Pietro Del Re, la Repubblica 14/9/2014, 14 settembre 2014
IL JIHADISTA SENZA PIETA’: «LE VOSTRE BOMBE NON CI FERMERANNO»
Ahmed Hussein si dichiara con orgoglio un combattente dello Stato islamico, sia pure senza il potere del comando, essendosi arruolato soltanto tre mesi fa. Iracheno di Tikrit, 29 anni, capelli corti e fisico atletico, l’islamista è stato appena catturato sul monte Zartik, durante la controffensiva dei peshmerga verso Mosul, ed è ancora detenuto in un fortino delle retrovie, che consiste in pochi prefabbricati tra le colline riarse dal sole iracheno. Hussein è un uomo istruito, ma non ci dice che cosa facesse prima di schierarsi con i jihadisti. Lo incontriamo nella sua provvisoria prigione, che è una stanzetta senza finestre. Quando parla il suo sguardo rimane come incagliato al soffitto, e muove spesso le mani. Mani che, come lui stesso confessa, hanno pugnalato nemici e imbottito automobili di tritolo per farle esplodere nei mercati o davanti alle scuole.
Quale era il suo ruolo nelle brigate dello Stato Islamico?
«Sono un combattente e non mi vergogno di dire che ho già ucciso, con il coltello e con l’esplosivo. Le nostre brigate non decapitano solo giornalisti stranieri, ma anche poliziotti locali, burocrati, spie e tutti coloro che lottano contro di noi. Ma ho sempre eseguito gli ordini dei miei capi, senza mai prendere io stesso iniziative».
E sono molti gli oppositori contro cui vi accanite?
«No, ma in ogni villaggio o in ogni città che conquistiamo la prima cosa che dobbiamo fare è separare i buoni dai cattivi, perché chi non sta con lo Stato islamico sta contro di esso».
Come spiega tanta crudeltà e tanta macelleria nella vostra guerra?
«Dobbiamo vendicare i fratelli sunniti e difenderli dallo strapotere sciita. Credo che in guerra sia tutto permesso, compresa la crudeltà. Come, del resto, dimostrano gli americani e l’esercito sciita di Badgad quando compiono i loro massacri sulle popolazioni sunnite. È per questo che la gente sta dalla nostra parte: i sunniti iracheni hanno accolto a braccia aperte i combattenti del Califfato».
Ma non è stato il caso né degli yazidi né dei cristiani della Piana di Ninive. Nell’ultimo mese sono fuggite 700mila persone, che adesso vivono nei campi profughi del Kurdistan.
«Sarebbero potuti restare. Bastava che si convertissero all’Islam».
Per poi vivere nel terrore?
«Ma quale terrore. Lo Stato islamico offre cure mediche gratuite, cibo ai più bisognosi, posti di lavoro ai disoccupati. Siamo un grande Stato, a tutti gli effetti. Abbiamo perfino aperto due fabbriche di armi vicino Mosul».
Ma tutti sono al corrente dei vostri crimini, che condannano sia il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sia gli imam di molti Paesi arabi.
«Si tratta per lo più di miscredenti o di uomini con troppi pregiudizi. Non ci spaventano le loro critiche. Gli occidentali ragionano sempre in quanto individui, noi invece in quanto popolo. Poco importa se io muoio, perché i miei compagni continueranno a combattere. E le assicuro che non basteranno tutte le bombe atomiche del mondo a fermarci».
E’ vero che prima delle battaglie assumete allucinogeni?
«A molti di noi basta fumare un po’ di erba».
Ed è vero che da quando i caccia americani hanno cominciato a bombardarvi, i vostri leader sono fuggiti verso la Siria?
«No, non sono scappati. Se alcuni comandanti sono tornati verso Raqqa è perché stiamo combattendo una guerra anche in Siria, e c’è più bisogno di loro lì che qui. Da quando sono cominciati i raid, stiamo stati costretti a cambiare la nostra strategia e abbiamo spostato il luogo di alcune nostre basi di Mosul per evitare che fossero centrate dai missili».
Alla presa di Mosul hanno partecipato anche jihadisti stranieri?
«Sì, e adesso combattono al nostro fianco per difendere la città. Sono inglesi, tedeschi, tunisini, libici, afgani, ceceni. Il nostro è un meraviglioso esercito internazionale».
La sorte riservata alle yazide che avete rapito è spaventosa. Più che soldati di Allah non sembrate belve affamate di sesso?
«Può darsi, ma per combattere molti di noi sono costretti a vivere lontani da casa e dalle loro mogli per mesi. E comunque alle yazide offriamo l’opportunità di convertirsi e diventare brave musulmane. Molte hanno già sposato un combattente e si sono trasferite in Siria».
Ha mai incontrato il suo califfo, Abu Bakr al Baghdadi?
«No, ma l’ho visto a Mosul quando ha fatto il suo sermone alla grande moschea. E’ un uomo molto ricco e molto generoso. Grazie a lui, come ogni altro soldato ricevo ogni mese l’equivalente di 400 dollari. E mi danno anche la benzina e le bombole di gas gratis».
Che cosa potrebbe capitarle adesso?
«Tutto ciò che mi accadrà lo accetterò con gioia, perché sarà il mio martirio. Ma nel corso dell’ultimo mese abbiamo catturato molti peshmerga. Io potrei rientrare in uno scambio di prigionieri».