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 2014  settembre 12 Venerdì calendario

LA BCE STRIGLIA L’ITALIA PADOAN: ABBIAMO FATTO QUEL CHE ANDAVA FATTO

In apparenza sembra uno studiato gioco delle parti. Eppure con il passare dei giorni la strategia italiana, nei fatti, diverge sempre di più dalle richieste di Banca centrale e Commissione europea. La battuta in perfetto inglese non lascia spazio a sfumature: «Quel che l’Italia doveva fare per risanare i conti l’ha fatto». È da poco passata l’ora di pranzo, a Milano si svolge uno dei tanti panel a porte chiude di Eurofi, forum che riunisce due volte l’anno in giro per l’Europa decine di uomini d’affari, banchieri, alti burocrati e politici.
Ad ascoltare Piercarlo Padoan in prima fila ci sono, fra gli altri Ignazio Visco e Mario Monti. Da un paio d’ore le agenzie di stampa hanno battuto l’ultimo bollettino mensile di Francoforte nel quale si conferma il timore per la tenuta dei conti italiani, il rischio di sforare i target di bilancio e soprattutto la necessità di raggiungere nel 2015 il cosiddetto «obiettivo di medio-termine». Per l’Italia significherebbe, di fatto, una manovra di correzione da almeno nove miliardi di euro per portare in traiettoria discendente un debito che invece continua a salire. Padoan può permettersi di usare i toni franchi che in altre sedi non userebbe. Ammette che le cose vanno male, in Europa e in Italia, e proprio per questo si dice «stupefatto» che l’Europa non abbia ancora fatto nulla per fermare la stagnazione. Padoan presenta a grandi linee il progetto per il rilancio della crescita che oggi formalizzerà di fronte ai colleghi dell’Ecofin riniti a Milano. Tre i pilastri: il miglioramento dell’integrazione del mercato interno, riforme strutturali sotto il monitoraggio della Commissione, una strategia di investimenti. Padoan, keynesiano mai pentito, insiste nel chiedere «un cambio di approccio radicale». Non accusa esplicitamente i tedeschi, ma è del tutto evidente che su questo lui e il collega tedesco Schaeuble sono costretti a vederla diversamente.
La Germania è un Paese che nonostante tutto cresce con un tasso di disoccupazione quasi fisiologico, l’Italia no. Parte di quella occupazione è figlia dei cosiddetti mini-job, impieghi sottopagati, part-time, ma che danno lavoro a persone che diversamente non sarebbero occupate. Il documento italiano la riconosce come una strategia da imitare: «Occorre allentare le restrizioni all’uso dei contratti di lavoro temporaneo». I tedeschi a loro volta ammettono che in Europa c’è scarsa domanda di investimenti, e per questo all’Ecofin presenteranno un proprio piano condiviso con i francesi. Segno che qualcosa si muove, in ogni caso troppo poco rispetto agli stimoli che Padoan e Renzi pensano siano necessari per rianimare l’economia italiana.
Per chi guarda le cose dall’Italia, i miliardi di tagli che il governo si appresta a varare con la legge di Stabilità sembrano una contraddizione rispetto alle intenzioni espresse da Padoan. Il punto è che, nelle intenzioni di Renzi e del suo ministro dell’Economia quei tagli dovranno servire tutti a finanziare la conferma del bonus alle famiglie, ad allargare il taglio Irap, a sostenere nuove spese per l’assunzione degli insegnanti. Quando Padoan dice che «l’Italia ha fatto quel che doveva fare» vuol intendere che non ci saranno manovre correttive quest’anno, né tantomeno ci saranno tagli o nuove tasse per rispettare l’obiettivo di medio termine. Il riconteggio del Pil con l’introduzione di un pezzo di economia illegale ci darà una mano a far tornare i conti: il 22 settembre l’Istat renderà noto il ricalcolo più importante, quello del 2013. L’orizzonte temporale del governo è quello dei mille giorni: il senso del patto flessibilità-riforme che propone all’Europa è tutto lì.
Twitter @alexbarbera
Alessandro Barbera, La Stampa 12/9/2014