. Bastava offrire la salvezza economica in cambio della firma di un trattato di unione. A Edimburgo c’era da convincere un riottoso Parlamento, ma non era un problema: migliaia di sterline furono messe a disposizione per ammorbidire le posizioni più dure e decine di spie riferivano a Londra la situazione. Tra queste c’era anche lo scrittore Daniel Defoe, l’autore di «Moll Flanders» e di «Robinson Crusoe», che si fingeva giornalista e ficcava il naso ovunque. L’«Atto di Unione» fu firmato nel 1707, tra le proteste di quasi tutta la popolazione scozzese. Prevedeva di sciogliere i due Parlamenti e di riaprire subito dopo quello inglese, con rappresentanti scozzesi. Stabiliva di istituire la Gran Bretagna e di fondere le due bandiere, quella inglese con la Croce di San Giorgio e quella scozzese con la Croce di Sant’Andrea, nella nuova «Union Jack». Per fare capire subito chi comandava, Londra vietò in Scozia l’uso della lingua gaelica, limitò il possesso di armi e proibì ai civili il Tartan, la stoffa che identificava l’appartenenza a un clan. Trecento anni dopo, è tempo di ridiscutere il trattato. Ma a decidere il referendum non saranno l’amor di patria, la difesa di cultura e tradizioni, l’esempio di vecchi eroi. Saranno ancora una volta i soldi. E per la Scozia, come nel 1707, ce ne sono di più se si resta con l’Inghilterra.