Roberta Scorranese, Corriere della Sera 13/9/2014, 13 settembre 2014
LA SIGNORA DELL’EDITORIA MENEGHINA CHE SI FECE PALADINA DELLE DONNE
Trentacinque anni. Tre decenni e un lustro, una lettera scarlatta di zitellaggine che per la famiglia di lui pesava più del carattere eccessivamente disinvolto e del piglio protofemminista della madamine . Ma a nulla valsero le resistenze di sorelle e parenti e così, nel 1875, la trentacinquenne maestra Maria Antonietta Torriani andò in sposa a Eugenio Torelli Viollier. Non ebbero prole, ma l’anno dopo lui fondò il «Corriere della Sera». Più di un figlio.
Quella signora esile e spigolosa che Giovanni Segantini, amico della coppia, volle ritrarre à la parisienne , con un vezzoso ombrellino quasi per addolcirne i tratti (tela in mostra), sarà la signora Torelli per l’anagrafe, ma per tutti sarà la Titti o, meglio ancora, la marchesa Colombi, pseudonimo con il quale l’insegnante di (umili) origini torinesi firmò i suoi articoli sul principale quotidiano italiano. «Articoli di moda e varietà femminile», annunciò il marito-direttore, che intuì (con un brivido di timore lungo la schiena?) il potenziale di quella ragazza ultratrentenne. Già, perché Torriani colse lo spirito rivoluzionario della Milano del secondo ‘800 e ne fece un abito. Altro che pizzi.
La lezione di Clara Maffei era negli occhi di tutte: per uscire dall’ombra la donna doveva leggere, scrivere, frequentare intellettuali, alimentare un forte legame di solidarietà con le altre donne. Il salotto Maffei riceveva personaggi come Balzac, mentre quello di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, altra protagonista di quella Milano così cosmopolita (europea?), divenne uno dei punti di riferimento per i movimenti di liberazione.
L’impegno politico, in quegli anni, si fondeva con una pioggia costante di stimoli culturali. Movimenti e tecniche come il divisionismo o il simbolismo si intersecavano con opere pittoriche di denuncia sociale. Nel 1894 Emilio Longoni dipinse Riflessioni di un affamato , oggi alla Gam di Milano, quadro intensissimo che divide l’uomo povero, all’esterno e i ricchi borghesi al caldo, in pasticceria. Nella seconda metà dell’Ottocento l’alessandrino Angelo Morbelli realizzò una struggente serie di interni al milanese Pio Albergo Trivulzio, lungo poema della vecchiaia e della solitudine urbana.
È in questa sorta di serpeggiante coscienza collettiva che le donne si muovono con maggiore sicurezza. Torriani scrive sul «Corriere», dorme in una camera separata dal marito, ma con lui divide lunghe serate passate a leggere romanzi e saggi in francese. I due si allontanano impercettibilmente, lei sente il bisogno di catalizzare quello spirito indipendente che la porta ad affermare in pubblico sorridendo: «La prima notte di nozze? Be’ non era la prima volta che dormivo con Eugenio». Conosce la femminista Anna Maria Mozzoni, girano l’Italia per tenere conferenze sulla donna e sulle sue potenzialità. Genova, Bologna, Napoli. Fumano il sigaro. Titti insiste sul valore della letteratura, Anna Maria riflette sul condizionamento operato dalla religione. Continuano a collaborare alla rivista «La donna», diretta da Gualberta Alaide Beccari. E Torelli Viollier?
Il «Corriere», si diceva, è più di un figlio. Deve essere perfetto e questo costa fatica. Il matrimonio si incrina ulteriormente quando a casa arriva Luisa, la sorella di lui. Maria Antonietta si fa più pungente, esce spesso. Incontra Carducci (era stata lei a presentargli Lina, che divenne l’amante del poeta; che donne!), scrive romanzi, novelle, racconti. Ormai a poco serve quella fitta rete di amicizie che ha sempre sorretto l’architettura del matrimonio: i fine settimana in Engadina, la vicinanza di Segantini, Tranquillo Cremona, Emilio Longoni. Insieme a Eugenio scrive un libretto d’opera, La creola , che verrà musicato da Gaetano Coronaro. Inutile. Il matrimonio finirà, lei diventerà sempre più nomade e impegnata.
Di Titti ci restano un ritratto (quello di Segantini); una produzione florida di racconti e scritti vari, anche se la critica impiegherà decenni prima di rivalutarla (Natalia Ginzburg e Italo Calvino, negli anni Settanta, riscoprirono il romanzo Un matrimonio in provincia ); uno pseudonimo, Marchesa Colombi, che per molti vuol dire ancora indipendenza; qualcuno che ricorda la sua attività filantropica durante la prima guerra mondiale. Morirà nel 1920. Un po’ sola, un po’ malinconica. Insomma, libera.
Roberta Scorranese