Paolo Siepi, ItaliaOggi 12/9/2014, 12 settembre 2014
PERISCOPIO
Per scegliere il successore di Montezemolo non abbiamo neanche fatto le primarie. Jena. La Stampa.
Il divorzio fra Marchionne e Montezemolo era inevitabile per un complesso di ragioni di carattere retorico, biografico, industriale e infine anche personale, persino estetico, oserei dire. Montezemolo e Marchionne sono due uomini fatti per non andare d’accordo, per non capirsi. Carlo De Benedetti. Agenzie.
Luca di Montezemolo un lazzarone? Il mio amico più rigido e moralista, il compianto Claudio Rinaldi, direttore de l’Espresso, era pazzo di lui. Lo divertiva, lo rallegrava, lo teneva su di morale. Luca ha funzionato come antidepressivo per buona parte della classe dirigente della Prima, della Seconda e della Terza repubblica. Se ha un erede-allievo, si chiama Giovanni Malagò. Barbara Palombelli. Il Foglio.
Marchionne non vedeva l’ora di liberarsi di Montezemolo. A Cernobbio c’è andato soltanto per questo. Per licenziarlo. Cesare Geronzi. Agenzie.
Dei due duellanti di Maranello, l’uno è tutto «concretezza», uomo di molte matematiche e poco umanesimo; l’altro è invece, per così dire, tutto «schiuma». Marchionne, persino nell’aspetto, non fa sfoggio della propria ricchezza, affetta piuttosto un’agiatezza disadorna, in pullover, o una raffinata ruvidità. Montezemolo è, al contrario, morbido, leggero, profumato al limone, con il fazzoletto esageratamente sbuffante al taschino. Salvatore Merlo. Il Foglio.
Il titolo Re Giorgio è vecchio di vent’anni e mi piace proprio! Dopotutto non chiamano Karl Lagerfeld «il Kaiser»? Il soprannome «l’Imperatore» deriva da un mio recente viaggio in Cina. Spero proprio che non finiscano per chiamarmi «Sua Santità», perché sarebbe imbarazzante. Giorgio Armani, stilista. Corsera.
Milioni di persone, in Africa e in Asia, desiderano venire in Europa perché sperano di trovarvi benessere e pace. Di solito, e da sempre, i paesi ospitanti mettono delle quote di immigrazione e fanno delle azioni dissuasive per evitare un’immigrazione di massa. Noi no. C’era un minimo di controllo nella Libia di Gheddafi e nella Tunisia di Ben Ali. C’era anche, da noi, il reato di immigrazione clandestina. Oggi non più. Francesco Alberoni. Il Giornale.
Il borghese è, essenzialmente, chi vuol farsi da sé. I tratti principali per riconoscerlo sono l’individualismo, lo spirito di indipendenza, l’anticonformismo, l’orgoglio e l’ambizione, la volontà di emergere, la tenacia, la voglia di competere, il senso critico, il gusto della vita. Sconfina nell’eccentrico, nell’avventuriero o, egualmente bene, nel martire. Sergio Ricossa, Straborghese. Editoriale Nuova, 1980; IBL libri, 2010.
Ricordate quei bei quadri ottocenteschi in cui le lavandaie, al fiume o alle vasche, lavorano sui lenzuoli e sulla famosa biancheria dell’epoca? Eh no, è ora di modernizzare, digitalizzare, nubificare. Massimo Bucchi. il venerdì.
Al Passo del Brennero, ritornando in Italia, il doganiere siciliano mi chiede un autografo e mi confida, sottovoce, che legge i miei libri di nascosto. Poco dopo, due carabinieri mi chiedono i documenti, mi guardano in viso, si consultano fra loro, tornano a squadrarmi, poi mi dicono: «No, non è lei». E aggiungono con un sorriso di simpatia: «Ci scusi, ma cerchiamo un assassino che le assomiglia». Curzio Malaparte, Battibecchi. Florentia, 1993.
Milano, Teatro alla Scala. La stagione riapre con la Budapest Festival Orchestra diretta da Ivan Fischer, per la rassegna di MiTo. Nella serata tiepida la Milano bene prende posto in platea. Brahms, stasera: la Terza e la Quarta sinfonia. L’orchestra schierata nel suo ordine, nella lucentezza dei fiati, ricorda la parata di un esercito. Quando il silenzio è assoluto, il maestro chiama la prima nota. Il Brahms della Terza, la Renana, ci avvolge in un paesaggio di brume e orizzonti grigi e incombenti. Nella Quarta, sull’armonia severa dei violini, si abbatte improvvisa e tonante la potenza dei fiati, come un’ira di Dio. Lunghi applausi pretendono il bis. Allora le violiniste depongono il violino e prendono in mano uno spartito. Una cosa mai vista: orchestrali che si cimentano nel canto. Cantano una Serenata notturna di Brahms. Le voci si stagliano chiare nel silenzio meravigliato della Scala. Brevissima Serenata: eppure crea per un momento un sortilegio (niente, nemmeno i più superbi violini uguagliano, pensi, la voce umana). Cosa c’è al fondo dell’incanto che ghermisce la sala? Voci di donne, eco di remote ninne nanne, o, prima ancora, del timbro che il bambino nel buio del grembo riconosce. Poi voci di sorelle, innamorate, figlie. Voci eternamente sussurranti la vita. Sortilegio alla Scala: nell’attimo di silenzio prima degli applausi cogli nella platea matura, elegante e viziata, un istante di commozione vera. Marina Corradi. Tempi.
Ogni volta che uscivamo per recarci al centro mi fermavo davanti alla vetrina di un negozio che vendeva immensi blocchi di cioccolato; un cartello diceva (questo avviene nel mio ricordo) «17 lire il chilo»: sarà possibile? Non sarà stato una lira e 70 centesimi? Concepivo me, adulto ricco, nell’atto di comperare venti chili di quella meraviglia per mangiarmela poi tutto solo la notte, a letto. Carlo Coccioli, Tutta la verità. Rusconi, 1995.
Dedicato agli amori scorsoi, agli occhi chiusi in se stessi, a chi si mette all’opera e al suo tenore, di vita. Alessandro Bergonzoni. il venerdì.
Quando non guardi, segnano. Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, Palla lunga e pedalare. Baldini & Castoldi, 1992.
Vidi scendere i cosacchi dal treno con i loro stalloni da traino, enormi e tranquilli, i loro cavalli da sella, più minuti e nervosi, e le carrette ricoperte da pelli e teloni, come quelle dei coloni del Far West. Erano impolverati, spaesati, dispersi, meravigliati di tutto quello che vedevano scendendo dal treno. Avevano spesso la pelle giallastra, gli occhi orientali, le guance grigie di barba, i piccoli colbacchi scuri gettati all’indietro sulla nuca, o berretti più leggeri e adatti alla stagione. Carlo Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti. Mondadori, 1985.
Ho paura che anche questa estate finirà improvvisata e insensata, come già altre. Alberto Arbasino, Fratelli d’Italia. Adelphi, 1993.
Il Papa? La colomba della pace in una gabbia blindata. Coluche, Pensées et anecdotes. Le Cherche Midi.
Ho detto quisquiglie, a priora. Totò. il Messaggero.
Ci sono dei politici ai quali il parrucchino non basta. Dovrebbero mettersi anche la maschera. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 12/9/2014