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 2014  settembre 14 Domenica calendario

FEDERICO RAMPINI

Il pubblico italiano l’ha vista recitare come moglie del maggiordomo, nel film che racconta la storia vera di un servitore nero alla Casa Bianca, The Butler; qualcuno la ricorda nel Colore Viola di Steven Spielberg nel 1985, che le valse un Oscar. Eppure per Oprah Winfrey quello di attrice è solo il sesto o settimo mestiere.
Anchorwoman, magnate della tv, imprenditrice, filantropa e attivista, a sessant’anni è l’unica miliardaria nera di tutto il Nordamerica, maschi inclusi.
Si è fatta davvero da sola, partendo da un’infanzia misera: nata nel Mississippi durante l’èra della segregazione razziale, a nove anni fu violentata, a quattordici ebbe il primo e unico figlio, morto subito. Oggi è alla guida di un impero, ma non dimentica le sue origini, è una portavoce combattiva per gli afroamericani e per le donne. Il suo trampolino verso la celebrità, The Oprah Winfrey Show, trasmesso dal 1986 al 2011, ha polverizzato i record di audience. Lei ha usato quella tribuna televisiva per promuovere le cause che le stanno a cuore. Tra cui figura il lancio di Barack Obama: alle primarie democratiche del 2008 la Winfrey da sola gli portò un milione di voti, spostando gli equilibri nella battaglia tra Obama e Hillary Clinton. Del successo economico (patrimonio di tre miliardi, cinque case sontuose dalle Hawaii alla California alla Florida) lei fa un vanto e un simbolo: nei suoi libri e nelle sue riviste (è anche editrice) non si stanca di contrastare le sotto-culture vittimiste; esorta neri e donne a lanciarsi nel mondo del business. È un ciclone di energia positiva, una versione aggiornata dell’American Dream, capace di trasformare in modelli anche le tragedie personali come la lotta contro l’obesità e gli abusi sessuali. Ne è nato il termine “Oprahfication”: designa un’auto-terapia che usa la confessione pubblica in tv dei propri problemi più intimi.